Anche in questa domenica il Signore ci ha raccolti per condurci con lui verso Gerusalemme. È un viaggio diverso dainostri.
Non siamo noi infatti a stabilire la meta e neppure l’itinerario. Non siamo noi i maestri e i pastori di noi stessi. In questo viaggio, che nelle domeniche ha come delle tappe, è il Signore che sta davanti a noi.
È lui che guida i nostri passi, perché possiamo raggiungere la statura spirituale alla quale siamo chiamati. Domenica scorsa la liturgia ci ha fatti sostare accanto a quell’uomo mezzo morto ch’era stato abbandonato dal sacerdote e dal levita e ci ha mostrato nel buon samaritano l’immagine vera del cristiano. Oggi, quasi a voler creare un dittico nel descrivere l’identità del discepolo, viene aggiunta un’altra immagine, quella di Maria seduta ai piedi del maestro. L’evangelista Luca fa seguire immediatamente la scena di Marta e Maria a quella del buon samaritano. Volentieri ricordo un caro amico, Valdo Vinay, il quale amava ripetere che non era certo un caso la contiguità di questi due brani evangelici. Anzi, a suo parere, essi vanno letti sempre uniti, perché rappresentano il “dittico” dell’identità del cristiano, che deve essere, nello stesso tempo, buon samaritano e Maria.
In queste due immagini sono, infatti, rappresentate le due dimensioni inseparabili della vita evangelica: la carità e l’ascolto della parola. Il Vangelo non prevede gli esperti della carità da una parte e gli esperti della preghiera dall’altra. Ogni credente deve stare in ascolto di Gesù, come Maria, e nello stesso tempo deve curvarsi sull’uomo lasciato mezzo morto lungo la strada, come fece il samaritano. Non esiste opposizione, quindi, tra carità e preghiera, tra “vita attiva” e “vita contemplativa”. Quella che il Vangelo stigmatizza è piuttosto l’opposizione tra il tirar via e il fermarsi davanti a chi ha bisogno, tra l’essere presi totalmente dalle proprie cose e il lasciarsi trascinare dall’ascolto del Vangelo. È totalmente estranea al Vangelo quella contemplazione che ignora la pena quotidiana, come anche una vita presa tutta dai propri problemi e dai propri affanni.
Ma fermiamoci all’episodio evangelico di Marta e Maria. La loro casa si trovava in Betania, un sobborgo di Gerusalemme. Gesù amava fermarsi da loro: vi trovava calore e affetto. Di fronte alle gravi e difficili dispute che lo aspettavano a Gerusalemme e soprattutto di fronte all’ostilità sorda e cattiva che spesso vi riscontrava, si può comprendere quanto fosse consolante per lui trovare una casa ove essere accolto e dove poter riposare. E per lui, che non aveva neppure una pietra come guanciale ove posare il capo, quella casa era davvero un rifugio desiderato. L’amicizia di Lazzaro, di Marta e di Maria lo sosteneva nella sua faticosa missione evangelizzatrice. Di qui si può comprendere il pianto di Gesù di fronte alla morte dell’amico Lazzaro. Ebbene, in questa casa di Betania ma non dovrebbe essere così per tutte le case dei discepoli? sembra ripetersi la stupenda scena descritta nel libro della Genesi (18,1-10), propostaci in questa domenica come prima lettura.
Si tratta dell’episodio di Abramo che accoglie sotto la sua tenda tre pellegrini. A tutti noi è noto il capolavoro del santo pittore russo Rublev, che ha immortalato questa scena con i tre angeli raccolti attorno alla mensa preparata da Abramo. Il pittore russo aveva ben in mente quanto è scritto nella Lettera agli Ebrei: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo” (13,2). Qui, a Betania, i tre, con la loro squisita ospitalità, hanno accolto l’angelo di Dio, il maestro di Nazareth. Si potrebbe dire che nella scena di Marta e Maria, che accolgono Gesù, si porta al suo culmine l’accoglienza di Abramo. Il Vangelo non vuole sminuire i gesti concreti di Marta: l’accoglienza è fatta anche di questo. Non vuole neppure fare delle due sorelle i simboli di due stati di vita. Il problema sta nella profondità dell’accoglienza. Marta è tutta presa dai molti servizi, preoccupata e agitata per molte cose, al punto da dimenticare il senso stesso di quello che stava facendo, ossia l’accoglienza a Gesù. Pure nella parabola del buon samaritano potremmo dire che il sacerdote e il levita sono talmente presi dai loro compiti, anche religiosi, che dimenticano l’essenziale del loro servizio, la compassione di Dio. Come sta scritto: “Misericordia voglio, non sacrifici” (Os 6,6).
Nel caso di Marta è talmente evidente il distorcimento dei fini che la donna, invece di pensare a Gesù con affetto e premura, si lascia prendere dai nervi nel vedere Maria seduta ad ascoltare e scatta verso Gesù rimproverandolo: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire?” (v. 41). Gesù, con calma e affetto, le risponde che lei si agita e si preoccupa per troppe cose, mentre una sola è quella veramente necessaria: l’ascolto del maestro. Questa è la cosa migliore, perché cambia il cuore e la vita. Chi ascolta la Parola di Dio e la custodisce sarà un uomo e una donna di misericordia e di pace. Maria, vera discepola di Gesù, ha scelto questa parte, la migliore: il primato assoluto, nella propria vita, dell’ascolto di Gesù. Se lo ascolteremo, vivremo come lui e saremo salvi.
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XVI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
- Colore liturgico: Verde
- Sap 12, 13. 16-19; Sal. 85; Rm 8, 26-27; Mt 13, 24-43
Mt 13, 24-43
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 16 – 22 Luglio 2017
- Tempo Ordinario XV, Colore Verde
- Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 3
Fonte: LaSacraBibbia.net
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