Dopo aver guarito Bartimeo dalla cecità, Gesù fa il suo ingresso trionfale in Gerusalemme: una coincidenza? l’idea originale di Marco, di scegliere questo miracolo, tra i tanti, per riproporre il tema della luce che splende nelle tenebre e che il Signore portava nella Città Santa, ma che Gerusalemme rifiutò?
La simbologia della luce costituisce indubbiamente uno dei più significativi richiami alla fede. “Il popolo che camminava nelle tenebre vide un grande luce: su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse.” così il profeta Isaia (9,1) annuncia il mistero dell’incarnazione.
[ads2]La dinamica del miracolo è sempre la stessa: il Signore coglie nel cuore dell’infermo una fede, alla quale non sa resistere; ne è letteralmente conquistato; l’energia risanatrice che si sprigiona dal Figlio di Dio è la risposta di liberazione dai legami della morte rappresentati dalla malattia.
Il significato dei miracoli è questo: se la morte interpella la vita in modo inquietante; se la morte è il peggior aggressore della nostra integrità, se la morte è una verità ineluttabile, se, se, se, se… ebbene, la fede mette in scacco la morte! la fede costituisce la profezia più eloquente, il preludio, l’anticipo della vita eterna; la fede annuncia al mondo che la morte ha i giorni contati e non è il destino ultimo dell’uomo.
E ora torniamo sulla scena del Vangelo: da una parte c’è Bartimeo che chiede l’elemosina come ogni giorno; dall’altra il frastuono, le luci, l’euforia dei fans… sta passando Gesù di Nazareth, l’ultimo personaggio pubblico capace di riempire le piazze e gli stadi con il carisma del suo sguardo, con la forza della sua parola, l’efficacia dei suoi gesti…
La miseria convive con il successo. E questo successo appare quasi stonato, colpevole, accanto al dramma dei poveri più poveri, costretti a fare del loro handicap la fonte del loro sostentamento; perché non hanno altro!
E il peggio è che la gente non se ne accorge, sedotta dal fascino del Signore; o se se ne accorge, è solo perché Bartimeo urla, disturba… Ma perché non tace? Ma perché non se ne va?
Penso alle visite di stato di un capo di governo, di un capo religioso, ai nostri giorni…
La città viene ripulita, le strade tirate a lucido, le piazze sembrano dei salotti… il personaggio pubblico passerà di lì, dev’essere tutto perfetto; domani è un altro giorno; i riflettori si spegneranno, la vita, quella vera, ricomincerà a scorrere, con i suoi problemi, con i suoi scandali, con il suo ordinario squallore.
“Molti rimproveravano Bartimeo perché tacesse; ma lui gridava più forte…”.
“E quando mi capita un’altra occasione di vedere Gesù così da vicino?!”.
Immediatamente Gesù si rende conto del paradosso stridente, tra l’attenzione che riscuote la sua persona e l’indifferenza nei confronti del mendicante cieco.
Colpo di scena! Tutto a un tratto Bartimeo diventa importante; un istante prima l’avrebbero fatto sparire volentieri; ora lo aiutano addirittura ad alzarsi per comparire davanti al Signore.
La folla è così, sempre: prima ti odia e poi ti ama; prima ti porta in trionfo e poi ti mette in croce…
Questo il Signore lo sa: per Lui, in questo momento, la folla non conta nulla, non esiste più; c’è solo Lui, e Bartimeo davanti a Lui.
“Che cosa vuoi che io faccia per te?”.
La fede della creatura ‘lega’ la creatura a Dio; ma anche Dio si lega alla creatura!
La fede esprime il patto d’amore, l’alleanza tra l’uomo e Dio. La fede deve essere scoperta e accolta come una relazione, come un autentico sentimento d’amore. Lo so che qualcuno già pensa che definire la fede come un sentimento profondo tra l’uomo e Dio svilisca in qualche modo la prima virtù teologale… I rischi, la fragilità dei nostri amori terreni; la superficialità con cui oggi diciamo: “Ti amo”; l’inflazione della parola, troppo spesso abusata, sì che ormai è priva di ogni valore… tutto questo non aiuta a ricomprendere la verità della fede come amore dell’uomo per Dio. Qualcuno obbietterà anche: che bisogno c’è di tirare in ballo l’amore, parlando di fede? c’è una terza virtù teologale, la carità! Vero! il catechismo ci ha insegnato a distinguere le virtù, per poterle descrivere. Ma queste distinzioni sono puramente teoriche! Così come puramente teorico è distinguere l’intelletto dalla volontà, la volontà dal desiderio, la ragione dagli affetti, la testa dal cuore, etc. etc. Se ci muoviamo sul piano teorico, metafisico, concettuale, astratto, tutto è possibile. Ma sul piano reale, concreto, l’intelletto non è mai separabile dalla volontà, la ragione dalle pulsioni, il desiderio dagli istinti…
“Che cosa vuoi che io faccia per te? Rabbunì, Maestro buono, che io torni a vedere!”: Bartimeo ci vide di nuovo e cominciò a seguire il Signore; non sappiamo se Bartimeo diventò un discepolo oppure no. Ma che significa diventare discepoli? Credo che anche su questo termine si debba fare un delicato lavoro di ripulitura dalle incrostazioni degli stereotipi… Quando parliamo del discepolo pensiamo al prete, al monaco, alla suora… a coloro che scelgono di seguire Gesù rinunciando alle lusinghe del mondo, agli affetti umani; quasi che, per amare il Signore, si dovesse rinunciare a tutti gli altri amori. Credere questo significa discriminare tra vocazione e vocazione; o meglio, anzi peggio, circoscrivere la chiamata del Signore a coloro che, appunto, abbracciano la vita consacrata e il celibato presbiterale. Lo ripeto: questa è una vera e propria discriminazione; e come tutte le discriminazioni, è iniqua! Con buona pace di san Paolo (cfr. 1Cor 11,3-5), ogni stato di vita offre adeguate possibilità di diventare discepoli del Signore, quando è vissuto alla luce del Vangelo. L’amore per Dio e l’amore per gli uomini non sono intrinsecamente in conflitto; al contrario! Durante la cena di addio, il Signore dichiara che l’amore per il prossimo è il modo più concreto ed efficace per amare Dio (cfr. Gv 15,17).
Mi fermo qui. In occasione della solennità di Tutti i Santi, continueremo la nostra riflessione sui miracoli che può operare l’amore cristiano. A prestissimo!
XXX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B
- Colore liturgico: verde
- Ger 31, 7-9; Sal.125; Eb 5, 1-6; Mc 10, 46-52
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 25 – 31 ottobre 2015
- Tempo Ordinario XXX, Colore verde
- Lezionario: Ciclo B | Anno I, Salterio: sett. 2
Fonte: LaSacraBibbia.net