La parabola riportata nel Vangelo di oggi non è di facile comprensione ma urta contro il nostro modo di pensare e di giudicare. Forse il Signore vuole farci fare una conversione nel nostro modo di pensare e di ragionare:
- Dio non è un padrone che dà un salario, ma un padre che dà un dono – l’uomo non è un operaio che lavora per interesse, ma un figlio che serve per amore – la salvezza non è un salario di cui l’operaio possa vantarsi, ma una grazia di cui essere riconoscente.
- Non è mai presto mettersi a lavorare per l’anima perché la fine può arrivare quando non si sa – così non è mai tardi a incominciare a lavorare per l’anima, perché finché c’è un respiro l’undicesima ora non è scoccata, come fu per il buon ladrone.
- In Gesù si rivela il volto nuovo di Dio: un Dio che accetta tutti, anche gli ultimi perché non vuole discriminare nessuno e vuole offrire davvero la salvezza a tutti, facendo entrare tutti nella sua vigna a qualsiasi ora della giornata.
Primo insegnamento: la parabola che Gesù oggi racconta vuole rivelarci proprio questa caratterista dell’amore del Padre suo: ogni operaio per amore è cercato, per amore è inviato, per amore è ricompensato. Il Padre celeste dona sempre un salario d’amore, mai di giustizia. Mai ci potrà essere giustizia tra il tempo finito e l’eternità. Il nostro dono è di un istante. Il suo è senza fine. Il nostro è piccolo e limitato. Il suo è infinito e senza alcun limite di intensità, grandezza, durata, larghezza, profondità, altezza. Il suo dono è Lui stesso. Può dare più di Dio ad uno e meno di Dio ad un altro, dal momento che è sempre Dio il dono eterno ed infinito che si dona?
L’uomo però è assai meschino, dal cuore piccolo, dalla mente ristretta, dallo spirito molto corto. Misura tutto dalla sua invidia, gelosia, superbia, avarizia, giustizia terrena, avidità, bramosia, desideri impuri e immorali. L’uomo non possiede l’amore come suo metro di valutazione delle cose. Ma anche se usasse l’amore, il suo sarebbe sempre finito e limitato.
Il secondo insegnamento che riceviamo da queste parole riguarda quello che, forse, è il più brutto di tutti i vizi, quello che maggiormente si oppone alla virtù della carità, ovvero l’invidia. L’invidia è l’unico vizio che non dà proprio nulla. Gli altri vizi, apparentemente, danno qualcosa; l’invidia è solo tristezza e rancore. È invidioso chi si rattrista per il bene che vede negli altri, soprattutto quando invidia la grazia di cui uno è arricchito. L’invida della grazia altrui è un peccato contro lo Spirito Santo.
Non è invidioso chi invece si rallegra per il bene onesto che vede negli altri, anche se lo vorrebbe anche per se stesso. Chi fa così sarà premiato da Dio e sperimenterà la sua Provvidenza.
Se la gratuità spiega il comportamento di Dio con noi e di conseguenza le nostre relazioni con gli altri, allora tutto cambia. Non mi fa problema sentirmi “un operaio dell’ultima ora”. So infatti che mio Padre mi darà la vita eterna non perché me la sono guadagnata, ma perché sono suo figlio e ai figli i genitori danno gratis la loro eredità. Tale convinzione non incoraggia e non giustifica il disimpegno, ma mi stimola a operare in sintonia con la volontà di mio Padre, che mi dà fiducia e conta su di me, e non intendo deluderlo.
Agiamo alla luce delle seguenti tre massime:
- Io devo dare tutto: “Va vendi quello che hai, dallo ai poveri e poi vieni e seguimi”. Se do tutto avrò il tutto; se do tutto avrò la capacità di avere il tutto.
- Prima lettura: “Le mie vie sovrastano le vostre vie come il cielo sovrasta la terra”: l’Amore di Dio è incomprensibile all’uomo.
- “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze”. Può esserci qualcosa di più bello, grande, rimunerativo di questo per l’uomo? L’Infinito comanda al finito e debole: “Amami”. Questa è la ricompensa più bella, il dono stupendo che Dio fa ad ogni uomo sia che egli abbia cominciato a lavorare alla prima ora o all’ultima.
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