Commento al Vangelo del 2 ottobre 2011 – Paolo Curtaz

Ventisettesima domenica durante l’anno

Is 5,1-7/ Fil 4,6-9/ Mt 21,33-43

Vignaioli omicidi

Di nuovo la vigna. Ancora.In questi giorni di autunno caldo, di vendemmie e di speranza, di dolce mosto d’uva che promette un vino corposo e robusto per il prossimo anno, ascoltiamo parole che raccontano di vigne.
In questi acri giorni in cui l’Italia si rivela piccina e rissosa, stordita e fragile, la Parola ci interroga.
Di quanta Parola che scuota le parole abbiamo bisogno!
La liturgia parla di un Dio che ci invita a lavorare con lui, a costruire insieme un mondo diverso, nuovo, dove la diversità è dono e la condivisione diventa il riflesso dell’esperienza di chi, perdonato e pacificato, gioisce nel poter donare, nel potersi donare.
Il Dio di Gesù restituisce dignità all’operaio dell’ultima ora, apprezza l’autenticità di chi dice “no” per capire le ragioni di un possibile “sì”.
Per due domeniche la vigna è stata rivelatrice della misericordia e della lungimiranza di Dio.
Nel vangelo di oggi, invece, la vigna è protagonista della parabola cupa e urticante del fallimento di Dio.

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La vigna infruttuosa

È accigliato, mio fratello.
La grandine di fine agosto, evento piuttosto raro dalle mie parti, ha duramente colpito il raccolto. A lui è andata meglio che ad altri viticoltori, mi dice, la vendemmia è comunque salva.
Leggo nei suoi occhi la preoccupazione di chi passa mesi a faticare e che può perdere il guadagno di un anno in un quarto d’ora.
A Gerusalemme i frequentatori del tempio, i devoti, ascoltano il rabbì di Galilea che predica. Conoscono bene il cantico della vigna in Isaia, lo sanno a memoria. Quante volte è stato commentato nelle sinagoghe quel brano! Il brano dell’amore passionale del vignaiolo, Dio, per la sua vigna, Israele. Il brano di chi si aspetta tanto, fatica tanto, proprio come mio fratello, come chi ancora cava dalla terra il proprio stipendio e che, invece, non raccoglie che uva selvatica.
Immagine forte ed efficace, quella della vigna.
Dello sforzo che Dio, il padrone della vigna, fa per aiutare l’umanità a fiorire, a portare frutto, a maturare.
Ma quante volte Israele non ha portato frutto! Quante volte i profeti si sono visti rifiutare l’invito a conversione! Quante volte il mondo ignora la presenza di Dio e si ritrova in bocca il gusto amaro del fallimento!
Lo conoscono bene, il cantico della vigna.
Ma non capiscono che Gesù, riprendendolo e ampliandolo, sta parlando di sé.
E di loro.

Vignaioli malvagi

Il mondo è la splendida vigna che Dio ci affida.
Non è roba nostra, il mondo, la vita, il tutto. Nulla ci è dovuto, tutto ci è donato.
Eppure anche noi, come gli affittavoli malvagi, viviamo come se tutto ci appartenesse.
A Dio non dobbiamo nulla, e ci mancherebbe!
Dio continua a mandare i suoi servi, i profeti, ma chi li ascolta?
Accecato dalla propria cupidigia e follia, l’uomo dimentica che è solo il giardiniere del creato.
E arriva il cuore della parabola.
Il padrone manda il figlio. I vignaioli lo uccidono.
Gesù abbassa lo sguardo. Vede nella durezza di chi lo ascolta il proprio destino segnato.
Ha parlato del padre, ha insegnato il perdono, ha demolito l’insopportabile gabbia che i devoti avevano costruito intorno a Dio. Ha sorriso e condiviso, guarito e sperato, pregato e pianto
Ha svelato il vero volto del Padre. Il vero volto dell’uomo lui, che del Padre è l’immagine e dell’uomo la perfezione.
Ma non è servito. L’uomo non ha capito. La missione è fallita.
Nessun frutto è arrivato dai vignaioli, solo la follia di chi uccide Dio pensando di prendere il suo posto.
Cosa deve ancora fare?

Vendetta

Si accalora, l’uditorio.
Sbraita, ora. Morte! Vendetta! Sangue! I vignaioli vanno uccisi!
Già.
Idioti.
Non sanno che Gesù sta parlando proprio di loro.
È vero: non ha senso che il padrone subisca l’uccisione del proprio figlio.
Sospira, ora, il Signore, e li guarda, lungamente.
No, non farà così.
Nessuna vendetta, né sangue, né morte, se non la sua.
Forse gli affittavoli, vedendo la misura dell’amore del padrone, vedendo la sua ostinata volontà di salvezza, capiranno e cambieranno.
Forse. 

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