Commento al Vangelo del 21 Ottobre 2018 – Figlie della Chiesa

L’evangelista pone il dialogo tra Gesù e i figli di Zebedeo e il successivo insegnamento di Gesù in concomitanza con il terzo annuncio della passione, creando così un forte contrasto tra le parole di Gesù e le aspettative dei discepoli. Che l’accostamento non sia casuale ne è prova il fatto che anche in precedenza Marco non ha mancato di evidenziare l’incomprensione che si manifesta nei dodici in occasione degli annunci della passione e della risurrezione. La sequenza è sempre la stessa: annuncio della passione, incomprensione e successivo insegnamento sulla sequela. Dinanzi a questo parlare aperto di Gesù, Marco registra puntualmente la reazione negativa dei dodici: prima Pietro (8,32), poi i dodici preoccupati di sapere chi è il più grande (9,33) e infine Giacomo e Giovanni (10,35): Gesù non si scoraggia e proprio il loro indurimento offre l’occasione per un insegnamento più deciso sulla sequela.

v.36: La domanda che Gesù pone ai discepoli è la stessa che farà, pochi versetti più avanti, a Bartimeo: “cosa volete che io faccia per voi”. C’è differenza tra il modo di porsi di Gesù e il modo di porsi di Bartimeo. Ma in fondo, questa domanda, questo modo di porsi di Gesù davanti ai discepoli e a Bartimeo racchiude un po’ la medesima cecità. È bello che venga a coincidere la domanda di Giacomo e Giovanni e la cecità di Bartimeo. In fondo, chiedere di sedere nella gloria, uno alla destra e uno alla sinistra, è la vera cecità di ciascuno di noi. La vera cecità è la ricerca dei posti di comando. Ma di questa cecità noi siamo consapevoli e siamo indotti alla conversione da una domanda che non facciamo noi: cosa volete che io faccia per voi? In fondo, ciò che converte al servizio è il servizio, ciò che converte all’umiltà è l’umiltà. Non ciò che induce, ma ciò che converte. C’è poi questa docilità di Giacomo e Giovanni sia a bere il calice che a ricevere il battesimo, ma c’è in virtù di questa domanda: cosa volete che io faccia per voi? In fondo, di fronte a ogni potere, paradossalmente, ciò che siamo chiamati a vivere è il potere che ci è dato di metterci al servizio. Quanto più abbiamo responsabilità, tanto più dobbiamo essere in grado di porre questa domanda: cosa volete che faccia per voi?

v.37: Sembra che Giacomo e Giovanni stiano immaginando il cammino di Gesù come un andare verso la sua gloria e probabilmente intendono la gloria terrena, regale, di una persona che sta per salire sul trono ed esercitare il potere messianico sul popolo di Israele. Per fortuna c’è un elemento che salva la richiesta di Giacomo e Giovanni; non chiedono: “dacci il potere”; ma “rendici vicini alla tua gloria, uno alla tua destra l’altro alla tua sinistra”. Volere la gloria è insieme ingenuo e sbagliato, ma qui chiedono la gloria di Gesù. Ed è questo “vicino a Gesù” che salva la richiesta di Giacomo e Giovanni.

È difficile dire su cosa Giacomo e Giovanni fondassero la loro richiesta: forse sul loro essere cugini o parenti di Gesù, come tramanda una tradizione antica, ma è più facile che facessero valere la loro anzianità di chiamati essendo con Gesù fin dall’inizio, oppure il loro zelo, la loro fedeltà. In ogni caso la loro è la solita pretesa che emerge in ogni vita comunitaria circa i primi posti o almeno i secondi quale privilegio acquistato con qualche atteggiamento buono o valoroso.

v.38: Il calice è un’immagine biblica classica, indica il giudizio di Dio sul peccato dell’uomo. “Bere il calice” vuol dire: bere la punizione per l’infedeltà e per il peccato umano. Il “battesimo” indica l’immersione della propria vita, il perdere la vita annegati dentro ad un’acqua che sommerge totalmente la vita dell’uomo. Significa essere travolto dal male, dalla sofferenza, dalla morte. Gesù dunque propone loro il calice e il battesimo quale martirio, quale morte, quale costo di partecipazione alla gloria messianica.

Anche qui si noti quanto sia significativo: Gesù non dice: siete disposti a soffrire e a morire; ma dice: siete disposti a soffrire la mia sofferenza, siete disposti a morire della mia morte? Ed è per questo che Giacomo e Giovanni rispondono: lo possiamo. Può darsi che sia un’espressione di presunzione, ma è anche probabilmente di generosità. Certamente il calice e il battesimo sono realtà ripugnanti, ma sono il calice e il battesimo di Gesù e per questo è possibile dire: lo possiamo, perché amiamo Gesù e desideriamo stargli vicino.

v.39: Gesù promette a Giacomo e Giovanni che condivideranno il suo cammino di sofferenza e di morte, ma che non pensino in questo modo di acquistarsi dei diritti. Dio deve essere servito nell’obbedienza e accolto nella fede: non si conquistano mai dei diritti su Dio. Dio rimane radicalmente libero di donare all’uomo secondo la sua generosità, non secondo dei principi di stretta giustizia (perché ne abbiamo diritto), ma secondo quello che lui vuole, guidato dal suo amore e nella sua libertà. Giacomo e Giovanni erano partiti con il desiderio di conquistare della gloria, ma finora hanno conquistato solo la promessa della sofferenza e non della sofferenza in sé, ma della sofferenza di Gesù.

v.42: Il testo greco tradotto letteralmente sarebbe: “Voi sapete che quelli che sembrano capi della nazioni le dominano”. Vuol dire: quelli che hanno un qualche potere si illudono davvero di dominare il mondo e la gente con le loro gratuite affermazioni e quanto più tiranneggiano tanto più si sentono forti.

v.43: Seguire Gesù significa indubbiamente sopportare delle sofferenze, la passione e passare anche per la morte, ma questo non dà diritto a nulla. Non ci sono condizioni da porre da parte del discepolo nella sequela. Dio non dimentica la morte dei suoi chiamati perché questa è preziosa al suo cospetto, ma non c’è carattere meritorio nelle sofferenze.

v.44: Al v. 43 il termine servitore è tradotto dal greco “diakonos”, mentre al v. 44 il termine servo è tradotto dal greco “dùlos”: schiavo. Diakonos indica la disponibilità al servizio; dùlos dice la sottomissione. Lo schiavo è colui che serve sotto l’aspetto della sottomissione oltre che della disponibilità. I termini diakonos e dùlos sottolineano la natura e la qualità dello Spirito nuovo, non la materialità del servizio; è un giudizio che si deve dare di sé, non un posto da occupare.

C’è questa affermazione molto forte della quale don Alberto Altana sottolineava la parola “tutti”, propria del vangelo di Marco. Chi vuol essere il primo tra voi, sia il servo di tutti. Non si è servi se non di tutti. In fondo, il criterio del servizio è il criterio che ci permette di cogliere la realtà del Figlio dell’uomo.

v.45: Il discorso di fondo è che Cristo è servo ed è servo dell’amore. Quindi il suo essere servo è amore. Nella chiesa dovrebbe esserci la “gara a servire”, per arrivare agli ultimi posti. Sembra paradossale ma è esattamente quello che il vangelo ci chiede, perché la chiesa possa diventare quel luogo dove Dio ama e si dona ad essa nel suo Figlio, dove sono beati i poveri, perché la povertà è la condizione per accogliere pienamente il Dio che si dona.

Appendice

Si può intendere così: Non è cosa mia, di me che venni a insegnar l’umiltà; di me che venni non per essere servito ma per servire; di me, che seguo la giustizia, non favoritismi. Poi appellandosi al Padre aggiunse: Per i quali è stato preparato, per dire che il Padre non guarda le raccomandazioni, ma i meriti, perché Dio non fa preferenze di persone (cf. At 10,34). Perciò l’Apostolo dice: Coloro che sapeva lui e che predestinò (Rm 8,29); prima li conobbe e poi li predestinò; vide i meriti e predestinò il premio … (Ambrogio, De fide, 77ss)

Di un fratello che era in un monastero si racconta che un altro fratello che viveva con lui rubò degli oggetti nel deposito dell’economo del monastero, li mise in un sacco e li depose presso il fratello; questi non sapeva che si trattava di oggetti rubati, ma credeva che appartenessero a quel fratello. Dopo un po’ di tempo ci si accorse che gli oggetti erano scomparsi e li si cercò nelle celle di ciascun fratello. Entrati nella cella del fratello a cui gli oggetti erano stati affidati, li si cercò e li si trovò subito; subito il fratello si gettò a terra, fece la metania e disse: “Ci si è presi gioco di me. Ho peccato perdonatemi”. E il fratello che aveva rubato gli oggetti e glieli aveva affidati insultò il fratello nella cui cella erano stati trovati gli oggetti, lo colpì sul volto e voleva farlo scacciare dal monastero. In tutto questo il fratello non negò, anzi si umiliò davanti a lui dicendo: “Ho peccato, perdonami”. E il fratello divenne oggetto di odio da parte del padre e di tutti i fratelli che abitavano il monastero. Soprattutto il fratello che aveva rubato gli oggetti lo odiava, lo insultava ogni momento, lo chiamava ladro alla presenza dei fratelli. E dopo che ebbe trascorso due anni in questo monastero sopportando questo gran disprezzo, Dio rivelò la cosa ad abba Macario di Scete e abba Macario andò in Egitto per vedere il fratello. Quando fu vicino al monastero, tutti i fratelli si radunarono con rami per andare incontro ad abba Macario […]. E il fratello rispose: “Non sono degno di prendere un ramo e di andare incontro all’anziano perché, come vedete sono ricoperto di vergogna”. E quando i fratelli furono usciti incontro all’anziano questi li abbracciò uno ad uno e non vedendo il fratello domandò dov’era. I fratelli gli fecero sapere per quale motivo -per vergogna- non era uscito ad incontrarlo. E quando abba Macario udì, sorrise ed entrò nel monastero. Il fratello allora venne ad abbracciarlo con umiltà e fece la metanìa all’anziano e parimenti anche Macario fece la metanìa al fratello e si presero per mano. Abba Macario disse ai fratelli: “Né io né voi siamo meritevoli di onore al pari di costui; non solo ha sopportato il grande disprezzo, ma ha preso pure sulla sua testa il peccato del fratello”. E abba Macario lo fece ritornare al suo posto. Ma il fratello [che aveva rubato] indossò la sua melote [mantello di pelle di capra], se ne uscì dal monastero e non ritornò più. Abba Macario disse: “Poiché per te il disprezzo è stato come l’onore, la povertà come la ricchezza, il danno come il guadagno, l’angoscia come la gioia, le cose della carne come cose estranee, tu non morirai, ma vivrai. Custodisci la tua coscienza con il tuo vicino e tieniti lontano da chi è superbo (Macario, Virtù di san Macario, 46).

Dio guida la terra in modo che infrange la sua legge della morte. Dio, così, è sempre anche colui che si mette dalla parte della terra e infrange la sua maledizione. La terra che Dio accetta è la terra che egli sostiene, la terra caduta nel peccato, perduta, maledetta. Egli si mette dalla sua parte come opera delle sue mani. Ma lì dov’è Dio c’è pure il suo Regno. Il suo Regno deve percorrere lo stesso cammino che percorre lui. Viene con lui in terra, non si trova in mezzo a noi se non nella doppia immagine: dell’ultimo regno che abbatte tutti i regni della terra, tutto ciò che l’uomo fa per creare un suo regno sottoposto alla maledizione della morte, che rinnega, vince, distrugge i regni della terra, il Regno della risurrezione, del miracolo; ed allo stesso tempo come Regno dell’ordine che accetta e conserva la terra con le sue leggi, le sue comunità, la sua storia. Miracolo e ordine sono le due immagini sotto le quali si presenta il Regno di Dio in terra, nelle quali esso si scinde: il miracolo come l’infrangimento di ogni ordine, e l’ordine come conservazione in vista del miracolo; ma anche il miracolo completamente velato nel mondo degli ordinamenti, e l’ordine che si mantiene nella sua limitatezza mediante il miracolo.(…) Il Regno di Dio prende forma nella chiesa, in quanto la chiesa è testimone del miracolo di Dio. Testimoniare della risurrezione di Cristo dai morti, della fine della legge della morte che regna in questo mondo posto sotto la maledizione, della potenza di Dio nella nuova creazione, ecco il compito della chiesa (D. Bonhoeffer, Venga il tuo regno, pp. 41-2).

L’ora di Gesù: la Passione

è giunta l`ora che sia glorificato il Figlio dell`uomo” (Gv 12,23). Dice Gesù: ormai è vicino il tempo in cui sarò glorificato davanti a tutti. Qui Gesù usa il titolo di «Figlio dell`uomo» poiché prima di caricarsi della croce accetta interamente il destino dell`uomo, Egli che dopo la sua Risurrezione e Ascensione è adorato da tutte le creature per il fatto che è unito al Verbo di Dio. Dopo aver annunciato la sua mirabile glorificazione, che sembrava inconciliabile con la sua imminente passione, aggiunge: “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Non temete dunque per la mia morte. Il chicco di grano è solo prima di cadere nel profondo, ma una volta caduto e morto germoglia gloriosamente e produce duplice frutto, stende davanti a tutti le sue ricchezze e mostra agli occhi lo splendore della sua bellezza. Sappiate che così avverrà anche di me. Adesso sono solo e senza gloria, sconosciuto in mezzo a tutti gli altri uomini. Ma dopo la mia morte di croce, risusciterò nella gloria. Allora produrrò molti frutti e tutti mi riconosceranno. E non solo i Giudei, ma anche gli uomini di tutta la terra mi chiameranno loro Signore, e perfino le potenze dello spirito mi glorificheranno.

Dopo queste parole Gesù esorta i suoi discepoli ad imitarlo: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,25). Dunque non solo non dovete scandalizzarvi per la mia passione, né dubitare delle mie parole che confermeranno i fatti, ma anche voi dovete essere pronti a sopportare le stesse sofferenze per produrre gli stessi frutti. Infatti, secondo Gesù, chi si preoccupa della propria vita su questa terra e non vuole esser messo alla prova, la perderà nel mondo che verrà; mentre chi la odia in questo mondo accettando le sofferenze che si presentano, raccoglie per sé molti frutti… Dice poi molto semplicemente: “Se uno mi vuol servire mi segua” (Gv 12,26). Se qualcuno vuol essere mio servo, dimostri con i propri atti che vuol seguirmi. Ma qualcuno potrebbe dire: «Che cosa otterranno coloro che soffriranno insieme con te?». Risponde Gesù: “Dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà” (Gv 12,26). Chi parteciperà alle mie sofferenze, parteciperà anche alla mia gloria; sarà con me in eterno nella vita futura e parteciperà al mio trionfo nel regno dei cieli. Ecco come il Padre mio onorerà quelli che mi avranno servito fedelmente. (Teodoro di Mopsuestia, Evang. Iohan.)

Ama l’umiltà e avrai gloria!

Se ti ricordi che Cristo dice che si perde la mercede innanzi a Dio, quando uno va cercando onore presso gli uomini e fa il bene per essere visto dagli uomini, metti tanta accortezza a non essere onorato dagli uomini, quanta ne mettono gli altri per averne gloria. “Hanno ricevuto la loro mercede” (Mt 6,2), dice il Signore. Perciò non ti far danno da te stesso, andando dietro alla gloria degli uomini. Dio è un grande osservatore; cerca di aver gloria presso Dio, Dio distribuisce splendide ricompense. Hai forse raggiunto una gran rinomanza, ti stimano, ti onorano, ti cercano? Cerca di diportarti come un suddito “Non come chi esercita un potere sugli altri” (1Pt 5,3) e non seguir l`esempio dei principi mondani. Il Signore ha comandato che, chi vuol essere il primo, deve essere servo di tutti (cf.Mc 10,44). In una sola parola: pratica l`umiltà, come conviene a chi la ama. Amala e avrai gloria. Questo è il cammino verso la vera gloria, che si ha tra gli angeli, innanzi a Dio. Cristo ti dichiarerà suo discepolo innanzi agli angeli (cf.Lc 12,8) e ti darà gloria, se imiterai la sua umiltà; egli, infatti, disse: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete pace per le vostre anime” (Mt 11,29). (Basilio di Cesarea, Hom. de humilit., 7)

L’amore infinito di Dio

Non è dunque giusto che Dio ci respinga e ci castighi quando, offrendosi egli stesso a noi in tutto, noi lo respingiamo? Evidentemente sì. Se tu vuoi ornarti – egli dice – prendi il mio ornamento; se vuoi armarti, prendi le mie armi; se desideri vestirti, ecco la mia veste; se vuoi nutrirti, ecco la mia mensa; se intendi camminare, percorri la mia via; se desideri ereditare, ecco la mia eredità; se vuoi entrare in patria, entra nella città di cui io sono l`architetto e il costruttore; se pensi di costruirti una casa, edificala nei miei territori: io di certo, per quello che do, non ti chiedo pagamento. Anzi, per il fatto stesso che vuoi usare ciò che è mio, per questo io ti voglio ricompensare. Che cosa può essere paragonato a simile generosità? Ecco cosa dice il Signore: Io padre, io fratello, io sposo, io casa, io alimento, io vestito, io radice, io fondamento: io sono tutto ciò, se tu vuoi; di nulla tu mancherai. Io ti servirò anche, perché sono venuto “per servire, non per essere servito” (Mt 20,28). Io sarò anche amico, e membro, e capo, e fratello, e sorella, e madre, tutto io sarò; solo, comportati familiarmente con me. Io sono stato povero per te, mendico per te, sulla croce per te, nel sepolcro per te; in cielo io supplico il Padre per te; in terra sono venuto ambasciatore per te da parte del Padre. Tutto tu sei per me: fratello, coerede, amico, membro. Che cosa vuoi di piú? Perché respingi chi ti ama cosí? (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 76, 5)

Le Letture bibliche ci presentano oggi il tema del servizio e ci chiamano a seguire Gesù nella via dell’umiltà e della croce.

Il profeta Isaia delinea la figura del Servo di Jahwé (53,10-11) e la sua missione di salvezza. Si tratta di un personaggio che non vanta genealogie illustri, è disprezzato, evitato da tutti, esperto nel soffrire. Uno a cui non attribuiscono imprese grandiose, né celebri discorsi, ma che porta a compimento il piano di Dio attraverso una presenza umile e silenziosa e attraverso il proprio patire. La sua missione, infatti, si realizza mediante la sofferenza, che gli permette di comprendere i sofferenti, di portare il fardello delle colpe altrui e di espiarle. L’emarginazione e la sofferenza del Servo del Signore, protratte fino alla morte, si rivelano feconde, al punto tale da riscattare e salvare le moltitudini.

Gesù è il Servo del Signore: la sua vita e la sua morte, interamente nella forma del servizio (cfr Fil 2,7), sono state causa della nostra salvezza e della riconciliazione dell’umanità con Dio. Il kerigma, cuore del Vangelo, attesta che nella sua morte e risurrezione si sono adempiute le profezie del Servo del Signore. Il racconto di san Marco descrive la scena di Gesù alle prese con i discepoli Giacomo e Giovanni, i quali – supportati dalla madre – volevano sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel regno di Dio (cfr Mc 10,37), rivendicando posti d’onore, secondo una loro visione gerarchica del regno stesso. La prospettiva in cui si muovono risulta ancora inquinata da sogni di realizzazione terrena. Gesù allora dà un primo “scossone” a quelle convinzioni dei discepoli chiamando il suo cammino su questa terra: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete … ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra, non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato (vv. 39-40). Con l’immagine del calice, Egli assicura ai due la possibilità di essere associati fino in fondo al suo destino di sofferenza, senza tuttavia garantire i posti d’onore ambiti. La sua risposta è un invito a seguirlo sulla via dell’amore e del servizio, respingendo la tentazione mondana di voler primeggiare e comandare sugli altri.

Di fronte a gente che briga per ottenere il potere e il successo, per farsi vedere, di fronte a gente che vuole siano riconosciuti i propri meriti, i propri lavori, i discepoli sono chiamati a fare il contrario. Pertanto li ammonisce: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore» (vv. 42-44). Con queste parole indica il servizio quale stile dell’autorità nella comunità cristiana. Chi serve gli altri ed è realmente senza prestigio esercita la vera autorità nella Chiesa. Gesù ci invita a cambiare mentalità e a passare dalla bramosia del potere alla gioia di scomparire e servire; a sradicare l’istinto del dominio sugli altri ed esercitare la virtù dell’umiltà.

E dopo aver presentato un modello da non imitare, offre sé stesso quale ideale a cui riferirsi. Nell’atteggiamento del Maestro la comunità troverà la motivazione della nuova prospettiva di vita: «Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (v. 45). Nella tradizione biblica il Figlio dell’uomo è colui che riceve da Dio «potere, gloria e regno» (Dn 7,14). Gesù riempie di nuovo senso questa immagine e precisa che Egli ha il potere in quanto servo, la gloria in quanto capace di abbassamento, l’autorità regale in quanto disponibile al totale dono della vita. È infatti con la sua passione e morte che Egli conquista l’ultimo posto, raggiunge il massimo di grandezza nel servizio, e ne fa dono alla sua Chiesa.

C’è incompatibilità tra un modo di concepire il potere secondo criteri mondani e l’umile servizio che dovrebbe caratterizzare l’autorità secondo l’insegnamento e l’esempio di Gesù. Incompatibilità tra ambizioni, arrivismi e sequela di Cristo; incompatibilità tra onori, successo, fama, trionfi terreni e la logica di Cristo crocifisso. C’è invece compatibilità tra Gesù “esperto nel patire” e la nostra sofferenza. Ce lo ricorda la Lettera agli Ebrei, che presenta Cristo come il sommo sacerdote che condivide in tutto la nostra condizione umana, eccetto il peccato: «Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (4,15). Gesù esercita essenzialmente un sacerdozio di misericordia e di compassione. Egli ha fatto l’esperienza diretta delle nostre difficoltà, conosce dall’interno la nostra condizione umana; il non aver sperimentato il peccato non gli impedisce di capire i peccatori. La sua gloria non è quella dell’ambizione o della sete di dominio, ma è la gloria di amare gli uomini, assumere e condividere la loro debolezza e offrire loro la grazia che risana, accompagnarli con tenerezza infinita, accompagnarli nel loro tribolato cammino.

Ognuno di noi, in quanto battezzato, partecipa per parte propria al sacerdozio di Cristo; i fedeli laici al sacerdozio comune, i sacerdoti al sacerdozio ministeriale. Pertanto, tutti possiamo ricevere la carità che promana dal suo Cuore aperto, sia per noi stessi sia per gli altri: diventando “canali” del suo amore, della sua compassione, specialmente verso quanti sono nel dolore, nell’angoscia, nello scoraggiamento e nella solitudine…. (Dall’omelia di Papa Francesco del 18/10/2015)

Fonte: Figlie della Chiesa

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

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Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti.

Mc 10, 35-45
Dal Vangelo secondo Marco

35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 21 – 27 Ottobre 2018
  • Tempo Ordinario XXIX
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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