Il Risorto, alla porta che bussa
La lettura evangelica odierna racconta dell’ultima apparizione di Gesù secondo il piano narrativo del Vangelo di Luca. Siamo tra la scena di Emmaus e quella dell’ascensione, e Gesù si mostra ai discepoli, che a loro volta hanno appena ascoltato ciò che i due viandanti hanno riferito loro, soprattutto come il Risorto si sia fatto riconoscere nel gesto di spezzare il pane.
La prima reazione degli Undici, nel vedere Gesù, è quella dello stupore e dello spavento. Certo, già avevano appreso che egli non era più nella tomba: gli angeli al sepolcro, prima; Gesù, in persona, poi: questi dicono che è risorto. Ma nei discepoli è rimasta la domanda su cosa sia veramente accaduto.
Il Risorto però non risponde a questi dubbi (“perché sorgono dubbi nel vostro cuore?”, Lc 24,38) nel modo che ci aspetteremmo: si pone piuttosto su un altro piano, quello dell’incontro, e – cosa ancor più importante – nella forma della convivialità. Gesù mangia coi suoi, come aveva abitualmente fatto nella sua vita terrena. Anzi, questa volta è lui stesso a dire: “Avete qualcosa da mangiare?” (Lc 24,41). Ci sorprende questo gesto così semplice, quotidiano, normale, che tante volte Gesù ha compiuto. Anzi, qui sembra proprio il gesto del mendicante che chiede del cibo, e lo cerca umilmente entrando in casa, proprio mentre gli altri sono già a tavola. Gesù, viene detto nel libro dell’Apocalisse, è colui che sta alla porta e bussa: “Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).
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Sappiamo che Luca vuole qui insistere sulla realtà dell’apparizione e della risurrezione di Gesù, e mostrando Gesù che mangia dice che Colui che i discepoli vedono non è un fantasma, non è nemmeno qualcuno che si finge il Cristo; è quello di prima, è il Gesù terreno. Come scrive il Vangelo di Marco attraverso le parole del giovanetto: “Gesù Nazareno, quello crocifisso [colui che è stato crocifisso], è risorto, non è qui (Mc 16,6)”. È lui a tavola, è lui che si può riconoscere nel gesto di spezzare il pane – come è accaduto ad Emmaus – e di mangiare il pesce. Ma, oltre a questa sottolineatura, possiamo anche vedere come oramai l’incontro con Gesù si risolva in uno speciale “ritorno alla normalità”.
Qualcosa di analogo accade infatti alla fine del Quarto Vangelo. Anche lì i discepoli – che però sono in Galilea – sono tornati alle loro abituali occupazioni: “Io vado a pescare”, dice Pietro; “Veniamo anche noi con te”, gli rispondono (Gv 21,3). Ma non prendono nulla. Quando oramai le speranze li abbandonano, ed è l’alba, ecco che qualcuno domanda loro da riva: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?” (Gv 21,5). Gesù chiede, sorprendentemente, ancora, del cibo. Forse perché mangiare è infatti qualcosa radicato nella stessa realtà più umana, quella delle necessità di tutti i giorni: “dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano” (Lc 11,3); ma mangiare è condividere, stare insieme. Ed è un modo per scambiarsi doni. Chi – come gli angeli nella scena di Abramo a Mamre (cf. Gen 18) – riceve del cibo per il sostentamento, lascia sempre qualcosa (lì, la promessa della nascita di Isacco). Gesù, dalla riva del mare, dice ai suoi amici di gettare la rete di nuovo, e finalmente avviene il miracolo della pesca. Ma non basta; quando questi giungono a riva, il Risorto ha già preparato per loro il fuoco, del pesce e il pane (cf. Gv 21,9).
Gesù chiede, nel racconto del Vangelo di oggi, il cibo che gli danno gli Undici, ma offre loro – in cambio – molto di più. Dopo aver mangiato, come aveva già fatto coi discepoli ad Emmaus, comincia a parlare, e a spiegare loro quelle cose che su di Lui erano scritte nella Bibbia: e “allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture” (Lc 24,45). Il dono di Gesù, oltre a quello della pace (“Pace [Shalom] a voi!”, v. 36), è un nuovo modo di comprendere la realtà. “Agli Undici, impauriti e dubbiosi, Gesù mostra che tutto ha un senso, tutto è grazia, perché rientra nel disegno salvifico di Dio consegnato alle Scritture. In questa luce, la passione, morte e risurrezione non è il fallimento di un Progetto, ma il suo adempimento, perché anche nella morte è inscritta la Parola di salvezza. In questa linea vanno compresi la conversione e il perdono dei peccati che il Risorto affida alla testimonianza dei suoi. Convertirsi per Luca significa ritornare a leggere la propria vita in un Progetto di salvezza. Un Progetto che il Padre ha disegnato per tutte le genti, ma soprattutto per i figli che hanno abbandonato la casa del Padre (Lc 15), i peccatori pubblici (Lc 7), i farisei che si ritengono giusti disprezzando gli altri (Lc 7), i ricchi che hanno accumulato per sé (Lc 16 e Lc 19), i delinquenti appesi a un patibolo (Lc 23)… A tutti è dato un nuovo inizio” (Massimo Grilli).