Il viandante di Emmaus che si ferma a casa nostra
Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 19 aprile 2020.
Gesù si avvicinò e camminava con loro. Dio si avvicina sempre, viandante dei secoli e dei giorni, e muove tutta la storia. Cammina con noi, non per correggere il nostro passo o dettare il ritmo. Non comanda nessun passo, prende il nostro. Nulla di obbligato. Ogni camminare gli va. Purché uno cammini.
Gli basta il passo del momento. Gesù raggiunge i due viandanti, li guarda li vede tristi, rallenta: che cosa sono questi discorsi? Ed essi gli raccontano la sua storia: una illusione naufragata nel sangue sulla collina. Lo hanno seguito, lo hanno amato: noi speravamo fosse lui… Unica volta che nei Vangeli ricorre il termine speranza, ma solo come rimpianto e nostalgia, mentre essa è «il presente del futuro» (san Tommaso); come rammarico per le attese di potere tramontate. Per questo «non possono riconoscere» quel Gesù che aveva capovolto al sole e all’aria le radici stesse del potere.
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FUOCO NEL PANE
Questo vangelo si snoda, come una grande liturgia, in tre momenti: la liturgia della strada, della parola e del pane.
La liturgia della strada.
Emmaus dista undici chilometri da Gerusalemme, tre ore di cammino trascorse a parlare del sogno in cui avevano sperato, poi naufragato nel sangue. Emmaus è casa mia quando torno nel mio piccolo angolo, scappo dagli altri, chiuso, ferito; finito il sogno in cui tanto avevo sperato.
Ma la liturgia della strada apre a quella della speranza: quanto speravamo che fosse lui! E dicono di una storia capita male, di un amore sfociato nell’illusione.
I due amici camminano, turbati, ma benedetti dal salmo 84: beato l’uomo che ha sentieri nel cuore.
Non è più qui hanno detto gli angeli. Quando sulla mia fede scende la sera, egli è per le strade a cercarmi, e rallenta i suoi passi nella polvere.
Ed ecco, Gesù si avvicinò e camminava con loro. Un Dio sparpagliato pere tutta l’umanità che non comanda nessun passo, prende il mio. Nulla di obbligato. Ogni camminare gli va bene purché uno cammini. Gli basta il passo del momento, quello quotidiano.
La liturgia della parola.
Spiegava loro le scritture. Diceva che il Messia doveva soffrire, leggeva la vita con la Parola di Dio.
Gesù spiega loro che la Croce non è un incidente, ma la pienezza dell’amore che cambia la comprensione di Dio e della vita. Ora l’anima dei due camminanti comincia a rasserenarsi, perché la mano di Dio si posa là proprio dove sembrava assurdo e impossibile: sulla croce. E i due camminatori scoprono l’immensa verità: vedono Dio, così nascosto da sembrare assente, tessere il filo d’oro nella tela del mondo, tesserlo dal punto più basso che è la croce.
Ce ne dimentichiamo sempre: più la mano di Dio sembra nascosta, più è potente. Più è silenziosa, più si rivela efficace.
La liturgia del pane.
Resta con noi, perché si fa sera. Ed egli rimase con loro. Da allora Cristo rimane sempre, ma solo se lo desidero. Entra e mi trasforma, cambiandomi il cuore, gli occhi, il cammino.
Lo riconobbero nel pane spezzato e donato. Lui che non ha mai spezzato nessuno, spezza se stesso. Lui che non chiede nulla, offre tutto di sé.
E proprio in quel momento scompare. Il Vangelo dice letteralmente: divenne invisibile. Non se n’è andato altrove. E’ invisibile, ma lì con loro. Scomparso alla vista, ma presente nel gesto.
La parola e il pane cambiano il senso di ogni cosa: partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme. Partire verso i fratelli, partire come se la notte non dovesse venire più, partire con il sole dentro. Un miracolo.
Ma il primo miracolo è stato un altro: non ci bruciava forse il cuore mentre per via ci spiegava il senso delle Scritture e della vita?
Efrem il Siro presta a Gesù queste parole: chi mangia me, mangia il fuoco! Abbiamo mangiato il fuoco nel pane. (Inni sulla fede – IV sec.)
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AUTORE: p. Ermes Ronchi
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