DO LA MIA VITA PER LE PECORE
- 11. Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
In questa quarta domenica di Pasqua, detta anche Domenica del Buon Pastore, la Chiesa invita tutti i fedeli a pregare per le vocazioni. Ci uniamo anche noi a questa intenzione perché siano tanti e santi coloro che rispondono alla chiamata di Cristo nella vita sacerdotale, matrimoniale, missionaria, religiosa, laicale per stare con Lui e per annunciare il Vangelo al mondo intero.
La liturgia offre alla nostra meditazione il brano di Giovanni, in cui Gesù si presenta come colui che dà la vita per gli altri, colui che realizza le promesse dei profeti e le attese del popolo. L’immagine del Pastore, nella Bibbia, è associata a Dio, altre volte al re, ai sacerdoti e ai profeti che guidano il popolo. Gesù è il Buon Pastore, non uno qualsiasi. Le pecore (i fedeli) sanno percepire chi veramente le ama e chi invece le disprezza, come facevano i farisei che chiamavano il popolo “gente maledetta e ignorante che non conosce la legge” (cfr. Giovanni 7,49; 9,34), ritenendosi detentori della verità, mentre erano ciechi. I fedeli, invece, sanno riconoscere la voce del pastore e lo seguono perché percepiscono di potersi fidare di lui.
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“Io sono”: quando Gesù si presenta utilizza le parole che identificano Dio stesso: “Io sono” (Egó eimi – Esodo 3,14), nome impronunciabile e ineffabile, scritto con le quattro consonanti (tetragramma) “JHWH”. Gesù può presentarsi con il nome di Dio stesso, perché è il Risorto e il Vivente, il Figlio di Dio. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù ripete più volte “Io sono” aggiungendo delle specifiche: “Io sono il pane della vita” (Giovanni 6,35); “Io sono la luce del mondo” (Giovanni 8,12); “Io sono la porta delle pecore” (Giovanni 10,7); “Io sono la resurrezione e la vita” (Giovanni 11,25); “Io sono la via, la verità e la vita” (Giovanni 14,6); “Io sono la vite” (Giovanni 15,5). Nel brano di questa domenica egli è il “Pastore buono”.
“Io sono il buon pastore”: il termine deriva dal greco kalós che significa buono, ma anche bello, utile, vero. Contrariamente ai capi di Israele che, spesso, non si sono comportati come veri pastori, Gesù si presenta come il pastore Buono / Bello / Vero. L’appellativo di “Buon Pastore” va anche a Dio Padre, invocato e lodato come “Pastore di Israele” (cfr. Salmo 80,2).
Il Buon Pastore, Gesù, non è debole e remissivo. È forte e risoluto, intrepido e coraggioso. Non teme di rischiare, di esporsi al pericolo, di sopportare minacce, di subire una condanna ingiusta, di patire il supplizio della croce: il gregge da proteggere è più importante di tutto; la salvezza dell’umanità vale più di ogni sofferenza personale da sopportare.
“Dà la propria vita”: l’espressione “dare la vita” ricorre per ben cinque volte in questo brano. Veramente Gesù risponde alla propria missione di Pastore, perché dà la vita per le pecore. La sua morte in croce è stata il coronamento del suo darsi totalmente: ha realizzato ciò che prima ha insegnato.
Dare la vita è essere fedeli agli impegni assunti, è consumarsi giorno per giorno per gli altri, dare il nostro tempo e le nostre energie, mettere a disposizione i nostri talenti, è donare goccia a goccia, come il seme che si rinsecchisce sotto terra per sprigionare la spiga, come la linfa che alimenta i tralci, come la madre che allatta il suo bambino, come la sorgente d’acqua che feconda la terra arida.
A qualcuno il Signore può chiedere molto di più, anche lo spargimento di sangue, la testimonianza estrema, il martirio. Allora dare la vita è sostituirsi ad un ostaggio (cfr. il gendarme francese Arnaud Beltrame nel marzo 2018) o ad un altro condannato a morte (cfr. San Padre Kolbe). Dare la vita è confessare la propria fede e morire con il nome di Gesù sulle labbra (cfr. ventuno cristiani copti trucidati dai jihadisti dello Stato Islamico in Libia nel 2015). Dare la vita è rifiutare le cure pur di far nascere sana la creatura racchiusa nel grembo (cfr. Santa Gianna Beretta Molla). Dare la vita è…: ognuno di noi risponda…
- 12. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13. perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Giovanni ci presenta il contrasto tra Cristo, pastore che dà la vita, e il mercenario, pastore che opera solo per il salario che gli è dovuto per il servizio. Mentre il primo ha a cuore ogni singola pecora, che vuole salvare a qualsiasi costo, il mercenario scappa nel momento del pericolo e abbandona il gregge.
“pecore”: significa tutta l’umanità;
“mercenario”: significa chi è a capo ed agisce per il proprio tornaconto e non per il bene comune: Il pastore mercenario riceve il salario per il mestiere che esercita, ma le pecore non contano nulla per lui. Al momento del pericolo cerca di salvare se stesso e scappa, abbandonando al loro destino le pecore indifese.
“lupo”: significa l’avversario di Dio, il maligno. In generale sono i pericoli che incombono sulla comunità cristiana: persecuzioni, dubbi, defezioni, ecc.
“le rapisce e le disperde”: lo scopo del malvagio è la rovina della comunità, la sua dissoluzione e dispersione (come è avvenuto nella storia di Israele con le deportazioni).
- 14. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me,
Al contrario del mercenario, il Buon Pastore è assiduo custode del gregge, ne condivide la vita, assume “l’odore delle pecore” come dice Papa Francesco. Guida le pecore nei luoghi dove è più abbondante il pascolo per sfamarle, le conosce una ad una, le custodisce con amore stando attento a quella che è più debole, o più anziana, o più malata, o gravida. Nel momento del pericolo pensa più a loro che a se stesso, e le difende a costo della vita.
A Gesù importa la salvezza di ciascuno di noi! Nessuno è escluso dal suo amore, al punto che ci considera più importanti di se stesso. Ci conosce e ci ama nell’intimo, cerca la relazione con noi e offre tutto di sé. Sta a noi rispondere con amore all’amore, nella reciprocità del dono. È il suo amore che ci apre al senso di appartenenza a Lui e alla sua Chiesa.
Anche noi dobbiamo entrare in relazione con le persone che ci stanno attorno, donando l’amore che riceviamo, come il Pastore forte, bello, vero, buono.
- 15. così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.
La relazione di amore che esiste tra il Padre e Gesù si riflette sul legame che intercorre tra Gesù e noi. È un’affermazione più forte di quella del versetto precedente: non solo è disposto a dare la vita nel senso di metterla a rischio, ma è pronto a privarsi della vita per la salvezza nostra. Questa privazione della vita il nostro Salvatore l’ha realizzata durante tutta la sua missione e l’ha compiuta pienamente nella sua passione e morte.
Gesù ci dice che valiamo più dei gigli del campo, più dei passeri; non vuole che periamo nei flutti del lago in tempesta; ci nutre con il suo stesso corpo. È talmente grande il nostro valore davanti ai suoi occhi che si incarna per noi, condivide la condizione umana per noi, soffre per noi, muore per noi, risorge per noi; ci rende suoi fratelli davanti al Padre; ci apre le porte del Cielo e ci introduce nell’eternità! Non poteva fare più di così il nostro Pastore e Salvatore!
- 16. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Gesù estende la sua salvezza a tutti i popoli, non solo a quello di Israele. Vuole fare di tutta l’umanità una sola famiglia, un solo gregge. Conduce tutti alla salvezza, attraverso la sua morte e risurrezione. Non parla di fare un solo ovile, ma un solo gregge: non un luogo di raccolta, ma una relazione personale con ciascun componente.
La comunione esistente tra Gesù e il Padre supera i tempi, le distanze, i luoghi. Gesù è preoccupato che vi sia un solo gregge sotto un solo pastore e desidera che tutti i figli di Dio siano radunati da ogni dove. Ci sono tante pecore che non hanno ancora udito la voce di Gesù, ma che sono pronte a seguirlo. È la dimensione universale della salvezza.
- 17. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo.
In questo versetto emerge la figura di Dio Padre che ama il Figlio proprio perché dà la vita. Risalta la scelta libera di Gesù che dà la sua vita volontariamente, non gli viene tolta.
Gesù parla della sua morte, ma nella prospettiva della risurrezione: ha il potere di dare la vita, di toglierla e di riprenderla di nuovo (cfr. Giovanni 5,26).
“Riprenderla di nuovo”: secondo alcuni esegeti, il verbo che viene utilizzato (lambáno) significa “ricevere” e non “riprendere”. La traduzione corretta è “per riceverla di nuovo” e non riprenderla. Il Padre gli chiede di spendere la vita e così potrà riceverla.
La vita a Gesù non viene rubata, la sua morte non è frutto del caso, della cattiveria umana, di un destino avverso. Gesù offre la vita nella fede che il Padre mantiene la promessa di donargliela di nuovo. Non l’ha fatto per motivi religiosi, sacri, teologici, ma per puro dono di sé, frutto di un amore libero e incondizionato, scelta scaturita dal suo cuore. È Lui che dona la vita consapevolmente giorno per giorno, nella libertà, nell’amore fino al suo ultimo “sì”.
Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Questa affermazione ribadisce la profonda unità esistente tra il Padre e il Figlio, perché Gesù e il Padre sono una cosa sola.
C’è un’iscrizione sulla tomba di Abercio, un cristiano della fine del II secolo “Sono il discepolo di un pastore santo che ha occhi grandi; il suo sguardo raggiunge tutti”.
Sentiamo su di noi questo sguardo pieno di amore, che ci sostiene e ci guida. Apriamo il nostro cuore al dono, certi che non ci mancherà la forza, al momento opportuno, per essere fedeli fino in fondo alla nostra adesione al Pastore Buono.
Scopriremo che solo nella relazione diretta con Lui troviamo il senso del nostro esistere, del nostro vivere, del nostro morire.
Realizzeremo la nostra vocazione, cioè la specifica risposta con cui Dio Padre si aspetta di essere amato. E l’incontro con Lui realizzerà ogni nostro anelito.
Suor Emanuela Biasiolo
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IV Domenica del Tempo di Pasqua
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- Colore liturgico: Bianco
- At 4, 8-12; Sal.117; 1 Gv 3,1-2; Gv 10, 11-18
Gv 10, 11-18
Dal Vangelo secondo Giovanni
11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 22 – 28 Aprile 2018
- Tempo di Pasqua IV
- Colore Bianco
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 4
Fonte: LaSacraBibbia.net
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