Commento al Vangelo del 18 settembre 2011 – Paolo Curtaz

Venticinquesima domenica durante l’anno

Is 55,6-9/ Fil 1,20-27/ Mt 20,1-16

Dal merito alla grazia

Brutta storia, quella del perdono. Una riflessione acida, tesa, che ci scardina dentro.

È impegnativo, il perdono, serio, esige conversione radicale. Eppure sul perdono si gioca gran parte della credibilità del cristianesimo. Il perdono che scardina la violenza, che diventa profezia di un mondo nuovo, che ridisegna il volto dell’uomo, rendendolo finalmente a immagine di Dio, restituendolo al suo volto autentico.

La comunità cristiana, col suo modo di intessere relazioni, con la sua capacità di discutere (e litigare!) in maniera “altra”, con la sua capacità di prendersi a cuore il destino del fratello diventa anticipo del mondo nuovo.

In teoria.

Dopo dieci anni dall’attentato alle torri gemelli il mondo continua a vivere nell’inquietudine e nella violenza, incapace di convertirsi all’ovvio: solo nel perdono e nell’accettazione della diversità possiamo vivere una vita proficua per tutti.

In noi, in ognuno!, c’è un piccolo despota che vorrebbe tanto fare il dittatore degli altri.

Reduci da due settimane di Parola di Dio urticante riprendiamo la scuola e, con essa, le attività parrocchiali. Nella logica del padrone della vigna, quello della parabola di oggi.

Nella logica della gratuità totale, che spiazza la logica meritocratica.

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Incomprensibile

È incomprensibile l’atteggiamento del padrone della vigna. Certo: è molto affaccendato, la vigna è grande e ha bisogno di molti operai per riuscire a portare a termine la vendemmia. Va in strada presto, al mattino, per assumere i primi operai. Quando si accorge che non bastano torna ancora per cercare altri operai. Stabilisce con loro “quanto è giusto” come ricompensa.

Quando esce alle cinque del pomeriggio, un’ora prima della fine del lavoro, vede ancora alcuni bighellonare e li invita a lavorare.

Questo il problema vero: quanto è giusto?

Quando gli operai della prima ora vedono che gli operai sfaccendati prendono la stessa cifra, giustamente, insorgono.

Loro hanno faticato tutta la giornata, questi ultimi solo un’ora, ricevono lo stesso salario, che ingiustizia!

Però

In teoria.

La chiave della parabola sta nel loro modo di pensare.

Quando vedono dare agli operai dell’ultima ora un denaro pensano di ricevere di più.

Quando ricevono il denaro pattuito non chiedono di più, esigono per gli altri di meno.

Vigliacchi e pavidi. Non dicono quello che legittimamente desiderano, chiedono al padrone di dare agli altri di meno.

Meno di un denaro. Un denaro è il guadagno minimo giornaliero per poter dar da mangiare ad una famiglia ai tempi di Gesù.

Invece di esercitare un legittimo diritto (“Dacci di più, abbiamo lavorato tutto il giorno!”), se la prendono con i deboli: chiedono di dar loro di meno. Meno di ciò che è indispensabile per vivere.

Forti con i deboli, deboli con il forte.

Terribile.

Non pensiamo anche noi così?

Meritocrazia

Il padrone è buono, non vuole fare l’elemosina a questi sfaccendati, non vuole umiliarli, vuol dar loro una parvenza di dignità, la possibilità di riscattarsi, di osare, di rinascere. Lo fa con garbo, con gentilezza, con misericordia.

È buono il padrone, non sciocco: del suo denaro può fare quello che vuole.

Come salvare un peccatore gratuitamente.

Gesù se la prende con la logica del merito: Dio mi ama e mi premia perché mi comporto bene. Così pensavano i devoti del suo tempo. E del nostro.

Gesù dà una spallata alla logica umana che vede la giustizia come unico modo di relazionarsi fra le persone e con Dio. È importante la giustizia ma rischia di sfociare nell’arida contabilità dei meriti.

Più del merito c’è la grazia, il dono, questo osa dire Gesù.

È una grossa soddisfazione quella di prendersi una laurea dopo anni di studio. Ma è una sorpresa indicibile il dono inaspettato dell’amato!

Così è Dio: ci sorprende con la sua grazia che supera la giustizia.

Ricordiamocelo, quando pesiamo la nostra fede sulla bilancia delle buone opere.

Quello che Gesù ha superato, troppo spesso noi cattolici lo recuperiamo pensando di fargli un piacere!

Convertirsi alla bontà

Gli operai della prima non hanno colto con chi hanno a che fare.

Hanno ridotto la loro fede a fatica e sudore. Peggio: guardano con sospetto gli altri, quasi concorrenti dei loro privilegi.

Non è così per chi ha colto la luce del Vangelo. Stupiti, abbagliati dalla bontà del padrone, gioiamo per la grazia di poter lavorare nella vigna, gioiamo per la possibilità che altri fratelli anche all’ultimo possano accogliere la grazia che ci ha trasformati.

La bontà di Dio contagi la nostra vita, in modo da rendere la nostra giornata lavorativa, sin d’ora, immagine di quella gioia che il Signore riverserà nei nostri cuori forgiati dalla fatica dell’amore. Il nostro Dio, mite e umile di cuore, che vivrà questa pagina dall’albero della croce accogliendo il buon ladrone, ci faccia uscire dalle ristrettezze di una fede “sindacale” per  percepire, almeno un poco, quale braciere d’amore e di bontà è il suo cuore; impariamo dal Signore, che è mite e umile di cuore …

Isaia e Paolo

Isaia scuote i deportati in Babilonia per indicare la corretta logica di Dio: se saranno riscattati, se potranno tornare in Israele non sarà per loro merito ma per iniziativa gratuita del Signore!
Paolo, commosso, riceve da Filippi, la più amata fra le sue comunità, la prima “europea”, Epafrodito che gli porta consolazione e denaro è una visita inattesa che aiuta Paolo a sostenere le angustie e la prigionia di Efeso.

Quando la smetteremo di usare la calcolatrice nel relazionarci fra di noi e con Dio capiremo cosa significa diventare discepoli.

Il Regno è gratis, non fatevi fregare.

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