Celebriamo oggi la memoria di Matteo, apostolo ed evangelista, e la liturgia ci porge il racconto della sua chiamata. La narrazione è stringata e presenta Matteo al suo lavoro, seduto al banco delle imposte, intento nel compito quotidiano di riscuotere le tasse per i governanti romani. Gesù gli passa accanto, lo “vede” e gli rivolge una sola parola: “Seguimi”.
Nei suoi confronti Gesù non ha il dito puntato, come vorrebbero molti farisei del tempo che consideravano i pubblicani dei peccatori pubblici, da evitare in nome di un’ossequiosa pratica religiosa. No, Gesù vede Matteo in profondità, “scommette” su di lui e sulle sue potenzialità più celate. Il suo agire rivela il volto di un Dio che va incontro agli uomini perduti, ne ascolta il grido, li raggiunge là dove si trovano.
Gesù crede nelle possibilità dell’amore. L’amore genera l’amore. Tutto può cambiare in colui che si sente visto, chiamato per nome, riconosciuto nel suo desiderio più profondo, oggetto di un’attenzione che esprime una fiducia incondizionata. Non si rimane indifferenti a uno sguardo e a una parola che trasmettono accoglienza e toccano il cuore. Si risponde, ci si mette in cammino. Come Matteo, che si alza e segue il suo Signore.
Ma Gesù non si limita a chiamarlo dietro a sé, e partecipa a un grande banchetto insieme ai suoi compagni: “Gesù era adagiato nell’animo di Matteo … In lui si rivela colui che volle essere a disposizione dell’uomo e desiderò abbracciare il debole con amore di padre” (Pietro Crisologo).
L’atteggiamento di Gesù infastidisce i farisei presenti che domandano ai discepoli: “Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?”. È mai concepibile un Dio che si fa commensale di questa gente? Dio non aspetta che chi si trova nel peccato si converta per potersi sedere a tavola con lui! Gesù ha contestato una religione senza cuore: “Misericordia io voglio, non sacrifici” (Os 6,6).
“Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. Si può aprire alla salvezza donata da Gesù non chi è convinto di avere un buon comportamento, ma chi si riconosce malato. Egli ci viene incontro nelle nostre debolezze, che dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia senza dissimularle; allora incontreremo il volto del Signore che cerca di posarvi il suo sguardo di amore e di comprensione.
L’amicizia del Signore è più grande del nostro cuore e precede la nostra conversione. Lo afferma con forza Paolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). Il cuore può cambiare nella fiducia e poco per volta la vita del Risorto affluisce in noi.
A volte ci è difficile accogliere l’amore preveniente del Signore, ma se facciamo spazio a colui che ci scorge senza condannarci, potremo conoscere la beatitudine evangelica di chi non trova in lui motivo di inciampo (cf. Mt 11,6), di chi accetta lo scandalo della misericordia e crede più al suo amore senza riserve che non all’evidenza della propria miseria.
Fratel Salvatore della comunità monastica di Bose
Leggi il brano del Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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