“Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova” (1Cor 5,7). La forza del lievito è quella di far fermentare tutta la massa della pasta, ma, gonfiando l’impasto, inaugura anche un’azione di corruzione contaminante (cf. 1Cor 5,6-8). Così è dell’ipocrisia, l’artificio dell’attore e del simulatore (hypokrités), di colui che – per mestiere – impersona un personaggio da copione, indossando una maschera che nasconde i veri tratti del proprio volto. Troppo spesso l’uomo – sui suoi quotidiani palcoscenici, più o meno ridicoli – è irretito dalla seduzione delle apparenze e dal piacere della visibilità, nel compiacimento di poter affascinare gli altri con il gesto e la parola, con una studiata capacità affabulatoria o con lo stravolgimento della verità nella finzione, nell’inganno o nella menzogna.
Chi invece ricorda che “passa lo scenario di questo mondo!” (1Cor 7,31) avrà il coraggio di gettare la maschera o di non indossarla neppure, senza cercare spettatori per le proprie opere, né un pubblico dinanzi al quale esibire se stesso…
La maschera dell’ipocrisia porta allo sdoppiamento fra il volto reale della persona, nascosto sotto i tratti stereotipati della maschera, e la sua apparenza: l’ipocrisia nasconde la verità del volto, custodisce segreti notturni, sussurra nelle stanze più interne, mentre la luce di una vita autentica opera un salutare svelamento, che è conoscenza, evidenza che appare allo scoperto e che viene annunciata dalle terrazze. “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Gv 3,19-21).
E questa luce dissipa ogni paura, perché mostra come non vi è nulla – per quanto piccolo, marginale e, apparentemente, insignificante agli occhi del mondo – che possa restare dimenticato davanti a quel Dio che si dà cura di qualche passero e che conta anche i nostri capelli.
Di fronte all’immobilità fredda e inespressiva di una maschera dai tratti irrigiditi, sta il fremito di un passero, che è tutto movimento e calore, nella sua piccolezza. Forse è vero che “Dio è ciò che sanno i bambini, non gli adulti. Un adulto non ha tempo da perdere nel nutrire un passero” (Ch. Bobin). A differenza della nostra smemoratezza, che non è altro se non il frutto della nostra pretesa adultità, la memoria di Dio è tenerezza che custodisce, amore che preserva, misericordia che accoglie quanti cercano rifugio nel nascondiglio del suo volto(cf. Sal 30,21 Vg.) e possono cantare con fiducia:
“Anche il passero trova una casa
e la rondine il nido
dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari,
Signore, mio re e mio Dio.
Beato chi abita nella tua casa.
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio” (Sal 84,4-6).
fratel Emanuele della comunità monastica di Bose
Lc 12, 1-7
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli:
«Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze.
Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui.
Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.