Fratelli, sorelle.
In occasione della domenica di Pentecoste (9 giugno 2019) viene ad evidenza un’intuizione. La Scrittura, e soprattutto il Nuovo testamento non è mai preoccupato di definire chi è lo Spirito santo. Piuttosto ce lo spiega attraverso alcune immagini – quella del vento, del fuoco o di una colomba – che ci descrivono uno Spirito in azione, in movimento. Quasi che dalle sue stesse azioni ci venisse di coglierne l’identità, la sua stessa personalità divina.
“Un fragore, quasi un vento”
Una prima immagine è quella del vento, di “un fragore” che improvviso cala sul gruppo dei discepoli che con Maria stavano raccolti nel Cenacolo. Dice il libo degli Atti: “venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano”. Non si tratta propriamente del vento, ma di qualcosa di fragoroso, “quasi un vento”.
Qualcosa che se c’è lo avverti, lo senti subito. Non puoi non accorgerti dei suoi effetti, tanto è rumoroso. Neppure lo puoi controllare, come anche Gesù diceva a Nicodemo quella notte: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8). Tanto che prima di questo fragore i discepoli erano rinchiusi impauriti nel Cenacolo; ma appena questo rombo, questo tornado arriva, tutto cambia. E uscendo cominciano a parlare come fossero invasati. Come smossi da dentro, profondamente. E questo scuotimento che ti prende e penetra ovunque coi suoi effetti si spiega solo come azione di Dio. Per opera di Spirito santo appunto. Vento della missione che porta soltanto Gesù, capace di solcare e superare le montagne più inaccessibili. Al punto che ci si potrebbe domandare se, pur dentro tante nostre paure e complicazioni ecclesiali, proprie di questo nostro tempo, non si nasconda l’opportunità, la grazia, di lasciare che ancora continui a soffiare; abbattendosi sulle nostre paure e indecisioni, smuovendoci dentro. Sino a rompere ogni indugio, spingendoci verso un mondo che non ci è affatto avverso, ma solo ci aspetta e invoca.
“Apparvero loro lingue, come di fuoco”
E il racconto della Pentecoste ci regala un’altra immagine, carica di sensazioni forti, quella del fuoco. Dice il libro degli Atti: “apparvero loro, dividendosi, lingue come di fuoco e se ne posò una su ciascuno di loro e furono tutti riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro di esprimersi”. Ancora una volta c’è un come che fa la differenza, qualificando il fuoco come qualcosa/qualcuno che sta ben oltre le nostre impressioni.
Perché si tratta del fuoco dello Spirito santo che descrive un suo modo particolare di rendersi presente. Perché non è tanto lo Spirito a parlare in prima persona, ma è proprio dello Spirito santo rendere capaci gli altri di parlare. Rendendoli eloquenti, capaci di esprimere parole e significati che solo da Dio è in grado di pronunciare. E che pur nella diversificazione dei linguaggi tutti possono percepire e comprendere. Come fosse un messaggio universalmente comprensibile, da tutti, ma a partire dalla propria esistenza, dalle proprie abitudine, dalla propria cultura, dal proprio linguaggio appunto. Oltre ogni appiattimento e semplificazione. Come anche Paolo scrive: “a uno, infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato un linguaggio di sapienza, a un altro, invece, dallo stesso Spirito, un linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, un atteggiamento di fede; a un altro, nell’unico Spirito, doni di guarigioni”. Concludendo che “tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole” (1 Cor 12,8-11).
“Del tuo Spirito Signore è piena la terra”
E ci sarebbe una terza immagine che pure ci è tanto cara e che soprattutto l’evangelista Luca ci descrive nel suo Vangelo, quella di una colomba che volteggiando alta nel cielo poi plana sino a posarsi sulla spalla di Gesù che da quel momento della Sua immersione nel fiume Giordano sente, come Figlio di Dìo, di avere un grande compito, una grande missione messianica, profetica: quella di annunciare al mondo che tutti sono figli di Dio, amati da Dio per sempre, senza alcuna distinzione.
In questo senso ci viene incontro un’ultima immagine che proprio i testi di questa liturgia ci regala a piene mani. Avendocela fatta ripetere più volte come ritornello del salmo responsoriale: “del tuo spirito Signore è piena la terra”. Forse non è proprio questa la realtà che sperimentiamo. Si ha piuttosto l’impressione di appartenere a un’epoca spiritualmente smorta, un’epoca anche ecclesiale senza più profeti e soprattutto senza grandi profezie capaci davvero di suscitare e sostenere la speranza. E come il popolo d’Israele gridava dopo l’esperienza dura dell’esilio: “Non ci sono più profeti” (Sal 74,9), dovremmo ricordare che il profeta Isaia rispondeva loro molto convinto: ma “Io sto facendo cose nuove! Non ve ne accorgete?” (Is 43,19). Il punto, dunque, è ormai questo, fratelli e sorelle che ascoltate: imparare a riconoscere lo Spirito che pure è già all’opera. E già questo è un dono da invocare perché porti ancora frutto. Attendo di abitare una Chiesa che finalmente cominci a credere che “a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune”.
don Walter Magni