Commento al Vangelo del 18 giugno 2017 – Mons. Alberto Albertazzi

 

Il famigerato (più che famoso) discorso eucaristico che Gesù tiene nella sinagoga di Cafarnao è un crescendo verso l’assurdo, se lo leggiamo solo con le nostre meningi. Tra i molti discorsi di Gesù è quello che maggiormente impegna la fede. E il vangelo odierno ne è la prova. Passi che Gesù dica: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo». Ma quanto segue è per lo meno frastornante: «…e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Siamo talmente abituati a queste sciabolate verbali che non ci fanno più né caldo né freddo, ma ficchiamoci nei panni di chi le udì la prima volta! Altro che chiedersi: «Come può costui darci la sua carne da mangiare»! La dichiarazione di Gesù potrebbe benevolmente essere intesa in senso figurato, sfumandola verso un generico “dare la vita”, cosa che peraltro ha fatto. Invece vuol essere preso alla lettera. Ne è prova il fatto che poco oltre, quando dice: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue», per il verbo “mangiare” non usa più il raffinato faghein (aoristo del poliradicale esthìo), ossia mangiare in punta di forchetta, ma il robusto trogo, che cavalca pure nelle dichiarazioni successive. Orbene quest’altro verbo significa mangiare con fragorosa mandibolazione. Presumo che gli apostoli, quando, nell’ultima cena, hanno visto come si mettevano le cose in atto di istituzione dell’eucaristia, abbiano tirato un sospiro di sollievo! Nulla dunque di cannibalesco, ma carne e sangue elegantemente nascosti sotto le parvenze del pane e del vino. Va detto per correttezza e precisione che la sfasatura dei verbi “manducatori” è da attribuirsi all’evangelista che scriveva in greco, non a Gesù che parlava aramaico.

[ads2]Cristo enuncia l’indispensabilità dell’eucaristia per il conseguimento della vita eterna, introducendosi con la doppia clausola veritativa «in verità in verità vi dico», abitualmente previa a suoi enunciati solenni, come quello che segue: «Se non mangiate (faghete) la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita». Formulazione sintattica perfettamente parallela a: «Se uno non rinasce da acqua e da spirito non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). Ma Gesù non sembra soddisfatto dell’enunciato eucaristico precitato e lo rinforza chiarendolo: «Chi mangia (questa volta trogo) la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Un’eucaristia dunque talmente affacciata all’eternità da chiedersi se Gesù pensasse più alla prima comunione o al viatico (chi se ne ricorda?). L’eucaristia dunque come fattore di vita eterna, con buona pace di coloro che si professano credenti ma non praticanti! Segue una spiegazione: «Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda», ove l’accento concettuale deve cadere su quel «vero/vera», così ostinatamente ribattuto. Vero cibo e vera bevanda, perché fattori non di «quel viver ch’ è un correre alla morte» (Dante, Purgatorio XXX 54), ma di interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio (= possesso perfetto e simultaneo di una vita senza fine), secondo la definizione che Boezio († 524) fornisce di eternità.

Ma l’eucaristia non è tutta qui. Gesù le riconosce anche un’altra efficienza: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui». Fa dunque scattare una specie di inabitazione reciproca, di velata (per ora) parvenza trinitaria, messa poi in luce nell’ultima cena (cfr Gv 14,9).

Alla fine il colpo di grazia: «Questo è il pane disceso dal cielo». S’era cominciato a parlarne appena entrati nella sinagoga di Cafarnao (Gv 6,31-32), in riferimento alla manna. E Gesù assesta un fendente spiazzante: «[Il pane che io vi dò] non è come quello che mangiarono i vostri padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Dichiarazioni di questo genere, così supreme, così formulate senza battere ciglio e senza timore di smentita, fanno dell’eucaristia il più straordinario e impensabile di tutti i sacramenti. Solo il genio di Gesù poteva progettarla!

Mons. Alberto Albertazzi – Responsabile Uff. Catechistico presso CURIA ARCIVESCOVILE – UFFICI PASTORALI (Vercelli).

Fonte

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

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Corpus Domini

Gv 6, 51-58
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 18 – 24 Giugno 2017
  • Tempo Ordinario XI, Colore bianco
  • Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 3

Fonte: LaSacraBibbia.net

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