Il “Terzo” Isaia
La terza parte del libro del profeta Isaia (Is 56–66) dà per presupposta la ricostruzione del tempio, ma non ancora delle mura (cf. 60,10). La composizione di questa sezione del libro è sicuramente posteriore al 520 a.C., ma molto prima della missione di Neemia che si colloca all’incirca mezzo secolo più tardi (445 a.C.).
Vari studiosi considerano Is 56–66 non come un’opera autonoma opera del cosiddetto Terzo Isaia, ma un blocco letterario collegato ai cc. 40–55, attribuiti al cosiddetto “Secondo Isaia”, considerandolo un’espansione liturgica e teologica della sua profezia.
Il nucleo centrale di questi capitoli (cc. 60–62) è da alcuni attribuito addirittura al Secondo Isaia in persona. Essi avrebbero conosciuto un accrescimento successivo in varie direzioni. Si potrebbe quindi ipotizzare – secondo l’esegeta A. Mello – un ministero del Secondo Isaia durato all’incirca quarant’anni, proprio come quello del Primo Isaia (740-700 ca a.C.). In queste pagine finali, Gerusalemme è ormai il tema centrale della profezia, fino a diventare il centro di attrazione di tutte le genti.
Una delle strutture letterarie proponibili di Is 56–66 può essere la seguente:
56,1-8 L’adesione a YHWH delle genti; 56,9–57,13 Prostituzione; 57,14–58,14 Il culto gradito a Dio; 59,1-21 Liturgia penitenziale; 60,1-22 Il pellegrinaggio a Gerusalemme; 61,1-11 Il centro della profezia (vv. 1-3a Il servo; vv. 3b-9 Il doppio promesso; vv. 10-11 La gioia delle nozze); 62,1-12 La nuova Gerusalemme; 63,1-6 Un giorno di vendetta; 63,7–64,11 Un salmo storico; 65,1-16a O servi o idolatri; 65,16b-25 Cieli e terra nuovi; 66,1-6 Il vero tempio; 66,7-14 Maternità di YHWH; 66,15-24 Raduno finale.
La pericope di Is 62,1-12 può invece essere così articolata: vv. 1-5 la sposa del Signore (Dio rompe il silenzio; Il simbolismo della luce; Il nome nuovo e l’unione sponsale); vv. 6-9 Le sentinelle; vv. 10-12 Un “segnale sopra i popoli”.
Arriva il tuo salvatore!
Il costruttore della nuova Gerusalemme del postesilio è il suo sposo (Is 62,5). È lui che ha appostato sulle mura della città delle “guardie che custodiscono/šōmerîm” (v. 6) e che non taceranno mai, proprio come i profeti… «Voi, che siete i segretari di YHWH (A. Mello)/Voi che risvegliate il ricordo del Signore (CEI 2008)» non c’è requie per voi e neppure a lui date requie finché non abbia stabilito e non abbia posto Gerusalemme come “oggetto di lode nella terra/tehillā bā’āreṣ” (vv. 6b-7).
Le sentinelle, cioè coloro che “tengono l’agenda di YHWH” e non gli “danno requie”, hanno dei doveri anche verso il popolo. Devono essere persone che passano per “le porte della città/šeārîm” e che devono preparare la strada al popolo che torna in città dall’esilio, a spianargli il sentiero e ad “alzare un segnale sopra i popoli/hārîmû nēs ‘al-hā‘ammîm”.
Le sentinelle devono rilanciare un messaggio urgente a tutti i popoli, un segnale “satellitare” forte e chiaro. Devono dire alla capitale di Israele, alla “figlia di Sion” che riassume in sé come madre la folla dei suoi figli: «Ecco,“il tuo salvatore/yiš‘ēk” viene» (v. 11).
La lettura personale (“salvatore”) della versione greca della LXX (sōtēr) e di quella latina della Vulgata (salvator) viene preferita da molti a quella impersonale del testo ebraico masoretico, il TM (“salvezza”) – privilegiato dalla tradizione ebraica –, grazie a un cambiamento minimo nella vocalizzazione. Spesso nell’AT il termine “salvezza/yēša‘” viene personificato (cf. Is 17,10a: «Perché hai dimenticato Dio, tuo salvatore, e non ti sei ricordato della Roccia, tua fortezza…?»).
Desiderata
Il Salvatore non viene a mani vuote. Il suo salario è con lui, la sua paga è nelle sue mani. Egli ha fretta di corrisponderla al suo servo, Israele. Esso l’ha testimoniato in esilio sopportando molto dolore e tanto disprezzo dagli oppressori. Aveva peccato, certamente, ma il dolore è sempre pesante da portare, per Israele e per il cuore del suo Dio.
Egli ha fretta di venire a portare la ricompensa che riscatta e trasforma, riporta a casa e ridona la gioia. Ricuce uno strappo, recupera un abbandono. Il dono di YHWH trasforma, non copre le colpe con un oblio falso e non costruttivo per le persone e un popolo intero. L’empietà della sposa lontana è cambiata nella santità contagiata dal Totalmente Altro e Totalmente Vicino a un tempo.
Coloro che erano diventati esuli e schiavi sono riscattati a prezzo, un riscatto oneroso per YHWH che ha visto esposto al ludibrio il suo stesso nome (cf. Ez 20,22). Non può stare in cielo inoperoso, mentre la sposa, seppur infedele, viene sbeffeggiata dai nemici, che chiedono in terra straniera i canti della fede e dell’amore, i canti che si possono elevare solo nella terra della libertà, la terra del latte e del miele (cf. Sal 136).
Ha fretta di portare il suo riscatto lo Sposo che non ha mai dimenticato la sposa, ma l’ha desiderata da sempre e per sempre, purificata, bella, trasfigurata da un dolore che l’ha resa matura, sapiente, non arrogante. Agli occhi degli uomini, sembrava che, per un breve istante, YHWH l’avesse abbandonata (cf. Is 49,14; 54,7-8), e la sua sorte apparisse una rovina (cf. Sap 3,1ss). Ma YHWH è un Dio che ricerca il passato (cf. Qo 3,15), che cerca la “Ricercata/Derûšāh”, recupera la “Non-abbandonata/Lō’ Ne‘ĕzebāh”.
Vessillo sopra i popoli
Il “vessillo sopra i popoli” sarà un popolo piccolo, il più piccolo fra le nazioni. Ricco non per i suoi meriti, ma vaso di misericordia per esaltare la grazia immeritata di un Donatore Amante della Vita (cf. Dt 7,6-8).
Il “vessillo sopra i popoli” sarà il prodigio dell’amore sponsale di YHWH che scende dal suo trono inaccessibile e si fa Salvatore della sua sposa. È la salvezza in persona che si trasforma in diadema che esalta la bellezza della sposa (cf. Is 62,3), per le sue nozze rinnovate nelle loro fondamenta.
Un “vessillo sopra i popoli” perché indichi a tutti la strada giusta, la strada del ritorno a casa, la fine dell’esilio lontani da Dio.
YHWH si fa vicino, va incontro alla Sposa.
Cerca la “Ricercata” per unirla per sempre a sé nell’abbraccio dell’amore.
Forte come la morte è l’amore, le grandi acque non lo potranno mai spegnere (cf. Ct 8,6-7).
Il vessillo garrisce al vento, esile, ma sempre più stabile, impavido.
Segna ai popoli la via.
La via della Vita.
La Vita del suo Salvatore.
Andiamo a vedere la Parola accaduta
Gli angeli inviati a Betlemme tornano nel mondo di Dio, il Totalmente Altro e il Totalmente Vicino che si è chinato sui pastori, i disprezzati dal popolo, dai potenti, dagli uomini della religione.
Il loro lavoro è pesante, monotono. D’inverno il freddo di Betlemme brucia la faccia e le mani, e il fuoco non scalda mai abbastanza. Scalda solo davanti, ma la schiena sente tutto il freddo del mondo, l’indifferenza e l’ostilità della gente, l’ostracismo dei benpensanti.
Dio Padre non si è vergognato di loro. Ha mandato i suoi angeli a rivelare proprio a loro l’identità di Gesù, il loro Salvatore, che è Cristo Signore (cf. Lc 2,11) e dargli il segno concreto per riconoscerlo (cf. 2,12).
«Andiamo a Betlemme», si dicono, «andiamo a vedere la “parola-fatto accaduta/to rhēma to gegonos” che il Signore ci “ha fatto conoscere/egnōrisen”». Siamo increduli che il Signore abbia visitato noi per primi; davvero le sue vie non sono le nostre vie (cf. Is 55,9).
Le parole tra uomini hanno un peso e, se sono promesse e contratti, sono solide come pietre.
La Parola di Dio è diventata Fatto, concretezza, realtà viva da vedere e da toccare, da amare e da baciare. Tante promesse trovano condensazione in quella parola-fatto di Betlemme. I pastori ne avevano sentito parlare, di straforo, da lontano, dai discorsi bisbigliati dalle loro mogli e dalle parole scambiate fra i loro amici che avevano avuto la possibilità di andare al tempio, di pregare e di ascoltare la Torah.
Se deve venire il Messia, verrà anche per noi poveri, messi male, buttati in fondo alla scala…
Il bambino nella mangiatoia
In fretta i pastori vanno a cercare fra le grotte numerose di Betlemme. Adattate ad abitazione, normalmente esse avevano un “ambiente principale/katalyma” per la famiglia e un ripostiglio per gli animali e per gli attrezzi. Trovano una famiglia che si era ristretta nel katalyma e che aveva messo a disposizione dei parenti, arrivati dalla Galilea per il censimento, il ripostiglio-stalla. Era tutto ciò che potevano fare, il meglio che avevano in quel momento. Nella stalla si sta un po’ stretti, ma c’è abbastanza caldo e anche un po’ di intimità per una donna che ha appena partorito. Nella “mangiatoia/phatnē” il neonato ci sta benissimo, tranquillo, ha appena fatto un sorrisino.
I pastori hanno trovato la grotta giusta, dove nella stalla c’è una famigliola che parla come i galilei, con un bambino appena nato. Entrano e trovano la regina madre, Maria, Giuseppe il suo sposo e il neonato a giacere tranquillo nella mangiatoia.
Una scena normalissima, il miracolo di una vita nuova che commuove anche i più duri di cuore. Bello, se non fosse che tutto l’insieme stride enormemente con quello che gli angeli avevano detto del bambino. I pastori “fanno conoscere/egnōrisan” ai genitori quello che il Signore “aveva fatto conoscere/egnōrisen” a loro. Solo una voce da fuori poteva illuminare la profondità di un mistero grande nascosto in quel bambino.
Bello sì, ma un Messia… in una stalla!
A rimbalzo
L’ambiente non è grande, e si riempie in fretta dei parenti e dei vicini che ascoltano le cose dette dai pastori. Maria ascolta tutto, in silenzio. Beve ogni parola-fatto (ta rhēmata tauta), le “custodisce/syentērei” perché non scivolino via o diventino pura emozione. Le “confronta/synballousa” con quel che vede attorno a sé, ma soprattutto con quello che sente dentro di sé.
A rimbalzo Maria mette a confronto il visibile con l’invisibile, le vie di Dio e la povertà che regna attorno a lei. È bello guardare il suo bambino, mangiarselo con gli occhi e mordicchiare le sue guance. I pastori dicono cose grandi di lui, quasi le stesse che ha sentito dentro di sé tanto tempo prima a casa sua, a Nazaret: Salvatore, Messia/Cristo/Unto, Signore, nella città del re Davide…
È questa la gloria di Dio? È questa la sua salvezza, la sua regalità? Questo bimbo sarà il Messia? Sarà potente? Gli toccherà soffrire? Dovrà patire per farsi accettare? Sarà preso per pazzo e sbeffeggiato per le sue pretese? Come reagirà il popolo alle sue parole?
Dio, fammi luce.
Fa’ luce su quel che vedo, perché veda oltre quello che vedo.
Tutti ti lodano, credo non mi resti altro da fare adesso.
Il futuro è nelle tue mani.
Viene il Salvatore, che è Cristo, Signore?
In questo bimbo?
Vieni in aiuto alla mia fede.
Cercami, sono la tua “Ricercata”.
Commento a cura di padre Roberto Mela scj – Fonte del commento: Settimana News