Il commento al Vangelo di domenica 20 Gennaio 2019 – a cura di p. Giancarlo Paris.
Il vino dell’amore
Dopo la domenica del battesimo, in cui abbiamo visto lo Spirito scendere su Gesù e abbiamo sentito la voce del Padre che lo presenta come il figlio amato, oggi meditiamo il primo “segno” che Gesù compie all’inizio del suo ministero di maestro secondo il vangelo di Giovanni.
Siamo nel contesto di una festa di nozze, durante la quale ad un certo punto finisce la scorta del vino. Nella cultura e religione di Gesù (quella ebraica) il matrimonio era molto importante: oltre ad essere la struttura sociale fondamentale, era anche segno della benedizione di Dio sul mondo, perché l’uomo e la donna con la loro alleanza di amore portavano avanti il disegno divino della creazione. Ogni festa di nozze per i giudei rendeva visibile l’alleanza di amore sponsale tra Dio e l’umanità (che la prima lettura di Isaia canta in modo stupendo) e al tempo stesso tiene viva l’attesa del Messia. Considerando questo capiamo che non a caso Giovanni apre la missione di Gesù con questa scena. Nel racconto di Giovanni la festa di quella coppia di Cana fa da sfondo a quello che vediamo accadere in primo piano: non ci dice nulla degli sposi né della festa. La storia comincia quando in quella festa finisce il vino.
Conosciamo quasi a memoria cosa avviene: Maria prende l’iniziativa facendo notare a Gesù la mancanza del vino; Gesù le risponde, in un modo che ci appare difficile capire; poi Gesù dà un ordine ai servi (e continuiamo a non capire); l’acqua che i servi portano in tavola diventa un vino così buono che il dirigente del banchetto fa i complimenti allo sposo per averlo riservato per la fine. Grazie a Gesù, una festa di nozze che stava per fallire si conclude meglio di tutte le possibili previsioni. Il “vangelo”, la buona notizia presente in questa storia non è semplicemente che lo sposo ha evitato una gran brutta figura. Dobbiamo ripercorrere di nuovo con attenzione quello che accade nella scena, per scorgere il messaggio che l’evangelista rivolge ai suoi lettori, quello che riguarda noi oggi.
Dopo l’osservazione di Maria (non hanno più vino) Gesù in un primo momento prende le distanze dalla madre (cosa c’è tra me e te, donna?), poi sembra voler negare il suo aiuto (non è ancora giunta la mia ora). A giudicar da come è andata si direbbe che Maria ha interpretato la risposta di Gesù in modo diverso da come la capiamo noi; ordina infatti i servi di prestare attenzione e eseguire quello che Gesù avrebbe detto loro; e Gesù non si fa pregare oltre per agire.
Guardando a quanto accade non possiamo pensare che Gesù agisca solo per compiacere la madre, quasi contro la sua volontà. Gesù sa cosa fa e agisce in piena libertà. Il breve dialogo tra Maria e suo figlio ha messo in luce una cosa importante: non è ancora giunta l’ora di Gesù. Ma questa frase, invece di sottolineare la mancanza, sottolinea l’inizio di un processo che arriverà al suo compimento. Quanto avviene a Cana diventa il preludio di qualcosa che è già annunciato e accadrà in futuro.
L’evangelista ci avvisa che quello di Cana è stato l’inizio dei segni; significa che ne seguiranno altri. Fin dalla prima pagina del vangelo si parla di una “ora” che sta per venire. Il contesto di una festa di nozze ci fa comprendere che la storia di Gesù riguarda una alleanza di amore, che la sua missione è attratta da una “conclusione” che sarà segnata dall’arrivo di quella “ora”. Questo fa nascere in noi delle domande: cosa segna quell’ora? Quando arriverà? Quali sono i segni che sta per giungere?
A queste domande risponde la storia che Giovanni racconta (che però noi non seguiamo in modo continuo durante le domeniche dell’anno liturgico). L’ora arriva durante il terzo pellegrinaggio di Gesù a Gerusalemme. Nella cena pasquale ci sarà ancora il vino, simbolo dell’amore, che Gesù offre come anticipo della sua morte e risurrezione; presso la croce ci sarà ancora Maria, che Gesù chiama (come a Cana) “donna”, donandole come nuovo figlio il discepolo amato.
Così l’inizio e il compimento si corrispondono e ci fanno comprendere che la missione di Gesù è rinnovare l’alleanza di amore di Dio con l’umanità mediante il dono della sua vita. Gesù offre se stesso come il vino dell’amore, che rinnova la gratitudine e la gioia per il dono della vita. Chi accoglie questo dono e lo ridona a sua volta è capace di vincere la paura, va oltre la morte.
Essere cristiani è questo: fidarci di Gesù, anche e soprattutto nei momenti difficili; chiedere a Lui che cosa possiamo fare per ritrovare la fiducia. Lui può trasformare la nostra acqua nel vino della gioia e di una vita piena di bellezza. Non ci chiede gesti straordinari, ma solo di imitare quello che ha fatto Lui, aprirci agli altri invece di aspettare che gli altri si accorgano di noi. Chiediamo a Gesù il vino nuovo che Egli può dare, perché non manchi mai la fiducia in Dio e la forza di vincere le nostre chiusure per donarci agli altri, perché è questo amore che vince la morte.
ALTRO COMMENTO
“Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino»”.
Tutti ci cercano per quello che abbiamo, ma chi ti vuole davvero bene non tiene da conto di ciò che hai, ma di ciò che ti manca. L’amore vero è prendere a cuore la mancanza dell’altro, perchè in quella mancanza si gioca il meglio e il peggio della vita. Sono infatti le nostre mancanze la causa prima dei nostri peccati, ma sono altresì proprio le mancanze i punti di svolta dei grandi santi. Ritrovare il vino che manca non serve a riempire un vuoto, ma a cambiarne la sostanza.
Gesù non crea il vino dal nulla, ma cambia l’acqua in vino, cioè prende ciò che c’è e a partire da questo opera un cambiamento radicale. Quello che fino a ieri ti faceva peccare può cominciare ad essere il punto di forza della tua santità. Assurdo! Ma questo è il miracolo: il Signore è l’unico che può prendere sul serio la mia mancanza e trasformarla in santificazione.
Da cosa ce ne accorgiamo? Dal fatto che cominciamo a sentire un’inspiegabile letizia che non trova altra ragione se non nella Grazia di Dio.