Commento al Vangelo del 18 novembre 2016 – Monastero di Bose

Lc  19,45-48

45 In quel tempo Gesù entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, 46dicendo loro: «Sta scritto:
La mia casa sarà casa di preghiera.
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
47Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; 48ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.

Pochi versetti quelli del vangelo su cui siamo invitati a meditare oggi, pochi versetti nei quali ci viene narrata la risolutezza con cui Gesù vive i giorni che precedono la sua passione compiendo il suo cammino fino alla morte e alla morte di croce, atroce e infamante.

Egli, animato come i profeti dallo zelo ardente per il Signore, non rinuncia a gridare la verità anche quando questa attira su di lui l’inimicizia e l’ostilità di chi si vede rimproverato e smascherato dalle sue parole, fedeli eco delle Scritture ascoltate, meditate e portate nel cuore.

Non rinuncia neppure a compiere quei gesti, anch’essi di gusto squisitamente profetico, che sconvolgono l’ordine stabilito, il quieto e incosciente fare che sfrutta per i propri traffici certe pratiche, soprattutto religiose, senza interrogarsi più sul loro senso profondo e sulla loro autentica e originale funzione: si fanno perché si sono sempre fatte e perché tutto sommato sono fonte di guadagno a basso prezzo, che rassicurano il cuore degli uni gonfiando le tasche degli altri.
Gesù non si fa fermare dall’ostilità che sente e vede crescere attorno a sé, ma non si fa neppure distrarre e lusingare dall’ammirazione e dal consenso di quelle folle che qui pendono dalle sue labbra, dal suo autorevole insegnamento, ma che pochi giorni più tardi, come bandierine esposte al vento, cambieranno atteggiamento e unendosi ai capi dei sacerdoti e alle autorità chiederanno a gran voce la sua morte (cf. Lc 23,13-24).

Dal quadro che l’evangelista Luca tratteggia in questi versetti emerge la forza interiore che abita e sostiene Gesù, forza che non lo fa indietreggiare di fronte al caro prezzo che dovrà pagare per rimanere fedele a se stesso e alla sua vocazione, forza che lo rende lucido anche di fronte alle lusinghe del mondo, all’entusiasmo di superficie e opportunistico di coloro che sono affascinati dalla sua personalità ma che di lui non colgono l’appello e la radicale esigenza.
E insieme alla sua forza emerge anche, forse inevitabile, la sua solitudine, espressa dal suo pianto su Gerusalemme descritto nei versetti precedenti i nostri, e qui inscritta nel contrasto tra la sua figura e quella dei gruppi che lo circondano. E stupisce, e interroga, l’assenza sulla scena dei discepoli …

Gesù è solo ma libero, ed è in questa libertà, nutrita dall’ascolto assiduo delle Scritture e radicata nell’amore del Padre, che trova autorevolezza il suo agire e il suo parlare, specchio trasparente e senza deformazioni di colui che l’ha inviato nel mondo.

E noi in chi e in che cosa troviamo saldezza e libertà?

sorella Ilaria della comunità monastica di Bose

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