«Deposto tutto ciò che è di peso… corriamo… tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della nostra fede» (Eb 12,1). Queste parole della lettera agli Ebrei sono un invito per tutti noi a vivere la santa liturgia del giorno del Signore come un grande dono. Ogni liturgia non è altro che la grazia di alzare lo sguardo da se stessi, per rivolgerlo verso Gesù. Il volto che ogni domenica contempliamo è quello dell’amico che ci ha voluto bene, che ha portato persino la croce perché noi potessimo continuare il nostro cammino verso la salvezza, senza stancarci, senza perderci dietro noi stessi e le nostre fantasie.
Sappiamo bene quanto è facile stancarsi e perdersi nel cammino. Il Signore ci viene incontro e continua a radunarci e a parlarci. Vuole trasmetterci l’urgenza di annunciare al mondo l’imminenza del regno di Dio. Sin dall’inizio della sua predicazione diceva: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (cfr. Mc 1,15); e lo gridava sulle strade e nelle piazze delle città ove si recava. Eppure questa urgenza di Gesù tante volte è frenata, oscurata, persino soffocata. È soffocata dalle numerose situazioni di violenza e dalle tante guerre che colpiscono la vita degli uomini, generando tristezza e morte. Ma talora sono gli stessi discepoli a soffocarla. Questo accade ogni volta che ci sottraiamo all’invito del Signore per seguire le nostre urgenze, per lasciarci trasportare dai nostri ritmi, dalle nostre abitudini, dalle nostre preoccupazioni.
Viene però il Signore per comunicarci ancora una volta l’urgenza dell’annuncio del regno: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). È il fuoco dell’amore di Dio che brucia anzitutto nel cuore stesso di Gesù e che si intravede almeno un poco nelle parole che rivolge ai discepoli: «E come vorrei che fosse già acceso!». È un desiderio struggente, quasi angosciato: «Come vorrei che fosse già acceso!». L’urgenza evangelica è lasciarsi coinvolgere da questa passione; è lasciarsi bruciare da questo ardente desiderio di Gesù. Quanto sono meschine le nostre passioni! Quanto piene di avarizia le nostre angosce!
Oggi, giorno del Signore, veniamo liberati dalle piccole ma resistenti angustie della nostra vita, per ricevere il cuore stesso del Vangelo. Un cuore dolce e sconvolgente, pieno di amore e per questo esigente. Gesù stesso ne spiega il senso: «Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione…» (v. 51). Sono parole che noi difficilmente avremmo posto in bocca a Gesù. Ma il Vangelo è diverso da noi e dal mondo; diverso dalla pace avara del ricco epulone che non vedeva neppure il povero Lazzaro affamato davanti alla sua porta; diverso dalla pace egoista del proprio dovere come il sacerdote e il levita, i quali, pur vedendo l’uomo mezzo morto lungo la strada, passano oltre. La pace vera è tutt’altro che tranquillità avara. Il Signore, solo dopo la risurrezione, solo dopo aver vissuto il dramma della passione che fu tutt’altro che pace e tranquillità, disse ai discepoli: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27). La pace del Signore consiste nel fare la volontà di Dio.
La pace è il Vangelo. E il vangelo divide; ha diviso, in certo modo, la stessa vita di Gesù, quando appena ragazzo lasciò la mamma e il papà: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Le 2,49) rispose ai genitori che angosciati lo stavano «giustamente» rimproverando. Il vangelo lo divise dalla periferica Nazaret per recarsi nel deserto di Giovanni Battista; lo divise dai discepoli a Cafarnao nel discorso del pane, quando rivolto ai Dodici disse: «Volete andarvene anche voi?»; lo divise da Pietro: «Vattene, lontano da me, satana»; lo divise dagli ‘scribi e farisei… Il vangelo lo divise nell’agonia al Getsemani: «Non la mia, ma la tua volontà sia fatta». Gesù insegna per primo che la pace sta nell’ascolto del vangelo e nel metterlo in pratica. Il vangelo è la nostra pace e la nostra felicità.
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XX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
- Colore liturgico: Verde
- Is 56, 1.6-7; Sal.66; Rm 11, 13-15.29-32; Mt 15, 21-28
Mt 15, 21-28
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 20 – 26 Agosto 2017
- Tempo Ordinario XX, Colore Bianco
- Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 4
Fonte: LaSacraBibbia.net
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