Commento al Vangelo del 18 Aprile 2025 (Venerdì Santo) – Sussidio Pasqua CEI

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Abbiamo iniziato questa santa Liturgia prostrati a terra, richiamando il gesto di Gesù nell’orto degli Ulivi, prostrato per l’angoscia di morte. “Noi tutti – scrive Isaia nella prima lettura (52,13-53,12) – eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada (53,6). Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori (53,4). È stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità” (53,5).

La prostrazione, come rito proprio di questo giorno, assume il significato di umiliazione dell’uomo terreno e partecipazione alla sofferenza di Cristo, ma ci ricorda anche la nostra origine terrena e mortale e la fragilità creaturale che sovente ci rimanda a terra.

Oggi però non si celebra il funerale del Figlio di Dio! Ciò che celebriamo, infatti, è sempre un evento di salvezza, dunque di vita: l’amore di Dio, che, donandosi, genera la Chiesa.

San Giovanni Crisostomo in una delle sue «Catechesi» dedicate al Vangelo di Giovanni (Venerdì Santo, Ufficio delle letture, Seconda lettura) così si esprime: “Non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell’acqua e quel sangue sono simbolo del Battesimo e dell’Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo per mezzo del Battesimo e dell’Eucaristia. E i simboli del Battesimo e dell’Eucaristia sono usciti dal costato. Ǫuindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva” (Catech. 3, 13-19; SC 50, 174-177).

Anche la Gaudium et Spes contempla la generazione della Chiesa “dal costato dormiente di Cristo sulla croce” legandola alla donazione del suo Santo Spirito.

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Giovanni lascia cadere quasi per caso, nel momento supremo della croce, una notazione poco approfondita: «Vi era lì un vaso pieno di aceto» (Gv 19,29). Tra i segni della passione è quello meno raffigurato. Sono di più i chiodi, il martello, la corona di spine, la spugna, la lancia, la veste, ad essere dipinti ai piedi del Cristo deposto o sotto le porte scardinate dell’Ade, nelle icone orientali del Descensus ad inferos.

Eppure l’aceto per calmare l’arsura della morte di croce, una morte per soffocamento, era sempre a portata di mano per questo tipo di supplizio, altrimenti insopportabile anche per soldati romani, corazzati di fronte ad ogni dolore.

Tutti e quattro gli evangelisti menzionano l’aceto, come rimedio al grido di Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!» (Mc 15,36; Mt 27,48; Lc 23,36). Sentono l’urlo di Gesù, pensano che è il rantolo del crocifisso, pongono rimedio con un anestetico naturale per calmare il dolore.

Giovanni però parla di un vaso “pieno” di aceto. È la scena centrale del Crocifisso, nobilmente trasfigurato come su un trono di gloria. E da quel patibolo, ironicamente capovolto in un trono, Gesù – dice l’evangelista con tono grave – «sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: “Ho sete”».

È il momento sublime del compimento della vita di Gesù, che noi dobbiamo saper leggere sul trono della croce, su cui era impressa lo stigma del libro del Deuteronomio: «L’appeso [a un albero, v. 22] è una maledizione di Dio» (Dt 21,23).

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È il momento supremo a cui approda tutta la Rivelazione, perché vi porta il dolore e il travaglio, l’attesa e la speranza di quel “tutto è compiuto”.

È nella parola di Gesù, la sua penultima, secondo l’evangelista Giovanni, che quel tutto prende suono: «Ho sete»; è lì che si raccoglie il desiderio degli uomini e delle donne del mondo, della sete di amore, di abbracci, di relazioni, di aria, di sole, in questo complesso cambio d’epoca.

Sì, Signore, con te e come te, ho sete, abbiamo sete di vita! La tua sete è il compimento di tutto il nostro desiderio dell’acqua viva e della fonte zampillante, mentre in questi ultimi anni ci siamo abbeverati alle cisterne screpolate del possesso e del consumo, ci siamo ubriacati delle nostre conquiste e dei nostri traguardi, ci siamo inebriati con il “tutto è connesso” dei nostri nuovi mezzi di comunicazione.

La tua sete indica la mancanza radicale dell’uomo nudo e povero, così come si trova spogliato sulla croce. Tu dici, come tanti che ci hanno lasciato quest’anno nei campi di guerra: ho fame d’aria, ho sete di vita, ho desiderio di amore, ho bisogno di Dio.

E noi abbiamo saputo dire e dare poco o nulla, non siamo stati capaci di stillare una lacrima di amore, abbiamo ogni giorno elencato bollettini che narrano guerre a noi vicine eppure quasi dimenticate, lasciandoci strozzare in gola la parola della speranza.

In questo giorno contempliamo anche nella passione di Cristo la passione di ogni uomo, in ogni statio umana la concretizzazione drammatica della mancanza di amore e di umanità: dalla condanna, al tradimento, dalla commiserazione sterile alla spogliazione dell’abito – ultima estrema protezione contro la barbarie di chi vuole togliere la dignità dell’Uomo.

La via Crucis è anche la via hominis ed è interessante notare alcune donne che si espongono a favore di un condannato a morte, mentre il seguito maschile dei discepoli sembra sparire.

I Vangeli riferiscono il nome di alcune di esse: Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses, Salome, madre dei figli di Zebedeo, una certa Giovanna e una certa Susanna (Lc 8, 3).

Esse avevano seguito Gesù dalla Galilea; lo avevano affiancato, piangendo, nel viaggio al Calvario, sul Golgota erano state ad osservare «da lontano» (cioè dalla distanza minima loro consentita) e di lì a poco lo accompagnano, mestamente, al sepolcro, con Giuseppe di Arimatea.

Padre Raniero Cantalamessa nel ritiro di Quaresima del 2007 ebbe a dire questa espressione: “Le chiamiamo, con una certa condiscendenza maschile, «le pie donne», ma esse sono ben più che «pie donne», sono altrettante «Madri Coraggio»! Hanno sfidato il pericolo che c’era nel mostrarsi così apertamente in favore di un condannato a morte.

Gesù aveva detto: «Beato chi non si sarà scandalizzato di me» (Lc 7, 23). Queste donne sono le uniche che non si sono scandalizzate di lui”.

In un tempo di femminicidio e di grande disprezzo per la donna, questa annotazione sembra quanto mai necessaria e moderna.

In ciò la loro presenza accanto al Crocifisso e al Risorto contiene un insegnamento vitale per noi oggi. La nostra civiltà, dominata dalla tecnica, ha bisogno di un cuore materno perché l’uomo possa sopravvivere in essa, senza disumanizzarsi del tutto.

Dare più spazio alle «ragioni del cuore», se vogliamo evitare che, mentre si surriscalda fisicamente, il nostro pianeta ripiombi spiritualmente in un’era glaciale.

È la conclusione del Faust di Goethe ed è anche il grido lanciato da Ermanno Olmi nel film Cento chiodi che fa inchiodare simbolicamente al pavimento i preziosi volumi di una biblioteca e fa dire al protagonista: «Tutti i libri del mondo non valgono una carezza».

Prima di tutti loro san Paolo aveva scritto: «La conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica» (1 Cor 8,1).

Celebriamo oggi dunque la necessità di una compassione che tarda a venire, contempliamo semplicemente l’uomo Cristo Gesù e in esso la storia di ogni uomo e di ogni donna, in attesa che qualcuno se ne accorga facendosi compagno di strada e togliendolo dalla crocifissione.

Commento al Vangelo tratto dal sussidio CEI al periodo di Quaresima/Pasqua 2025, scarica il file PDF completo. Scarica anche l’introduzione al Tempo di Pasqua.

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