XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (18/07/2010) -Vangelo: Lc 10,38-42
Cristo è il samaritano che versa sulle nostre piaghe l’olio della consolazione e il vino della speranza, colui che non tira diritto facendo finta di non vederci, che non si chiede se le nostre ferite non siano la conseguenza delle nostre scelte sbagliate, che non ha paura di sporcarsi le mani di sangue.
E noi, guariti dentro, siamo resi capaci di misericordia e di tenerezza.
Cristo è colui che possiamo accogliere, come fece Abramo con i tre misteriosi personaggi, alle querce di Mamrè, come fecero le sorelle Marta e Maria a Betania.
Accogliere Dio significa diventare fecondi, iniziare una nuova vita, come per Abramo e Sara.
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Betania
È facile immaginare la scena: Gesù, verso la fine del pomeriggio, quando il caldo di Gerusalemme cede il passo al vento, scendeva la valle del Cedron e risaliva il monte degli Ulivi, per superarlo e raggiungere il piccolo villaggio di Betania.
Chissà quando aveva conosciuto le sorelle e Lazzaro, forse suoi coetanei…
Per Gesù Betania rappresentava una pausa di normalità, una sosta, un refrigerio. Lasciati indietro anche gli apostoli, forse Gesù ritrovava in quella casa di campagna gli odori e le luci della sua piccola Nazareth.
Forse a Betania, davanti ad una focaccia cotta, Gesù dimenticava la tensione che provava nella Gerusalemme che uccide i profeti, abbandonava il dolore sordo che gli stava crescendo nel cuore vedendo la sua missione duramente contrastata.
A Betania Gesù poteva parlare liberamente, sentirsi accolto, svestiva il ruolo del Rabbì, abbandonava i panni dell’accusato per ritrovare, per qualche momento, il piacere dell’amicizia e della complicità.
Mi commuove alle lacrime vedere Dio intessere una relazione, che chiede ascolto, che ama sedersi con semplicità intorno ad un tavolo e ridere e scherzare.
Se potessimo, di quando in quando, invitare Dio e ascoltarlo, preparare per lui, come Abramo, un buon pasto e dello yogurt fresco!
Diventassimo capaci, d’ogni tanto, di ascoltare Dio e il suo desiderio di salvezza, ascoltare le sue fatiche e il suo dolore nel vedere l’umanità travolta dalla violenza e dal limite, dirgli che può contare su di noi per realizzare il mondo altro che ha nel cuore…
Facessimo diventare Betania la nostra vita!
Ascolto e azione
Maria e Marta rappresentano le due dimensioni della vita interiore: la preghiera e l’azione.
Maria ascolta con attenzione le parole del Maestro, le manda a memoria, se ne abbevera. Come molti, ancora oggi, pende dalle labbra del Signore, aspetta che egli parli al suo cuore.
All’origine di ogni fede, il cuore di ogni esperienza religiosa è e resta l’incontro intimo e misterioso con la bellezza di Dio. Dio che solo intravediamo attraverso le fitte nebbie del nostro limite ma di cui, pure, possiamo temporaneamente fare cristallina esperienza.
Rimettiamo la preghiera e il silenzio nel cuore della nostra giornata, come sorgente di serenità e di gioia.
Marta realizza la beatitudine dell’accoglienza, la concretezza dell’amore e dell’ospitalità.
Anche lei sa che l’ascolto del Maestro è l’origine di ogni incontro, ma sa anche che se questo incontro non cambia la vita, resta sterile e inconcludente.
Marta nutre il Cristo che Maria adora.
Non esiste una preghiera autentica che non sfoci nel servizio.
È sterile una carità che non inizi e non termini nella contemplazione del mistero di Dio.
I patimenti
Restare ancorati a Cristo, ascoltare la sua parola, farlo diventare ospite fisso della nostra vita suscita e produce in noi una profondità che nulla può travolgere.
Marta e Maria, pur restando gravemente turbate dalle morte di Lazzaro loro fratello, sapranno, comunque, ancora disperatamente rivolgersi al Rabbì che scioglierà le loro angosce.
Paolo, riflettendo sul dolore che sta caratterizzando la sua vita di apostolo, invece di disperarsi offre il suo dolore a compimento del dolore di Cristo. Nella logica del Vangelo, anche la notte e la sconfitta, se unite a Cristo Signore della notte e della sconfitta, possono trasformarsi in gesto d’amore.
Siamo ormai nel cuore dell’estate: in ferie – per i più fortunati – o nelle città arroventate, lasciamo entrare la freschezza dello Spirito accogliendo Cristo.
Paolo Curtaz