Commento al Vangelo del 20 maggio 2018 – p. Raniero Cantalamessa

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Pentecoste e Babele

Gli Atti degli apostoli ci descrivono così l’evento di Pentecoste. Ci sono anzitutto dei segni esterni. Prima un segno percepibile all’udito: “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento gagliardo”; quindi un secondo segno percepibile alla vista: “apparvero loro lingue come di fuoco”; e infine la realtà che non si vede, ma che è lo scopo di tutto:

“Tutti furono pieni di Spirito Santo”.

Cosa vuol dire che furono “pieni di Spirito Santo”? Che cosa provarono in quel momento gli apostoli? Fecero un’esperienza travolgente dell’amore di Dio, si sentirono inondati di amore, come da un oceano. Come lo sappiamo? Ce lo assicura sanPaolo quando dice che “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato” (Romani 5,5). Tutti quelli che hanno fatto una esperienza forte dello Spirito Santo sono concordi nel confermare questo. Il primo effetto che lo Spirito Santo produce quando viene su una persona è di farla sentire amata da Dio di un amore tenerissimo, infinito. Tutto il resto (il perdono dei peccati, la grazia, le virtù teologali) sono contenute in questo amore. Si riapre la comunicazione tra Dio e l’uomo, è come un nuovo inizio di tutto.
Qual è il segno che qualcosa di nuovo è successo nel mondo? Le lingue! Il racconto prosegue infatti dicendo:

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“e cominciarono a parlare in altre lingue
come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”.

Ora, la cosa strana è che questo parlare in ” lingue nuove e diverse”, anziché generare confusione, come ci sarebbe stato da aspettarsi, crea al contrario una mirabile intesa e unità. C’erano presenti persone “di ogni nazione che è sotto il cielo” (Parti, Medi, Elamiti…) e “ciascuno li sentiva parlare la propria lingua”. Con ciò la Scrittura ha voluto mettere in luce il contrasto tra Babele e Pentecoste.

A Babele tutti parlano la stessa lingua e, a un certo punto, nessuno più capisce l’altro, nasce la confusione delle lingue; a Pentecoste, ognuno parla una lingua diversa e tutti si capiscono. Come mai?
Per scoprirlo basta osservare di che cosa parlano i costruttori di Babele e di che cosa parlano gli apostoli a Pentecoste. I primi si dicono tra loro: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome per non disperderci su tutta la faccia della terra” (Genesi 11, 4). Questi uomini sono animati da volontà di potenza, vogliono “farsi un nome”, ricercano la loro gloria.

A Pentecoste, gli apostoli proclamano invece “le grandi opere di Dio”. Non pensano a farsi un nome, ma a farlo a Dio; non cercano la loro affermazione personale, ma quella di Dio. Per questo tutti li comprendono. Dio è tornato a essere al centro; alla volontà di potenza, si è sostituita la volontà di servizio, alla legge dell’egoismo, quella dell’amore.

In ciò è contenuto un messaggio di vitale importanza per il mondo d’oggi. Viviamo nell’era delle comunicazioni di massa. I cosiddetti “mezzi di comunicazione” sono i grandi protagonisti del momento. Ormai si parla di comunicazione globale, cioè senza più limiti, in cui ognuno può comunicare con tutti. L’ultima scoperta del settore, Internet, sta mettendo questo traguardo a portata di mano di moltissimi. Il telefonino, o telefono cellulare, permette di fare tutto questo in viaggio in volo, dappertutto, rendendo la comunicazione praticamente ininterrotta e costringendo anche gli altri a subirne a volte gli spiacevoli effetti.

Premetto che tutto questo, nell’insieme, segna un progresso grandioso, di cui dobbiamo essere grati a Dio e alla tecnica che lo ha reso possibile. Detto questo, però, vorrei mettere in luce il rischio di tutta questa orgia di comunicazione, quando diventa fine a se stessa, chiusa a ogni comunicazione di diversa natura. Di che comunicazione si tratta infatti? Una comunicazione che io chiamerei consuntiva, nel senso che tende a consumarsi e a esaurirsi in se stessa. Una comunicazione esclusivamente orizzontale, superficiale, spesso manipolata e venale, cioè usata per arricchire. L’opposto, insomma, di una informazione creativa, sorgiva, cioè che immette nel ciclo contenuti qualitativamente nuovi e aiuta a scavare in profondità in noi stessi e negli avvenimenti. Gli uomini, in questo caso, si scambiano le loro notizie e siccome essi sono volubili e passeggeri, anche le loro notizie sono effimere, cioè di un giorno. L’una cancella l’altra.

La comunicazione diventa uno scambio di povertà, di ansie, di insicurezze e di urla inascoltate di aiuto. È una comunicazione, senza comunione. Un parlare tra sordi. Conoscete la barzelletta dei due sordi che si incontrano? Uno domanda: ”Compare, vai a caccia?” E l’altro: “No, vado a caccia”. E Lui: “Ah, credevo che andassi a caccia”. Nessuno evidentemente ha ascoltato quello che ha detto l’altro.

L’esperienza che ne deriva è quella di una chiusura, di una specie di asfissia. Più cresce la comunicazione, più si sperimenta l’incomunicabilità. Di questo senso di vuoto, si sono avute espressioni letterarie significative. Una è il cosiddetto “teatro dell’assurdo” (Ionesco, S. Beckett), dove i personaggi parlano, parlano, ma per non dire nulla. La comunicazione si riduce a suoni, a rumori. Il rumore ci rassicura che non siamo soli. Manca una comunicazione verticale, creativa, che immetta davvero nel circolo qualcosa di nuovo, che valga la pena di essere comunicato, che apra le “porte chiuse”.

La migliore rappresentazione di questo stato di cose è proprio il dramma di Sartre intitolato Porte chiuse. Non si poteva creare un simbolo più impressionante. Tre persone -un uomo e due donne- vengono introdotte, a brevi intervalli, in una stanza d’albergo. Non ci sono finestre, la luce è al massimo e non c’è possibilità di spegnerla, fa un caldo soffocante, e non c’è nulla all’infuori di un canapè per ciascuno. La porta naturalmente è chiusa, il campanello c’è ma non dà suono. Chi sono? Sono tre persone appena morte e il luogo dove si trovano è l’inferno. L’uomo è un disertore che ha tradito e fatto soffrire tutta la vita la moglie, le donne sono, una, un’infanticida e l’altra una lesbica.
Non vi sono specchi e ognuno di loro non può vedersi che attraverso gli occhi e l’anima dell’altro che gli rimanda l’immagine più laida di sé, senza nessuna misericordia, accrescendone anzi volutamente l’orrore con la propria cattiveria. Quando, dopo un po’, le loro anime sono diventate nude e senza più segreti l’una per l’altra e le colpe di cui ciascuno più si vergogna sono venute a galla e sfruttate dagli altri senza pietà, uno dei personaggi dice agli altri due: “Ricordate: lo zolfo, le fiamme, la graticola? Tutte sciocchezze. Non c’è nessun bisogno di graticole: l’inferno sono gli Altri”.

Quella stanza d’albergo potrebbe essere un simbolo del cosiddetto “villaggio planetario”, cioè della terra, resa ormai piccola e unificata dall’informazione, se gli uomini finissero davvero per comunicare tra di loro senza amore alcuno. Questa comunicazione si rivelerebbe un inferno, perché ognuno diventerebbe per l’altro uno specchio che gli rimanda indietro l’immagine della propria miseria e l’eco del proprio vuoto. Ognuno, nel comunicare con l’altro, non farebbe che ricercare se stesso.

Riscoprire il senso della Pentecoste cristiana è l’unica cosa che può salvare la nostra società moderna dallo sprofondare sempre più in una Babele delle lingue. Infatti lo Spirito Santo introduce nella comunicazione umana il modo e la legge della comunicazione divina che è la pietà e l’amore. Perché Dio comunica con gli uomini, si rivela, si intrattiene e parla con essi, lungo tutta la storia della salvezza? Solo per amore, perché il bene è per sua natura “comunicativo”. Nella misura in cui è accolto, lo Spirito Santo risana le acque inquinate della comunicazione umana, ne fa autentico strumento di arricchimento, di condivisione e di solidarietà.

Babele e Pentecoste sono due cantieri sempre aperti e in atto nella storia. Secondo sant’Agostino, nel primo si costruisce Babilonia, la “città di Satana”, nella seconda si edifica Gerusalemme, “la città di Dio”. Ogni nostra iniziativa civile o religiosa, privata o pubblica, è davanti a una scelta: o essere Babele, o Pentecoste. È Babele se in essa pensiamo solo a fare un nome a noi stessi, ad affermare noi stessi; è Pentecoste se con essa affermiamo anche l’altro e soprattutto Dio. È Babele dovunque c’è egoismo e manipolazione dell’altro, Pentecoste dovunque c’è amore e rispetto.

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

DOMENICA di PENTECOSTE (Messa del giorno)

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 20 Maggio 2018 anche qui.

Gv 15,26-27; 16,12-15
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.

Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 20 – 26 Maggio 2018
  • Tempo Pasquale Pentecoste
  • Colore Rosso
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 4

Fonte: LaSacraBibbia.net

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