Gesù nel deserto dei deserti
Come in quelle trame di film di fantascienza dove i protagonisti entrano in un loop temporale che li riporta indietro nel tempo, anche la liturgia di questa prima domenica di Quaresima ci riporta di nuovo all’inizio del Vangelo di Marco. Con Domenica scorsa eravamo quasi “usciti” dal capito primo, ma l’episodio di Gesù tentato da satana nel deserto ci riporta indietro, in un passaggio fondamentale della vicenda del Maestro di Nazareth.
È il cammino che la Chiesa ci fa fare ogni anno, cioè quello di riportarci con Gesù nel deserto all’inizio dei quaranta giorni in preparazione alla Pasqua.
Il testo di Marco ci dice che Gesù è “spinto” dallo Spirito di Dio in questa esperienza così particolare, subito dopo averci raccontato del suo battesimo nel fiume Giordano, durante il quale il Padre dal cielo gli fa sentire la sua voce e ha confermato il suo amore totale e eterno: “Tu sei il figlio mio amato, in te ho posto il mio compiacimento”.
Dell’esperienza del deserto nel Vangelo di Marco abbiamo davvero una riga e niente di più, eppure c’è tutto quel che serve per interrogare la nostra fede e la nostra vita.
Innanzitutto il deserto.
Sarebbe bello fermarsi un attimo, e davanti a questa parola “deserto” domandarsi cosa ci viene in mente, cosa scatta nei ricordi e nel sentimento del cuore.
Ad un israelita il deserto non fa sicuramente paura come a noi, che vivendo a queste latitudini il deserto (sia sabbioso che roccioso, come è in terra di Israele) è solo una immagine fotografica o di qualche racconto. Per la Bibbia il deserto è il luogo nel quale il popolo di Israele è passato dalla schiavitù alla libertà con un cammino lungo quarant’anni, non tanto per la strada ma perché c’è voluta una intera generazione (che allora era di 40 anni), per trasformarsi da popolo di fuggiaschi senza legge a popolo di Dio con una Legge e un luogo dove viverla. Il deserto per il popolo è stato una prova continua di scelta tra schiavitù e libertà, tra sicurezza anche se in catene e sfida di un mondo nuovo anche se richiede impegno e costa fatica. Gesù all’inizio del suo ministero di liberazione, entrando anche lui nel deserto, si immerge in questa storia del popolo di Israele che anche lui è venuto a liberare. Gesù nel deserto sintetizza tutta la sua vita e quella di ogni uomo, sempre tentato di tornare sui suoi passi e accettare la schiavitù del peccato e dell’egoismo, abbandonando la proposta esigente di Dio che libera.Ma a noi cosa richiama la parola “deserto”? Perché anche nei deserti che noi pensiamo e sperimentiamo, Gesù è entrato per stare con noi e con noi vincerli.
In questi giorni ho incontrato per caso una persona per strada e chiedendo come stava, dietro la mascherina e qualche parola di convenienza ho visto negli occhi un deserto di tristezza e paura. La preoccupazione della pandemia mista ai problemi personali aveva creato un deserto nel suo cuore. E questo si vedeva attraverso lo sguardo.
Quanti altri deserti vediamo, non solo nelle città che tra un lockdown e l’altro vedono strade e piazze deserte. Il deserto è anche in una stanza di ospedale dove il malato si sente solo ad affrontare le sue malattie. Il deserto c’è anche in quelle famiglie dove si sono inariditi la comunicazione e i gesti d’affetto. Il deserto lo vedo anche nella vita parrocchiale con la chiesa vuota non solo per il distanziamento ma anche perché molti si sono allontanati.
Nel suo Vangelo Marco dice che Gesù è attorniato dal tentatore, dalle bestie selvatiche e anche da angeli che lo servono.
In questi angeli che confortano Gesù vedo tutti coloro che in ogni deserto umano sostengono chi è nella prova. Sono coloro che anche solo con una parola, con uno sguardo, un piccolo atto di carità raggiungono chi è solo e gli fanno sentire che anche in quel suo deserto non è abbandonato da Dio e continua ad essere amato.
Gesù uscirà dal deserto ancora più forte e con l’impegno di comunicare a tutti il Vangelo di Dio, la Buona Notizia dell’Amore. Il deserto non lo ha sconfitto ma rafforzato.
Questo mi dà speranza che anche nei miei deserti e in quelli umani che incontro l’ultima parola non sarà quella del tentatore e nemmeno i morsi delle bestie selvatiche, ma sarà quella degli angeli e quella di Dio Padre, che anche a me, a tutti noi, farà sentire nel cuore “Tu sei amato…”
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)