Ventunesima domenica durante l’anno
Gs 24, 1-2.15-17.18/ Ef 5,21-32/ Gv 6,63-68
Da chi andremo?
La tragedia è ormai consumata.
Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, il più eclatante, il più straordinario, segna paradossalmente l’inizio della fine di Gesù.
Il lungo e complesso discorso che abbiamo ascoltato nell’ultimo mese giunge ormai alla fine; il giudizio su Gesù da parte della folla è cambiato: da grande predicatore e profeta, guaritore e operatore di prodigi capace di smuovere cinquemila famiglie ad ascoltarlo, Gesù viene preso per un visionario e un pazzo che indugia su discorsi incomprensibili e inaccettabili.
La parabola di Gesù è discendente: fino a quando Dio ci obbedisce e ci esaudisce lo seguiamo, quando è esigente e chiede, lo abbandoniamo.
Gli apostoli stessi, sgomenti, non sanno più che pensare del loro imprevedibile Rabbì.
Pane sanguinante
Domenica scorsa Gesù ha toccato il fondo: ha chiesto alla folla di saziarsi della sua carne, di dissetarsi al suo sangue. Cristo ha già in mente l’estremo dono, l’eucarestia.
Rabbrividisco nel leggere questa decisione che lascia sgomento l’uditorio. Gesù, invece di andarsene, di gettare la spugna, pensa ad un gesto ancora più radicale, intravede all’orizzonte l’incomprensione che diventa odio e violenza. E accetta la sfida: andrà fino in fondo, donerà ogni sua fibra, ogni sua goccia di sangue al progetto di Dio.
Il panorama, lo vedete, è desolante, aurora dell’incomprensione che porterà Gesù al Golgota.
Non è questa, in sintesi, la storia dell’umanità?
Non è questo episodio metafora e parabola della nostra vita spirituale?
Fino a quando Gesù sfama le folle è idolatrato, quando parla di Dio, è abbandonato.
Fino a quando Dio risponde alle nostre esigenze e alle nostre richieste è grande, quando – a nostro avviso – ciò non avviene più, è rinnegato e rigettato.
Dramma di un Dio che mendica la nostra adesione!
Dramma inaudito di un Dio che si fa carne e compassione e che viene ignorato perché ci risulta più comprensibile un dio intangibile nella sua asettica e lontana divinità.
Divenire adulti
In questo rifiuto si gioca tutta la nostra esistenza, la tragica avventura dell’uomo che perde l’occasione di diventare adulto e che avvia Dio alla scelta del sacrificio della croce come segno inequivocabile della misura del suo amore.
A questo punto Gesù, indurito, scosso, attonito, si rivolge agli apostoli.
No, non se l’aspettava questa reazione da parte della folla che ama con tenerezza. Forse pensava (ingenuo Dio!) di convertire i cuori con le parole e lo sguardo.
La domanda, inquietante e tagliente come una lama, è rivolta a ciascuno di noi: “Volete andarvene anche voi?”.
Non blandisce gli apostoli sgomenti, non recede dalle sue parole, non chiede appoggio o carezza o consolazione. A Gesù sta più a cuore il Regno della compagnia, la verità dell’applauso.
“Volete andarvene anche voi?”.
È libero il Rabbì, non ha elemosinato un uditorio, né desiderato dei discepoli. Sa, Gesù, quanto possa diventare ambiguo un rapporto spirituale, sa quanto possa tarpare le ali il discepolato, invece di far crescere il discepolo. Gesù non è un guru, è un vero Maestro. Libero.
Sa che l’obiettivo di ogni discepolo è di crescere, non di appassire ai piedi del Maestro.
Sa che ogni Maestro ha un solo desiderio: che il discepolo diventi autonomo.
“Volete andarvene?”
È solo il Rabbì, mai così solo.
Vuoi andartene?
E tu, lettore, vuoi andartene?
Ora che incontri le prime difficoltà vuoi lasciare tutto per tornare a chiuderti nel tuo piccolo mondo di tiepide certezze? Rinunci al sogno di Dio?
Vuoi davvero lasciare questa fragile Chiesa che, ora più che mai, ha bisogno di discepoli fedeli, sofferenti ma fedeli, disposti a rimettere in moto l’annuncio del Vangelo che sta languendo con le nostre appassite comunità parrocchiali?
Vuoi davvero metterti dalla parte di coloro che pensano che questo cristianesimo sia da abbandonare e metterti dalla parte degli illuminati che criticano senza mettersi in gioco?
Fallo.
Sei libero, straordinariamente, drammaticamente libero di credere.
O di fuggire.
Di spalancarti, o di chiuderti.
L’amore di Dio ci lascia liberi, giunge a chiedere a noi, creature fragili e incostanti, di aderire liberamente al suo progetto.
Pietri
Pietro, il grande Pietro, risponde a nome di tutti.
Lui, che ha lasciato che la Parola lo scavasse e lo cambiasse, Pietro così simile a noi, Pietro di reti e di odore di pesce, di duri calli sulle mani, di rughe taglienti che solcano il suo viso di pescatore. Lui, uomo di fatica e di notti insonni passate a gettare le reti nell’arido lago di Tiberiade.
Lui, così simile a noi, così irruento, fragile, istintivo, rozzo.
Lui come noi, perciò scelto per confermare la fede dei fratelli.
Lui ci è stato dato come pastore. Non il perfetto Giovanni, discepolo che Gesù amava, custode della Madre, presente alla croce, grande mistico. No, troppo grande e perfetto per essere simile a noi.
Di Pietro avevamo bisogno, di uno come noi, che misurasse giornalmente la fatica, che contasse a spanne il suo limite, senza vergognarsene.
Pietro risponde, ora, poco convinto, forse, un po’ amareggiato, come gli altri undici, con tanti interrogativi sul fallimento di un brillante futuro Messianico, un po’ preoccupato del domani ormai incerto, perplesso di questo Rabbì troppo esigente, troppo grande, troppo tutto.
La risposta, la sua, è come un vulcano che sfoga la sua forza, come un vento che abbatte i boschi, un pilastro che sostiene la nostra fragilità: “Da chi andremo, Signore?”.
Dove vuoi che andiamo, ormai, Signore?
Dove trovare tanta serenità, tanta verità, tanto bene, tanta luce, tanto silenzio, dove, Dio santo, trovare qualcosa o qualcuno che ti sia pari? Dove, amico degli uomini, trovare compassione e futuro, dove respirare l’ebbrezza di Dio?
Ci sconcerti, Maestro, ci sfidi, è difficile convertire il nostro cuore alla tua tenerezza e luce ma – Signore – ormai la nostra vita è segnata a fuoco.
Tu ci hai sedotti.
Dove vuoi che andiamo, Signore?