Vi è mai capitato di commuovervi vedendo un film o assistendo ad un’opera teatrale? Ogni tanto capita anche a me e la cosa, se ci penso, la trovo razionalmente assurda e a posteriori mi fa sorridere. La cosa buffa è quando guardando un film una seconda o terza volta, e c’è sempre quel punto in cui mi commuovo sento una stretta alla pancia e gli occhi si inumidiscono… anche se conosco già la storia e sono pienamente consapevole che sono solo attori che stanno recitando una parte di una storia spesso inventata.
Anche Gesù si commuoveva, anche lui ogni tanto sentiva quella stretta alla pancia e probabilmente gli scendevano lacrime che non riusciva a trattenere. Non gli succedeva ovviamente davanti ad un film, ma quando incrociava le storie di dolore delle persone reali del suo tempo. Anche con lui potremmo razionalmente pensare che questa improvvisa commozione è una cosa assurda, dato che lui era Dio e sapeva bene tutto quello che succede e che soprattutto poteva risolvere con poco ogni situazione anche la più drammatica. Eppure il racconto del Vangelo non nasconde questa commozione, che nel termine greco “commozione” usato dall’evangelista si fa riferimento proprio la stretta alle viscere tipica della madre quando si preoccupa del proprio figlio. E nel caso di Gesù non si tratta di una recita ma di umanissima e vera commozione.
Gesù come uomo e come maestro del suo tempo la sofferenza non è mai indifferente. Il soffrire umano di qualsiasi tipo mette in secondo piano tutto il resto, e questo è ben raccontato dall’evangelista che ci narra come i piani di riposo (giusto e doveroso) degli apostoli con Gesù viene sovvertito dalla folla che cerca il Maestro anche là dove si vorrebbe riposare. Gesù vede in questa folla che lo cerca, con tanti problemi diversi e diverse storie, un elemento comune, cioè sono dispersi come un gregge che non ha pastore (e qui l’evangelista fa ricorso ad una immagine molto cara alla Bibbia, quella del pastore che raduna e custodisce il gregge, e che Gesù stesso applicherà a se).
La dispersione porta alla solitudine e alla contrapposizione, mentre c’è davvero bisogno di ritrovare il senso di condivisione e di comunità proprio nei momenti più difficili. La cosa che appare strana nel racconto è che la prima cosa che fa Gesù per questa folla carica di problemi di ogni tipo è mettersi ad insegnare. Non è però un distributore di consigli superficiali, ma un maestro di unità, uno che proprio commuovendosi prima e occupandosi di loro subito dopo, insegna l’amore di Dio con i fatti ancor prima che con teorie. Gesù scendendo dalla sua barca, rompendo lo schema dei suoi piani e mettendosi prima in ascolto di loro e del suo stesso cuore, diventa maestro di umanità, quella umanità vera che ci rende simili a Lui e a Dio stesso. Se ci commuoviamo davanti ad un film con attori che recitano, è segno che non abbiamo un cuore di pietra e un cervello di plastica, ma abbiamo la possibilità di farci “toccare” dentro dalle storie delle persone. Dio stesso si commuove attraverso il cuore umano di Gesù, e solo così l’umanità non viene dispersa in piccole isole di solitudine senza scampo.
Se ascoltiamo il nostro cuore e ci alleniamo a guardare l’altro e la sua storia con disponibilità, arriveremo davvero ad assomigliare a Gesù, non tanto nei poteri soprannaturali delle sue mani, ma in quello che davvero caratterizzava in modo straordinario il Figlio di Dio in terra, il suo cuore.
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)