Nel carattere penitenziale tipico del ciclo C, la celebrazione odierna mira a enfatizzare l’appello alla conversione. La figura di Mosè ci consente di contemplare la misteriosa potenza di Dio, capace di custodire e promuovere la vita mentre essa brucia e va in fumo. Nella vicenda del popolo di Israele sappiamo che la liberazione che Dio compie per noi non accade mai senza di noi: egli suscita profeti e ministri in mezzo al popolo, perché il suo disegno prenda carne nella storia. E se con il salmista possiamo cantare la misericordia di Dio e la sua grandezza nell’amore, non è per astenersi dalla durezza del cammino di conversione, ma per custodire la memoria di Colui che, con il suo agire e il suo operare, ne è il principio e il compimento. Giunti quasi a metà dell’itinerario quaresimale, le parole si fanno dure: chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere. E mentre si tenta di infrangere il nostro istintivo immaginario retributivo, si spinge ancora sulla necessità della conversione, per non lasciarsi incatenare dalla morte.
La forza di tali parole, però, si unisce al ricordo positivo della strada che la Chiesa percorre dagli inizi nel suo fare penitenza: il peccato si combatte con la preghiera, il digiuno e la carità. È nello spirito che tali pratiche ci plasmano, così che possiamo dire: perdona, o Padre, i nostri debiti, e donaci la forza di perdonare ai nostri fratelli (cf Orazione sulle offerte).
Se in questa domenica si celebrano gli scrutini preparatori al Battesimo degli adulti, si possono usare le orazioni rituali e il ricordo proprio nella Preghiera eucaristica (MR, p.709-711). Inoltre, i Vangeli della Samaritana, del cieco nato e della risurrezione di Lazzaro appartenenti al ciclo A, per il loro carattere fortemente battesimale, possono essere letti anche nei cicli B e C, specialmente se ci sono catecumeni (cf Paschalis Sollemnitatis 24). Tale scelta, facoltativa ma senza dubbio opportuna, può essere rimandata anche ad uno dei giorni feriali della settimana stessa (cf OLM 97-98).
Commento
Il Vangelo di questa III domenica di Quaresima è un pressante invito da parte di Gesù alla nostra conversione. Attraverso il racconto di due episodi di cronaca, la strage di un gruppo di Galilei da parte di Pilato, e l’improvviso crollo di una torre con la morte di diciotto persone che sostavano nei suoi pressi, il Signore Gesù ci ricorda quanto sia labile la nostra vita ed esposta al continuo rischio di una fine improvvisa (cf Lc 13,1-5). La morte che può colpire inattesa ciascuno di noi e dalla quale dobbiamo a tutti i costi guardarci, però, non è tanto la morte fisica, destino comune a tutti gli uomini. L’ammonimento di Gesù è a evitare una morte che è collegata con la nostra mancata conversione a Dio. Il fine della vita umana è quello di fruire della visione di Dio dopo la morte fisica, di godere della sua amicizia e compagnia per tutta l’eternità, nella comunione dei santi. Tutti i nostri sforzi dovrebbero essere tesi a realizzare questo fine, tutte le nostre attenzioni dovrebbero essere devolute alla vita vera, alla vita che non tramonta, alla comunione piena e perfetta con la Trinità.
Questo significa forse che dobbiamo disinteressarci di questa vita? Che dobbiamo trascurare i nostri impegni terreni in vista del premio celeste che ci attende? Certo che no! Con la parabola dell’albero di fichi (cf Lc 13,5-9), Gesù ci ricorda cosa significhi, infatti, convertirci. Conversione è portare frutto, portare quel frutto di giustizia e di amore che Dio, nostro agricoltore, si aspetta da ciascuno di noi. Questa vita è il tempo che ci è dato per portare frutto, i nostri impegni di ogni giorno sono l’occasione che il Signore ci offre per mostrargli che il nostro cuore è rivolto a Lui e si spende per il bene dei fratelli.
Come ci ha ricordato Paolo nella seconda lettura, la storia delle peregrinazioni esodiche di Israele nel deserto sono emblematiche della vita del cristiano in questo mondo. Anche noi dobbiamo allora metterci in cammino costante verso il Signore, dobbiamo lasciare la terra della nostra schiavitù, cioè la vita di peccato a cui eravamo abituati, e dobbiamo procedere, guidati solo dalla parola del Signore, verso la terra promessa della nostra comunione piena con Lui. Il giorno del nostro battesimo è stato il punto di non ritorno della nostra vita: come Israele, attraversando il Mar Rosso si era precluso la possibilità di ritornare in Egitto, così noi, nel nostro battesimo, abbiamo scelto irrevocabilmente la via del deserto, la via della totale dipendenza da Dio, che ci ha nutriti di Sé, e ci ha fatti procedere verso la nostra meta (cf 1Cor 10,2-4). Ma l’Apostolo ci ricorda che la nostra vita, come quella degli Israeliti, è costantemente esposta al rischio della mormorazione, cioè del rimpianto per l’Egitto, del rimpianto per la vita superficiale e lontana da Dio, che abbiamo vissuto (cf 1Cor 10,10). Guai a noi, se il richiamo del peccato fosse più forte del richiamo della santità! Avremmo vanificato tutte le attenzioni poste dal divino agricoltore per farci portare frutto!
Dio non ci abbandona mai alle nostre sole forze: questa deve essere la nostra fiducia. Il compito della santità non è solo sulle nostre deboli spalle, ma è opera dell’intervento liberante di Dio nella nostra vita. La prima lettura ci ha ricordato che l’iniziativa della nostra salvezza è stata presa da Dio: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele” (Es 3,7-8). Dio ha desiderato la nostra redenzione dal peccato, la nostra liberazione dalla schiavitù delle nostre passioni, più di quanto potessimo desiderarla noi stessi. La conversione che Gesù ci chiede, allora, non è frutto dei nostri sforzi, ma è accoglienza dell’intervento salvifico di Dio per noi, di quel Dio che, ci ricordava il Salmo responsoriale, si è rivelato a Mosè come “misericordioso e pietoso”, “lento all’ira e grande nell’amore”, come Colui che “perdona tutte le tue colpe”, “guarisce tutte le tue infermità”, “salva dalla fossa la tua vita”, “ti circonda di bontà e misericordia” (Sal 102,3-4.7-8).
Il cammino della Quaresima è il segno sacramentale del nostro cammino nel deserto del mondo, è il segno di questo intervento di salvezza che Dio ha operato per noi, mosso solo dal suo amore infinito e gratuito per l’umanità, che gemeva e soffriva nei ceppi della sua schiavitù al peccato. Siamo chiamati a riappropriarci con coscienza piena della grazia del nostro battesimo, grazia di rottura con una vita di lontananza da Dio, grazia di conversione, cioè di ritorno a Lui, dopo che gli avevamo voltato le spalle. Questa grazia di conversione è dono suo, è dono di Colui che desidera la nostra pienezza di felicità ed è capace di attuarla efficacemente. Al suo amore misericordioso e pietoso, al suo amore grande (cf Sal 102,8) affidiamoci con confidenza piena e porteremo frutti di vita eterna.