MESSA DELLA NOTTE
La Messa della notte risponde in maniera concreta alla necessità di vegliare, tipica già della prima comunità cristiana. Anche noi, come i credenti della prima ora, vogliamo passare, nella notte, un tempo in preghiera, in attesa della manifestazione del Signore, del bambino di Betlemme, portatore di una nuova luce sulla scena del mondo, avvolto dalle tenebre (Colletta della Messa della notte). Una luce che noi, partecipanti all’Eucarestia, possiamo contemplare e gustare nella celebrazione dei divini misteri.
La notte tenebrosa della disperazione
Proprio in questa notte, con l’apertura della Porta Santa in San Pietro, comincia il Giubileo. Le tenebre di questa notte, che per molti significano mancanza di speranza per il futuro e lo spegnersi di una prospettiva di pace, sono squarciate dalla luce proveniente dall’Incarnazione di Cristo.
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La parola di Dio, attraverso il testo di Is 9,1-6, annuncia al popolo di Israele un totale cambiamento della sua sorte: dalle tenebre alla luce, dalla tristezza alla gioia, dalla schiavitù alla libertà. In prospettiva storica, di fronte alla deportazione degli abitanti delle province del Nord per mano degli Assiri (734-732 a.C.) che provoca disperazione e angoscia, Isaia prefigura attraverso le immagini della mietitura e della vittoria militare un nuovo futuro.
Tre ragioni vengono fornite per questo buon annuncio: la liberazione dall’oppressione assira da parte di Dio come al tempo di quella madianita (Gdc 6 – 8), la pace con l’eliminazione di tutti gli equipaggiamenti militari, ma soprattutto la nascita di un bambino, proveniente dalla stirpe regale di Davide, che è intronizzato come un nuovo sovrano. Isaia in questo modo fa probabilmente riferimento al regno di Ezechia in Giuda (715-687 a.C.), attorno al quale si concentrarono molte aspettative.
Ora, se i titoli umani che il profeta attribuisce a colui che nasce possono essere stati vissuti da questo re, le caratteristiche divine del suo regno presenti nel testo («mirabile, Dio potente, per sempre, principe della pace») non si sono effettivamente realizzate e sono rimaste in attesa di un loro compimento. Tale compimento arriverà attraverso un altro bambino, che si dovrà ancora lungamente attendere.
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Il bambino atteso
Chi sia questo infante, ardentemente atteso, non è rivelato se non alla lettura del Vangelo di Luca, il quale ci narra della nascita di Gesù a Betlemme. In particolare, il racconto di Lc 2,1-14 si svolge in tre quadri: il censimento (vv. 1-5); la nascita di Gesù (vv. 6-7); l’annuncio ai pastori (vv. 8-14).
Il resoconto del censimento (vv. 1-5) pone l’evento della nascita di Gesù all’interno della storia del suo tempo e in una prospettiva universale. Vengono nominati l’imperatore romano Augusto e il governatore della Siria Quirino, in quanto grandi della terra. Essi sono volutamente posti in contrasto con l’insignificanza della famiglia di Nazaret, con Giuseppe, Maria sua sposa e il frutto del suo grembo.
Ma il censimento (avvenuto probabilmente intorno al 6 d.C.), espressione della tracotanza del re già nell’AT (2 Sam 24; 1 Cr 21), diventa l’occasione per realizzare il programma celeste, in cui Dio si manifesta. L’evangelista utilizza infatti l’espediente del censimento per mettere in collegamento Gesù con la città di Davide, Betlemme. La profezia di Natan (2 Sam 7,12-17), che predice la nascita del Messia dalla casa davidica, e l’annuncio di Lc 1,32 sul figlio di Maria come discendente di Davide si realizzeranno quindi in Gesù, che, attraverso Giuseppe, farà parte della famiglia di tale re e nascerà a Betlemme.
Una salvezza che raggiunge tutti
Se l’evangelista Luca ci fa comprendere che nella debolezza di questo bambino, insignificante e inerme di fronte ai potenti della terra, si trova la presenza salvifica di Dio, l’autore della lettera a Tito, nella seconda lettura, può finalmente dare il buon annuncio di un dono salvifico di Dio che raggiunge tutti gli uomini, senza escludere nessuno.
Questo ultimo brano è tratto da una lettera, quella a Tito, che in base all’intestazione è direttamente attribuita a Paolo, mentre, con molta probabilità, è da far risalire alla tradizione paolina formatasi intorno a questa grande figura del cristianesimo primitivo. Tale cerchia di discepoli intende riprendere l’insegnamento autorevole dell’Apostolo e adattarlo, alcuni anni dopo la sua morte, alle nuove esigenze delle Chiese.
Il nostro testo (Tt 2,11-14) è preceduto da un brano che presenta una serie di esortazioni specifiche per la vita quotidiana di ciascuna categoria di credenti, costituendone la motivazione stessa. Infatti, secondo quanto si scrive, la fede cristiana può e deve manifestarsi nella realtà di questo mondo perché è fondata sul concreto intervento storico di Dio in Gesù di Nazareth.
In lui Dio offre a tutti gli uomini, senza distinzione, la sua «grazia». Si tratta dunque del suo amore gratuito e universale che, se accolto, costituisce la vera salvezza per ogni essere umano. Tuttavia tale salvezza non riguarda soltanto l’esistenza nell’aldilà, ma il presente della vita terrena.
MESSA DEL GIORNO
La celebrazione della Messa del giorno, ci introduce nelle profondità del mistero di Dio, conducendoci per mano, a guardare dentro la realtà del Dio Trino ed unico, il cui Verbo, squarciando i cieli, ha assunto la natura umana per redimerla.
Il rivelarsi di Dio nella storia
La Parola di Dio di questo giorno santo mostra come Dio si renda presente nella storia degli uomini fino a condividere in tutto la loro stessa condizione. Il testo di Eb 1,1-6 richiama sin dall’inizio questo lungo processo di rivelazione che giunge al culmine in Cristo. In effetti, il brano liturgico mette insieme due diverse pericopi, una costituita dai vv. 1-4 e una dai vv. 5-14, di cui si sono scelti soltanto i primi due versetti.
In particolare, i vv. 1-4, che costituiscono il proemio della lettera agli Ebrei, anticipandone molti dei temi, sono segnati da una serie di opposizioni. Alla molteplicità dei modi di rivelazione di Dio nell’Antico Testamento corrisponde un modo semplice e univoco di rivelazione: quella in Cristo. Al tempo passato si contrappongono ora i tempi ultimi ed escatologici. Il parlare di Dio ai padri (antenati di Israele) nel passato è messo in contrasto col suo discorso al «noi» (l’autore e i lettori) nell’oggi. Infine, al posto della parola dei profeti, si trova la Parola proferita da Dio in “un Figlio”. Così il parlare di Dio giunge al suo compimento in una Parola unica e definitiva che rischiara e dà senso a tutta la storia umana e al destino di ciascun uomo.
Poi il Figlio è descritto attraverso sette diverse attribuzioni che hanno le loro radici in altri testi biblici: erede di tutte le cose, colui attraverso il quale Dio ha creato il mondo, luce radiante della gloria di Dio, esatta rappresentazione di Dio, colui che sostiene tutta la creazione, purificatore dai peccati e seduto alla destra di Dio nei cieli. Al v. 4, a conclusione del discorso, si afferma la superiorità del Figlio rispetto agli angeli, a motivo del nome particolare che egli ha ricevuto. Questo confronto tra il Figlio e gli angeli si sviluppa nei vv. 5-14 con citazioni anticotestamentarie, mostrando la superiore dignità del Figlio, che è Figlio di Dio, Messia e da adorare come Dio.
L’accoglienza del Verbo fatto carne
Il testo di Gv 1,1-18, prologo dell’intero Vangelo, costituisce una riflessione approfondita sull’Incarnazione, spostando l’attenzione sulle sue conseguenze. Il brano giovanneo può essere suddiviso in tre parti: i vv. 1-5 con il Verbo eterno luce e vita della creazione; i vv. 6-13 con Giovanni Battista, il Verbo nel mondo e tra i suoi; i vv. 14-18 con il Verbo fatto carne e la comunità dei credenti in Cristo.
Nei vv. 1-5, l’autore si addentra nel mistero della comunione di Dio con il Verbo, descrivendolo come mediatore della creazione e vera luce da seguire nella vita. Nei vv. 6-13, entra nella storia con il Battista, chiamato a testimoniare il Verbo, mentre si palesa il dramma del rifiuto della sua luce. Al contrario, coloro che lo accolgono ricevono una nuova vita, diventando figli di Dio. Nei vv. 14-18, si afferma che il Verbo eterno è entrato nella storia e nel tempo, mostrando in Cristo la piena rivelazione di Dio.
Annunciatori di speranza
Il Cristo accolto, con la luce e la vita che derivano da lui, non è da tenere per sé, ma da testimoniare. Questo è il messaggio di Is 52,7-10, che annuncia la buona notizia del ritorno del Signore a Gerusalemme. Questo evento diventa un richiamo per i credenti a divenire pellegrini di speranza, annunciando la buona notizia del Vangelo di Cristo, Figlio di Dio incarnato, per ogni uomo e ogni donna.
Commento al Vangelo tratto dal sussidio CEI al periodo di Avvento/Natale 2024