Commento al Vangelo del 23 Dicembre 2018 – Tiziana Mazzei

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Tra due giorni è Natale e oggi le letture della Messa ci fanno vedere i primi mesi di gravidanza di Maria. Il Vangelo inizia cosi: “In quei giorni Maria si mise in viaggio …”

Di che giorni si tratta? Ci si riferisce ai giorni subito dopo l’annunciazione dell’angelo a Maria.

L’angelo l’aveva informata che Gesù sarebbe nato da lei e che anche sua cugina Elisabetta, nonostante la sua età avanzata, era al sesto mese di gravidanza.

Quando una donna rimane incinta che cosa succede di solito? Come si sente?

I primi tempi di gestazione sono alquanto difficili. Spesso la mamma si sente male, sente tanta nausea, vomito, le gira la testa, e’ debole…, insomma questo piccolo esserino, che si sta sviluppando dentro di lei,cambia l’equilibrio del suo intero organismo…

Eppure Maria non pensa a se stessa e si mette lo stesso in viaggio per andare ad aiutare Elisabetta. Non solo: il Vangelo ci dice anche che raggiunse “in fretta” la casa della cugina. Sappiamo che la distanza da lei percorsa non era breve. Si tratta di più di 100 km e non con la macchina o con il treno, ma a piedi o al massimo sul dorso di un asino.

Maria non vuole perdere tempo, vuole rendersi utile, arrivare prima che Elisabetta partorisca per compiere insieme a lei i preparativi per accogliere Giovanni.

Appena Elisabetta la vede, il bambino si muove in lei perché pieno di gioia, ed Elisabetta loda Maria per la sua fede.

Che significato ha questo brano per noi? Come sempre la Parola di Dio è ricca di molti spunti, ma io vorrei fermarmi su due considerazioni in particolare: la prima riguarda la virtù della prontezza. Per capirne l’importanza basta che consideriamo come in alcuni casi il ritardo sia fatale: se state facendo una gara di qualsiasi genere, l’arrivare anche un solo secondo dopo l’avversario vi fa perdere la competizione… per non parlare di quanto spesso avvengono incidenti e morti a motivo di un semplice ritardo di frenata o di tempestività nel soccorso.

La prontezza fa parte della definizione stessa di ogni virtù. Infatti, che cosa è la virtù? E’ l’inclinazione a compiere il bene con facilità, prontezza e gioia. Ad esempio: per avere la virtù della sincerità, non è sufficiente che io un giorno mi astenga da qualsiasi forma di falsità, ma è necessario che io mi abitui, ossia ripeta ogni giorno il medesimo comportamento veritiero, in modo che mi venga spontaneo, naturale e facile dire la verità. Se anche dico la verità ma ancora faccio lo sforzo per respingere la tentazione di mentire, sicuramente faccio una cosa buona, ma ancora non ho la virtù della sincerità. Posso dire di possederla solo nel momento in cui riesco a dire la verità sempre, con facilità, prontezza e gioia. Come si fa ad arrivare a questo livello? Semplice: come per tutte le cose ci vuole esercizio, molto esercizio. Voi potreste dirmi: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare; ebbene no, tra il dire e il fare c’è di mezzo il cominciare. Cominciamo ad esercitarci in questa virtù della prontezza. Ad esempio: se la mattina quando suona la sveglia hai l’abitudine di girarti dall’altra parte e di indugiare a letto prima di fare il grande sforzo di abbandonare il materasso, da domani mattina appena suona la sveglia, alzati subito e non solo domani. Ripeti per un mese di seguito questo comportamento e vedrai che poi ti verrà automatico.

Il secondo spunto che vorrei approfondire riguarda la virtù del servizio. Maria qui ci manifesta egregiamente questa virtù.

Servire significa mettersi nei panni dell’altro per comprendere la sua situazione ed intervenire a proposito. Noi serviamo quando siamo attenti all’altro, quando non mettiamo sotto i riflettori le nostre esigenze, quando ascoltiamo con attenzione, non solo con le orecchie, ma soprattutto con il cuore, le necessità di chi ci vive accanto.

Quanto spesso, anche se eseguiamo i compiti affidatici, facciamo pesare il nostro aiuto, a distanza di tempo lo continuiamo a rinfacciare o borbottiamo dentro e fuori di noi, o diciamo: “aspetta un attimo, ancora un attimo”. Che bello invece sarebbe fare subito quello che ci viene richiesto! Ancora meglio sarebbe prevenire la richiesta e ovviamente non mostrare la stanchezza o il disagio affrontato, né tanto meno lamentarci o rinfacciare quanto fatto. Abbiamo il tremendo potere di annullare con questi comportamenti il valore e la gioia del nostro servizio. Prendiamo esempio da Maria e chiediamole di affiancarci in questa impresa.

Anche qui è di fondamentale importanza l’esercizio.

Tornando a casa, invece di lamentarvi e di piagnucolare: “mamma, ho fame”, “mamma, ho sete”, “mamma, quando si mangia”, datevi da fare ad aiutare ad apparecchiare la tavola e se vedete che nel corso del pranzo l’acqua della caraffa finisce, o il fratellino ha bisogno di un cucchiaino, non aspettate che qualcun altro si alzi a prendere quello che manca, ma pensateci voi…

Come Giovanni ha balzato di gioia nel grembo di Elisabetta per la venuta di Maria, possa il vostro servizio, offerto con prontezza, senza lamentele e ritardi, portare gioia a voi e a coloro a cui vi rivolgete.

Allora anche voi potrete dir quello che la lettera agli ebrei nella seconda lettura, mette sulla bocca di Gesù : “Tu non hai voluto né sacrificio, né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Allora io ho detto, ecco io vengo, per fare o Dio la tua volontà”

Si, anche noi vogliamo dire a Dio che siamo pronti a fare la sua volontà; vogliamo donare a Dio, non tanto i sacrifici, i cosiddetti “fioretti”, quanto il nostro servizio eseguito con dedizione e prontezza .

“Dormivo e sognavo che la vita era gioia. Mi svegliai e vidi che la vita era servizio. Volli servire e vidi che servire era gioia”. (Tagore)