Con un solenne inizio Pietro esprime la disposizione di aprirsi all’intelligenza dell’evento vissuto a casa di Cornelio, che cioè la salvezza di Dio compiuta nel Risorto è destinata a tutti gli uomini. A casa di un centurione romano, a Cesarea, egli riassume primariamente per sé, carico di stupore, il senso autentico del vangelo: tutto ha avuto inizio con il battesimo di Giovanni, e da lì, il cammino di Gesù è proseguito dalla Galilea alla Giudea, fino a Gerusalemme.
Un cammino che ha dispiegato progressivamente l’identità di colui che «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza» (At 10,38): Gesù di Nazaret è l’unto messianico (cfr. Is 61,1; Lc 3,21-22). Egli ha operato con «potenza» concedendo, ovunque passava, il benessere all’uomo liberandolo da ogni forma di oppressione causata dal divisore; e questo perché «Dio era con lui», segno della sua presenza che ha operato con potenza perché l’identità del Risorto venisse confermata come l’unto di Dio.
Pietro non ha parlato a titolo personale, ma si è espresso secondo un «noi» comunitario rappresentativo della tradizione post-pasquale, nella quale siamo compresi anche noi di oggi che continuiamo a celebrare ogni domenica la Pasqua del Signore.
L’insistenza dell’autore sull’attività prepasquale di Gesù conferma la tradizione stessa fondata sull’evento della sua morte e risurrezione: «Lo uccisero appendendolo a una croce» (At 10,39). Espressione che riflette la maledizione del condannato appeso ad un albero presente nel libro della legge (cfr. Dt 21,22) con cui i primi discepoli si sono dovuti confrontare, e superandola, nell’annunciare Gesù il Messia crocifisso.
Maledizione superata dall’azione di Dio, che lo ha risuscitato «il terzo giorno» (cfr. Os 6,1-2) perché non rimanessimo imprigionati nella morte. La partecipazione al Risorto è ampliata dalle sue apparizioni ai «prescelti da Dio» (At 10,41), a coloro che furono scelti da Gesù stesso dopo una notte passata in orazione, da solo, su di un monte (cfr. Lc 6,12-15), e da lui confermati da Risorto (cfr. Lc 24,48; At 1,8), e che con lui avevano anche consumato i pasti, segno di una profonda e reale intimità: il Risorto non è un fantasma (cfr. Lc 24,36-43).
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Una relazione che sarebbe continuata in tutta la sua forza performativa nel sentirsi inviati al popolo (cfr. At 10,42), a Israele marginalizzato nella maledizione del legno, incapace di scorgere nella Scrittura la testimonianza al Risorto (cfr. Lc 24,44-48), all’universale disegno di salvezza di Dio che si manifesta nella remissione dei peccati nel nome di Gesù.
Esperienza di salvezza vissuta nel Battesimo, che consente all’uomo di partecipare della morte e risurrezione di Cristo: per l’autore della lettera ai Colossesi, il cristiano è colui che vive del Risorto diventato nostra vita (cfr. Col 3,4), pertanto la «mente» non può più permettersi di scadere nella compromissione del gusto delle cose terrene, ma deve sentirsi catturata da quelle celesti (cfr. Col 3,2).
Il cristiano è colui che vive solamente di vita spirituale nell’integrità della sua persona, senza alcun bisogno di pratiche esteriori di cibi, di bevande, di feste, di noviluni o sabati, ombra delle cose future (cfr. Col 2,16-17), nel pieno nascondimento di Cristo (cfr. Col 3,3).
Una realtà che, per quanto sia invisibile ai nostri occhi, lontano dal luccichio delle vane esibizioni, è performativa di una «gloria» (Col 3,4) che avvolge l’intera esistenza dell’uomo che vive di fede.
Rimane nel nostro intimo la domanda autenticamente profonda che cerca la direzione verso cui stiamo andando, dopo la morte. Questo intermezzo, che a volte ci lascia sospesi, in attesa di risposta, è stato avvolto da una «gloria», per nulla appariscente, capace di provocarci dall’interno a non lasciare la certezza di essere stati assimilati dall’evento morte-risurrezione di Cristo.
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Provocazione sperimentata da Maria Maddalena la mattina del primo giorno della settimana, mentre si recava presso la tomba del suo amato Signore. Dopo che tutto era stato compiuto (cfr. Gv 19,30), senza alcuna soluzione di continuità, ha avuto inizio la nuova creazione scaturita dalla definitiva Pasqua.
«Il primo giorno della settimana» (Gv 20,1), consecutivo all’ultimo giorno della croce (cfr. Gv 19,31), inaugura la novità apportata dal Logos: la vittoria della luce sulle tenebre (cfr. Gv 1,4-5). Infatti è mattino presto quando Maria, essendo «ancora buio» (Gv 20,1), si era recata presso la tomba.
Ella è sconfitta dalla falsa certezza che la morte ha avuto la meglio sul suo Signore, speranza della sua vita; Maria non era ancora nella condizione di cogliere l’alternanza avvenuta tra la tenebra e la luce, il nuovo giorno era già iniziato ma lei era ancora avvinta dalle tenebre.
Figura della comunità-sposa, l’amata del Cantico dei Cantici, dinanzi alla morte Maria ha dimenticato la promessa di vita annunciata da Gesù.
Giunta nel luogo della sepoltura lo stupore della novità la coglie impreparata: la pietra di chiusura, segno della definitività della morte, non era al suo posto.
La corsa a ritroso per avvisare i discepoli del frainteso accadimento, manifesta la dispersione che la morte di Gesù avrebbe causato tra loro così come da lui annunciato (cfr. Gv 16,32): Maria, infatti, si reca da Pietro e dal discepolo amato, per annunciare loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto» (Gv 20,2).
Maria non è la sola a versare nell’incomprensione: l’uso del plurale «non sappiamo» tradisce una comunità discepolare disorientata.
Nonostante ciò, i due discepoli corrono ugualmente verso la sepoltura per attestare il fatto.
Lo svantaggio di Pietro è spiegato dal suo soprannome, Simon Pietro, che designa la sua ostinazione per la quale la morte di Gesù non può essere accettata (cfr. Gv 18,10-11), insieme a una sequela che non è stata capace di andare oltre l’atrio del sommo sacerdote (cfr. Gv 18,15).
Il discepolo amato, senza nome, corre più velocemente perché alleggerito da una libertà interiore che lo ha spinto a stare fino ai piedi del Maestro crocifisso, fino all’estremità della vita (cfr. Gv 19,27-35).
Giunti al sepolcro, come Maria stupita, anch’essi vengono colti impreparati dalla tomba vuota: il sudario è separato dai teli che hanno avvolto il corpo morto di Gesù, ed è deposto in un altro “luogo”.
Termine che fino a quel momento faceva riferimento al Tempio di Gerusalemme, ora, in opposizione a esso, si riferisce al luogo ancora sconosciuto dove si trova il Risorto, la stabilità non ancora compresa che era stata cercata dai primi discepoli del Battista, i quali avevano deciso di seguire «l’agnello di Dio» (Gv 1,36) e di stare con lui fino all’ora decima (cfr. Gv 1,37-39).
Dentro la tomba vuota, segno di risurrezione, di assenza di morte, il discepolo amato «vide e credette» (Gv 20,8).
Commento al Vangelo tratto dal sussidio CEI al periodo di Quaresima/Pasqua 2025, scarica il file PDF completo. Scarica anche l’introduzione al Tempo di Pasqua.