“Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth,
il quale passò facendo del bene e guarendo tutti
perché Dio era con lui” (At 10,38).
Così Pietro negli Atti degli apostoli narra l’opera e la vita di Gesù. Gesù si presenta soprattutto come servo, servo venuto a fare il bene, fino a donare la sua vita per noi.
“Gesù Cristo non ritenne privilegio
l’essere come Dio
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce” (Fil 2,5-8).
“Servo”: parola, ma soprattutto disposizione interiore che noi facciamo fatica ad accogliere e fare nostra.
Perché il servo è colui
che perde la sua vita (cf. Mt 16,25)
che sa diventare piccolo come un bambino (cf. Mt 18,3)
che sa di essere perdonato e a sua volta perdona (cf. Mt 18,32-33).
È il capovolgimento operato da Gesù:
“Tra voi non sarà così
ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore
e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo” (Mt 20,20).
Su queste parole spesso scivoliamo via velocemente perché le conosciamo già, ma è davvero una parola che penetra nel profondo dentro di noi? Che cambia e orienta la nostra vita da cercare di essere servi-schiavi dei nostri fratelli e sorelle, di chi ci sta accanto?
Spesso ci abitano sentimenti e atteggiamenti di pretesa, il salvaguardare noi stessi prima degli altri, e preferiamo esigere piuttosto di metterci in gioco come ci chiede Gesù.
Dare e dare gratuitamente come abbiamo ricevuto (cf. Mt 10,8) ci chiede l’evangelo, ma l’essere servo-schiavo è qualcosa che va oltre questo, è quella disposizione interiore, quell’atteggiamento del cuore di chi sa di essere “solo un servo”, “quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite siamo solo servi, abbiamo fatto quello che dovevamo fare” (Lc 17,10). La traduzione migliore non è “servi inutili”, ma “solo servi”, semplicemente servi, che dice la realtà vera di quello che ciascuno di noi è e dovrebbe essere: servo del Signore, su questa umile certezza possiamo trovare riposo e ristoro, pace e gioia.
Paolo nella Lettera ai Filippesi lega l’essere servo di Gesù al suo essersi umiliato, al non aver conservato e rivendicato la sua natura divina, e i suoi privilegi. Noi quante rivendicazioni, quante pretese sugli e dagli altri, mentre la domanda che ci deve abitare è: ma io sono veramente servo? Spendo veramente la mia vita per gli altri? O a parole seguo il vangelo e poi nei fatti faccio riserve di me, cerco di difendere e salvaguardare la mia vita? Mi lascio cambiare, abbassare fino a che le mie mani e i miei piedi si mettono a servizio reale, concreto, quotidiano dell’altro?
Il Signore renda il nostro cuore docile, umile, ci renda servi nel profondo del cuore, servi che non spengono il lucignolo fumigante e che agendo giorno dopo giorno, spesso nel nascondimento e nel silenzio, sappiano coltivare e operare la giustizia. Come promette il salmo 85, la fedeltà è la strada perché possa scendere dall’alto la giustizia accompagnata dalla pace:
“Si incontreranno amore e fedeltà
si baceranno pace e giustizia
la fedeltà germoglierà dalla terra
dal cielo si affaccerà la giustizia”.
sorella Roberta della comunità monastica di Bose
Mt 12, 14-21
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, i farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Ecco il mio servo, che io ho scelto;
il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento.
Porrò il mio spirito sopra di lui
e annuncerà alle nazioni la giustizia.
Non contesterà né griderà
né si udrà nelle piazze la sua voce.
Non spezzerà una canna già incrinata,
non spegnerà una fiamma smorta,
finché non abbia fatto trionfare la giustizia;
nel suo nome spereranno le nazioni».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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