Commento al Vangelo del 17 novembre 2016 – Monastero di Bose

Lc  19,41-44

41Quando Gesù fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa 42dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. 43Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; 44distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”.

Gesù piange alla vista della città di Gerusalemme. Aveva pianto anche sull’amico Lazzaro, e alcuni dei presenti avevano commentato “Vedi come lo amava!” (Gv 11,36). Ora nessuno commenta il suo pianto, che resta un pianto d’amore: le folle che lo hanno accolto trionfalmente si sono ritirate, dei discepoli non si dice nulla, tra poco Gesù tornerà nel tempio per restituirlo alla sua funzione di “casa di preghiera” (Lc 19,46) e per insegnare le cose del Padre suo, a rischio della sua stessa vita (Lc 19,47).

Luca ci presenta Gesù solo, in disparte, a contemplare Gerusalemme, la città “visione di pace”: e, solo, piange come tra sé e sé per l’incapacità mostrata da quella città – cioè dai suoi abitanti, dalla comunità di credenti che là vive, prega, lavora – nel discernere i segni dei tempi e la pace che viene dall’alto. Una cecità nei confronti della pace che diverrà esperienza di sofferenza e dolore, un’incomprensione che farà perdere il tempo propizio della visita del Signore.

Gesù non dice che la distruzione di Gerusalemme è causata dai peccati dei suoi abitanti, ma che la loro mancanza di vigilanza li espone impreparati alle sciagure. Non c’è rapporto di causa ed effetto tra l’intontimento spirituale di Gerusalemme e la sua distruzione: ogni volta che Gesù evoca sciagure e catastrofi più o meno imminenti lo fa per chiamare a conversione qui e ora, non per compiacersi della morte del peccatore (cf. Ez 33,10).

Sono parole dure quelle che Gesù pronuncia su Gerusalemme, sono lacrime amare quelle che versa sulla città di pace venuta meno alla sua vocazione. Ma sono per noi oggi parole e lacrime che devono destarci dal sonno, aprirci gli occhi e farci vedere il mondo con lo sguardo stesso di Dio. Solo così potremo “comprendere oggi ciò che serve alla pace”, alla pace in noi, tra noi e nel mondo intero. Se vi è un tempo per vedere e un tempo in cui la realtà è nascosta ai nostri occhi umani, tuttavia la commozione di Gesù su Gerusalemme sembra dirci che anche quando gli occhi umani non vedono, è sempre possibile vedere con il cuore, discernere i segni dei tempi attraverso le lacrime.

Lo sguardo di Dio, infatti, non cessa di posarsi sulle nostre esistenze personali e sulle nostre vicende collettive. E la passione e morte cui Gesù sta per andare incontro ci svelano che quello del Padre è uno sguardo di misericordia, che la venuta del Figlio nel mondo è una visita di pace, un farsi prossimo del Signore che conosce il nostro patire e che lo fa suo per liberarci dal male e dalla morte.

fratel Guido della comunità monastica di Bose

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