Dopo la solenne eucaristia del Giovedì Santo, conclusasi con la reposizione del Santissimo Sacramento presso l’altare appositamente allestito, oggi l’azione liturgica senza la consacrazione dell’Eucaristia, si apre con il gesto forte della prostrazione da parte del sacerdote. Questo gesto esteriore è segno dell’atteggiamento dell’anima che ciascuno di noi è chiamato ad avere di fronte al dramma della Passione e morte di Gesù.
Di fronte ad un amore sconfinato che si fa dono della vita sulla croce per noi, noi non possiamo far altro che riconoscere la nostra miseria e il nostro peccato, adorando il mistero di questo Dio che viene in mezzo a noi e, addirittura, entra nel dramma della sofferenza, della violenza e della morte dell’uomo.
Qual è per l’uomo l’esperienza più dolorosa e drammatica se non quella della sofferenza e della morte? Il mistero del Venerdì Santo ci insegna che neanche lì l’uomo è solo, ma Dio ha voluto farsi suo compagno in questa strada dolorosa, non guardando da fuori, ma divenendo egli stesso parte di questo dramma. La scelta consapevole di Gesù di percorrere questa strada fino in fondo è evidente nel racconto della Passione di San Giovanni. Gesù è Signore, vero maestro, specialmente in questo momento drammatico.
Già nella scena di apertura, con l’arresto nel Getsemani, quando chiedono la sua identità, Gesù afferma “Sono io” (Gv 18,5). Non ci ricorda questa affermazione, quella che il Dio dell’AT aveva fatto a Mosè sul monte Oreb, rivelandosi nel roveto ardente? “Io sono colui che sono” (Es 3). Questa rivelazione di Dio liberatore, fatta a Mosè, raggiunge ora il suo culmine nella Passione del Figlio. Non c’è altro momento in cui noi possiamo conoscere meglio Dio, se non nella Passione del Figlio.
La Passione e la Croce sono la massima cattedra, il massimo trono e il punto di massima rivelazione e glorificazione per il Figlio di Dio. È lì, stando ancora al racconto di Giovanni, che si manifesta pienamente la vera regalità di Gesù. Per tantissime volte, nel racconto della Passione, più che in tutto il Vangelo di Giovanni, Gesù viene definito e si autodefinisce Re. Rispondendo a Pilato con estrema chiarezza, Gesù confessa la sua regalità: “Tu lo dici: io sono re.
Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Ci colpisce sempre profondamente questa regalità singolare di Gesù: un re umile, che sale in trono, sul patibolo umiliante della croce. Quanta strada abbiamo da compiere, per seguire anche noi questo Re umile e crocifisso. Un altro aspetto su cui vorrei brevemente soffermarmi è la scena della crocifissione: “stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèopa e Maria di Magdala” (Gv 19,25).
La memoria della Passione ci ricorda un aspetto fondamentale: solo Cristo ci ha salvati mediante la sofferenza, aprendo in essa la strada della redenzione. Solo un Dio può assumere pienamente su di sé il dramma della sofferenza e il mistero dell’iniquità, aprendo in esso una strada di salvezza. Il discepolo, di cui Maria è l’icona perfettissima e la realizzazione più piena, può semplicemente “stare”, ma in questo stare pieno di fede e speranza, può apprendere sempre di nuovo alla scuola dell’amore.
Nessuno, se non Cristo, è il Crocifisso e il Salvatore, il discepolo nella fede deve imparare a riconoscere la presenza discreta e salvifica di Gesù nei drammi del mondo e della storia. Dov’è Gesù nelle sofferenze degli uomini di oggi? Dov’è Gesù negli attentati violenti e sanguinosi? Dov’è Gesù nella sofferenza degli innocenti? È li, su quella croce, “albero di morte e di vita”, scala del Paradiso, che Dio apre una strada nuova ed è nella fede, che ciascuno di noi può imparare sempre di nuovo a non scandalizzarsi di questo mistero, imparando a stare, discretamente, silenziosamente accanto all’uomo che soffre, in cui – come diceva Pascal – continua nella storia la Passione di Gesù.
In conclusione possiamo dire che è proprio la sua identità di Dio, che soffre per l’uomo sulla croce, a rendere questa ordinaria condanna a morte, come le tante dei romani al tempo di Gesù, unica e irripetibile e centro della storia. Solo la fede, quella che Giovanni, Maria e gli apostoli ci hanno consegnato, può farci entrare in questa strada nuova che è la Pasqua di Gesù: “chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate” (Gv 19,35).
Questa fede ci animi allora, ora che ci accosteremo in maniera adorante, alla croce di Gesù, non vedendo in essa uno strumento di morte, ma la via della vita, non uno strumento di umiliazione, ma la scala della salvezza. Sia la memoria di questa croce, sotto la quale possiamo rimanere anche noi come Maria e i discepoli, nella fede e nell’obbedienza, a darci la forza per unire le nostre sofferenze, i nostri drammi quotidiani e quelli di tutta l’umanità, all’unico sacrificio di Gesù.
Fonte – il blog di don Luciano