Commento al Vangelo del 18 febbraio 2018 – p. Raniero Cantalamessa

Con Gesù nel deserto

Il Vangelo odierno inizia con queste parole:
“In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto ed egli vi rimase quaranta giorni, tentato da satana”.
Questa volta lasciamo da parte Satana e le sue tentazioni; concentriamoci sulla sola frase iniziale: “Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto”. Essa contiene un appello importante all’inizio della Quaresima. Gesù ha appena ricevuto, nel Giordano, l’investitura messianica per portare la buona novella ai poveri, sanare i cuori affranti, predicare il regno. Ma non si affretta a fare nessuna di queste cose. Al contrario, obbedendo a un impulso dello Spirito Santo, si ritira nel deserto dove rimane quaranta giorni, digiunando, pregando, meditando, lottando. Tutto questo in profonda solitudine e silenzio.

Nella storia vi sono state schiere di uomini e donne che hanno scelto di imitare questo Gesù che si ritira nel deserto. In oriente, a cominciare da sant’Antonio Abate, si ritiravano nei deserti dell’Egitto o della Palestina; in occidente, dove non esistevano deserti di sabbia, si ritiravano in luoghi solitari, monti e valli remote. Tutto iniziò con san Benedetto da Norcia che fece di Subiaco, il primo degli innumerevoli eremi e monasteri che avrebbero punteggiato il nostro continente, contribuendo in modo decisivo al suo sviluppo culturale e agricolo con il noto programma ora et labora, prega e lavora, tanto da essere proclamato Patrono dell’Europa.

Ma l’invito a seguire Gesù nel deserto non è rivolto solo ai monaci e agli eremiti. In forma diversa, esso è rivolto a tutti. I monaci e gli eremiti hanno scelto uno spazio di deserto, noi dobbiamo scegliere almeno un tempo di deserto. Trascorrere un tempo di deserto significa fare un po’ di vuoto e di silenzio intorno a noi, ritrovare la via del nostro cuore, sottrarci al chiasso e alle sollecitazioni esterne, per entrare in contatto con le sorgenti più profonde del nostro essere.

Questo significato positivo del deserto – diverso da quello negativo di luogo arido, senza vita, senza comunicazione –, è presente già nella Bibbia. Per esempio, quando Dio, parlando del suo popolo come di una sposa, dice:
“La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Osea 2, 16).

La Quaresima è l’occasione che la Chiesa offre a tutti, indistintamente, per fare un tempo di deserto nell’ambiente stesso in cui vivono, senza bisogno di ritirarsi in un eremo. Vissuta bene, essa è una specie di cura di disintossicazione dell’anima. Se non esistesse la Quaresima, bisognerebbe inventarla noi oggi. Non c’è infatti sulla terra solo l’intossicazione da ossido di carbonio; esiste anche l’intossicazione per eccesso di rumori e di luci. Siamo un po’ tutti ubriachi di chiasso. Non sono solo i credenti a sentire il bisogno di tempi di raccoglimento e di solitudine, ma ogni persona consapevole di avere uno spirito, un’anima, o almeno una libertà, da custodire e difendere. Anche lo spirito ha diritto alle sue ferie!

L’uomo invia le sue sonde fino alla periferia del sistema solare, ma ignora, il più delle volte, quello che c’è nel suo stesso cuore. Evadere, distrarsi, divertirsi: sono tutte parole che indicano un uscire da se stessi, un sottrarsi alla realtà. Esistono spettacoli “di evasione” (la TV ce ne propina a valanga), letteratura “di evasione”. In inglese, tutto questo genere è chiamato, significativamente, fiction, finzione. Preferiamo vivere nella finzione, anziché nella realtà. Si parla tanto oggi di “alieni”, ma alieni, o alienati, lo siamo già per conto nostro sul nostro stesso pianeta, senza bisogno che vengano altri da fuori.

I giovani sono i più esposti a questa ubriacatura di chiasso. “Pesi il lavoro su questi uomini – diceva degli ebrei il faraone ai suoi ministri – e siano tenuti impegnati, così che non diano retta alle parole di Mosè e non pensino a sottrarsi alla schiavitù” (cfr. Esodo 5, 9). I “faraoni” di oggi dicono, in modo tacito ma non meno perentorio: “Pesi il chiasso su questi giovani, ne siano storditi, così che non pensino, non decidano per conto loro, ma seguano la moda, comprino quello che vogliamo noi, consumino i prodotti che diciamo noi”.

Che fare? Non potendo andare noi nel deserto, bisogna fare un po’ di deserto dentro di noi. Come? La tradizione cristiana ci offre la risposta con una parola: di¬giuno. Solo che esistono molti tipi di digiuno. Una volta, con la parola digiuno si intendeva solo il limitarsi nei cibi e l’astenersi dalle carni. Questo digiuno alimentare conserva tuttora la sua validità ed è altamente raccomandato, quando è fatto con spirito di sacrificio, per mortificare la gola e avere qualcosa di più da condividere con chi muore di fame, e non unicamente per mantenere la linea.

Tuttavia, questo non è oggi il digiuno più necessario. Nessun cibo, diceva Gesù, è, per sé, impuro, e non è quello che entra nello stomaco che inquina l’uomo. Più necessario del digiuno dai cibi è il digiuno dai rumori, dal chiasso e soprattutto dalle immagini. Viviamo in una civiltà dell’immagine; siamo diventati divoratori di immagini. Attraverso la televisione, la stampa, la realtà stessa, lasciamo entrare a fiotti immagini dentro di noi. Molte di esse sono malsane, veicolano violenza e malizia, non fanno che aizzare i peggiori istinti che ci portiamo dentro. Sono confezionate espressamente per sedurre. Ma forse il peggio è che dànno un’idea falsa e irreale della vita, con tutte le conseguenze che ne derivano nell’impatto poi con la realtà. Si pretende che la vita offra tutto ciò che la pubblicità presenta.

Se non creiamo un filtro, uno sbarramento, riduciamo in breve tempo la nostra fantasia e la nostra anima a un immondezzaio. Le immagini cattive non muoiono appena giunte dentro di noi, ma fermentano. Si trasformano in impulsi all’imitazione, condizionano terribilmente la nostra libertà. Sappiamo cosa questo significa, specie per gli adolescenti e i giovani. Si sono dovuti sequestrare certi film, perché c’erano persone labili che venivano spinte irresistibilmente a rifare quello che avevano visto, anche la cosa più assurda, come scagliare sassi sulle auto in corsa dai cavalcavia.

Quando tira vento di scirocco carico di sabbia del Sahara, nessuno tiene le finestre spalancate, se non vuole ritrovarsi ogni cosa ricoperta di polvere in casa. Occorre un controllo anche su quello che lasciamo entrare attraverso i nostri occhi. Una volta qualcuno mi obbiettò: “Ma non è Dio che ha creato l’occhio per guardare tutto ciò che di bello c’è nel mondo?”. “Sì, gli risposi, ma lo stesso Dio che ha creato l’occhio per guardare, ha anche creato la palpebra per coprirlo! Ed sapeva quello che faceva”.

Un altro di questi digiuni alternativi, che possiamo fare durante la Quaresima, è quello dalle parole cattive. San Paolo raccomanda:
“Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano” (Efesini 4, 29).

Un anno, all’inizio della Quaresima, si chiedeva una comunità di laici, che cosa fare, come gesto comune, per santificare questo tempo. Dovettero scartare subito il digiuno dai cibi, perché c’erano alcune mamme in attesa, o con bambini da allattare. Allora decisero di prendere come programma quelle parole dell’Apostolo e di fare insieme un digiuno dalle parole cattive. Ognuno scrisse quella frase di san Paolo e la affisse in un luogo ben visibile della casa. E fu una Quaresima benedetta.

Parole cattive non sono solo le parolacce; sono anche le parole taglienti, negative che mettono in luce sistematicamente il lato debole del fratello, parole di critica, di sarcasmo. Nella vita di una famiglia o di una comunità, queste parole hanno il potere di far chiudere ognuno in se stesso, di raggelare, creando amarezza e risentimento. Alla lettera, “mortificano”, cioè dànno la morte. San Giacomo diceva che la lingua è piena di veleno mortale; con essa possiamo benedire Dio o maledirlo, risuscitare un fratello o ucciderlo. Una parola può fare più male di un pugno.

Dicevo che, non potendo andare noi nel deserto, l’alternativa è fare un po’ di deserto intorno a noi. San Francesco d’Assisi ci dà, a questo proposito, un suggerimento pratico. “Noi, diceva, abbiamo un eremitaggio sempre con noi; dovunque andiamo e ogni volta che lo vogliamo possiamo chiuderci in esso come eremiti. L’eremo è il nostro corpo e l’anima è l’eremita che vi abita dentro!”. In questo eremo, per così dire, portatile, possiamo entrare, senza dare sull’occhio a nessuno, perfino mentre viaggiamo su un bus affollatissimo. Tutto consiste nel sapere ogni tanto “rientrare in se stessi”.

Terminiamo ascoltando, come rivolte a noi all’inizio di questa Quaresima, le parole di sant’Anselmo d’Aosta:
“Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui. Entra nell’intimo della tua anima, escludi tutto, tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, di’ a Dio: Cerco il tuo volto. Il tuo volto io cerco, Signore”.

Che lo Spirito che “condusse Gesù nel deserto”, vi conduca anche noi, ci assista nella lotta contro il male e ci prepari a celebrare la Pasqua rinnovati nello spirito!

Fonte

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
della Prima Domenica di Quaresima – Anno B

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 18 Febbraio 2018 anche qui.

Mc 1, 12-15
Dal Vangelo secondo Marco
12E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto 13e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. 14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 18 – 24 Febbraio 2018
  • Tempo di Quaresima I
  • Colore Viola
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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