“Ma Gesù non abbandona i suoi, non se ne va altrove nel cosmo, ma entra nel profondo di tutte le vite. Non è andato oltre le nubi ma oltre le forme: se prima era insieme con i discepoli, ora sarà dentro di loro, forza ascensionale dell’intero cosmo verso più luminosa vita” (padre Ermes Ronchi)
Sono parole che in maniera stupenda mi hanno fatto capire il senso di questo distacco di Gesù dai suoi che a prima vista sembra davvero un abbandono. Ad una lettura superficiale degli eventi sembra proprio che Gesù ha predicato, è stato preso e ucciso, poi la potenza di vita di Dio lo ha fatto resuscitare, quindi si smarca definitivamente dai suoi con un implicito “… e ora arrangiatevi!”
La reazione dei discepoli descritta brevemente dal Vangelo di Luca, invece indica un’altra storia e questa verrà ampiamente raccontata dal libro successivo che lo stesso Luca scrive, il libro degli Atti degli Apostoli che racconta i primi fondamentali passi della Chiesa nascente. Il Vangelo di Luca si conclude con il racconto dell’ascensione di Gesù al cielo, e il libro degli Atti degli Apostoli si apre con lo stesso evento, che fa dunque da cerniera narrativa. Come accade altre volte nella Scrittura (per esempio nella Trasfigurazione) la descrizione dell’evento è più simbolica che reale, cioè non è una semplice cronaca di un evento ma il suo racconto attraverso immagini che vogliono dire una realtà che supera la comprensione immediata.
Gesù che sale in alto non va pensato come una semplice elevazione oltre l’atmosfera passando oltre le nuvole, ma il fatto che da un certo punto in poi il Risorto entra nella dimensione di Dio dal punto di vista fisico, per poter essere fisicamente ancora presente in un altro modo sulla terra.
Nel racconto degli Atti degli Apostoli, dopo che Gesù scompare in cielo due personaggi luminosi (come quelli nella Tomba vuota) appaiono dando ai suoi discepoli la giusta interpretazione di quello che accade: non serve guardare il cielo con nostalgia e con un senso di abbandono, ma bisogna guardare davanti a sé e dentro di sé. È quello il posto dove Gesù rimane ed è presente fisicamente, cioè nel cuore del credente e della comunità cristiana. Nel Vangelo Luca descrive gli apostoli che sono tutt’altro che sconvolti dalla separazione dal loro amico e maestro, ma lodano Dio, come segno che hanno compreso che Gesù è rimasto in modo definitivo con loro.
L’ascensione di Gesù al cielo quindi non ci descrive la lontananza di Dio ma al contrario la sua definitiva vicinanza. L’Ascensione di Gesù, come dice bene padre Ermes Ronchi, ci dice che noi non siamo fatti per rimanere schiacciati nel peso della vita umana, piena di problemi, chiusure e tristezze, ma siamo fatti per alzarci in alto, per salire con il cuore e l’amore che ci permette davvero di sentire Dio nel cielo della nostra vita. Prima di salire al cielo Gesù ai suoi discepoli dà la missione di cambiare il mondo e di unirlo nel segno del suo Vangelo.
Promette lo Spirito Santo e poi scompare. Ma la sua scomparsa davanti agli occhi è il segno che ora lui è dentro la comunità, dentro ogni singolo credente e anche ogni uomo che vive il Vangelo, anche inconsapevolmente. Perché guardare il cielo se Gesù è dentro di noi? Questo è l’annuncio che siamo chiamati a dare come cristiani: Gesù è in noi, la forza della sua resurrezione è dentro il singolo cristiano come dentro l’intera sua Chiesa, Dio non è lontano e indifferente agli uomini ma è dentro la nostra vita.
Il Cielo dove Gesù sembra nascosto in realtà è davanti a me e dentro di me, quando vedo un uomo o una donna che nella propria malattia trovano speranza, quando due persone o due popoli si aprono al perdono e al dialogo superando contrapposizioni, quando qualcuno si prende cura di qualcun altro con carità e senza alcun interesse se non l’amore. Ecco i segni che Gesù non è scomparso e non ci ha abbandonato, ma è entrato definitivamente nel cuore e nella vita umana, che sono il suo cielo definitivo.