Egli trasfigurerà il nostro corpo
Il Vangelo della Trasfigurazione di Gesù comincia così:
“In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare”.
In quel tempo egli prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo; oggi prende con sé, se lo vogliamo, tutti noi. Il Vangelo, lo abbiamo detto tante volte, non è fatto per essere semplicemente letto, ma per essere ogni volta rivissuto. E a noi si offre oggi una occasione unica per rivivere esperienza di quei tre discepoli.
Una volta sul monte, Gesù si trasfigurò davanti ai discepoli: “Il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”. La Trasfigurazione riveste un grande significato teologico. È una conferma dell’incarnazione (manifesta infatti che in quel corpo simile in tutto al nostro si nascondeva la gloria della divinità); è un anticipo della gloria della risurrezione; è un antidoto allo scandalo della croce; mostra infine che Gesù è il compimento della Legge (Mosè) e dei profeti (Elia).
Ma la trasfigurazione non fu solo questo. Fu anche una meravigliosa esperienza di gioia. Gesù quel giorno fu felice, andò in estasi. La luce è il segno di tutto questo. La luce che lo avvolge non è come quella di Mosè sul Sinai e di ogni altro “illuminato”; non viene dall’esterno, ma da dentro. Gesù brilla di luce propria, non riflessa. “Questo è il Figlio diletto”: la gioia dell’abbraccio trinitario scorre ora in Gesù, anche come uomo. La nube luminosa che avvolge il monte è stata sempre interpretata come simbolo dello Spirito Santo che rappresenta appunto, nella Trinità, “il godimento del dono”.
Tutti questi significati, teologici e mistici, sono messi mirabilmente in luce nell’icona tradizionale della Trasfigurazione che bisognerebbe avere sempre davanti allo sguardo, quando si parla di questo mistero.
Anche la Trasfigurazione, come tutti i fatti della vita di Gesù, è un mistero “per noi”, ci riguarda da vicino. San Paolo, nella seconda lettura di oggi, ci fornisce la chiave per applicare a noi l’avvenimento. Dice:
“La nostra patria è nei cieli, di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”.
Il Tabor è una finestra aperta sul nostro futuro; ci assicura che l’opacità del nostro corpo un giorno si trasformerà anch’essa in luce; ma è anche un riflettore puntato sul nostro presente; mette in luce quello che già ora è il nostro corpo, al di sotto delle sue misere apparenze: il tempio dello Spirito Santo.
La Trasfigurazione è dunque un’occasione per riflettere un po’ su “fratello corpo”, come lo chiamava san Francesco d’Assisi. Il corpo non è per la Bibbia un’appendice trascurabile dell’essere umano; ne è parte integrante. L’uomo non ha un corpo, è corpo. Il corpo è stato creato direttamente da Dio, fatto e plasmato con le sue stesse “mani”; è stato assunto dal Verbo nell’incarnazione e santificato dallo Spirito nel battesimo. L’uomo biblico rimane incantato di fronte allo splendore del corpo umano. Un salmista canta: “Mi hai fatto come un prodigio. Sei tu che mi hai tessuto nel seno di mia madre. Sono stupende le tue opere”. Tra tutte le opere di Dio nessuna appare più meravigliosa del corpo umano.
Il corpo è destinato a condividere in eterno la stessa gloria dell’anima. “Corpo e anima, o saranno due mani giunte in eterna adorazione, o due polsi ammanettati per una cattività eterna” (Ch. Péguy). Il cristianesimo predica la salvezza del corpo, non la salvezza dal corpo, come facevano nell’antichità le religioni manichee e gnostiche e come fanno ancora oggi alcune religioni orientali
Ma allora perché tutti i nostri discorsi sulla mortificazione del corpo, sulla lotta tra carne e spirito, perché il digiuno e la stessa Quaresima? Il motivo non è solo il peccato. Affonda le radici nella natura stessa composita dell’uomo, fatto di un elemento materiale e di uno immateriale, di qualcosa che lo porta verso la molteplicità e di qualcosa che tende invece all’unità. È lo stesso Dio che ha creato l’uno e l’altro elemento insieme, in unità profonda, “sostanziale”. Non però in una situazione statica, cioè perché l’uomo rimanesse tranquillo in questa sua posizione intermedia, con le due forze che si controbilanciano, o si neutralizzano a vicenda; al contrario, perché, con l’esercizio concreto della sua libertà, decidesse liberamente in che direzione svilupparsi e realizzarsi: se “in alto”, verso ciò che sta sopra di lui, o in basso, verso ciò che sta sotto di lui. Creando l’uomo libero, scrive Pico della Mirandola, è come se Dio gli dicesse: “Ti ho posto nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi ciò che vi è in esso. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché, quasi libero e sovrano artefice di te stesso, ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine”.
Questo spiega la lotta tra la carne e lo Spirito e quindi il carattere drammatico che caratterizza l’esistenza del cristiano nel mondo. Se “scegliere è rinunciare”, non si può scegliere di vivere secondo lo Spirito, senza sacrificare qualcosa della vita secondo la carne (Romani 8,5-7). Ma questo non vale solo per la vita di fede. A quante cose rinuncia, a quale ascesi si sottopone, quali esercizi pratica l’atleta che vuole ottenere dal suo corpo prestazioni fuori del comune!
La mortificazione, dice Kierkegaard, è necessaria per imparare la lingua dell’amato. Supponi questa situazione umana. Due giovani si sono innamorati, ma appartengono a due popoli diversi e parlano due lingue diverse. Bisognerà che uno dei due impari la lingua dell’altro, se no non potranno comunicare e il loro amore non ha futuro. Ora Dio parla la lingua dello spirito, noi quella della carne. Mortificarsi è necessario per imparare la lingua dell’amato.
Questo richiamo è quanto mai attuale. Viviamo in una cultura di idolatria del corpo. Ma guardiamo oltre la superficie o la epidermide. È un onorare veramente il corpo, tutto questo? Il corpo, specie della donna, è spesso ridotto a merce di consumo, a sesso e basta. La stessa funzione naturale e bellissima di certe parti del corpo è deviata. Il seno della donna, a giudicare dall’uso che se ne fa, non sembra più, neppure remotamente, ordinato ad allattare un bambino, solo alla ostentazione e alla seduzione. Anziché servire ad alimentare la vita, serve ad alimentare il commercio. Se tutto questo non ci impressiona più minimamente, non è segno che abbiamo superato il problema, ma che siamo anche noi parte del problema.
Il corpo staccato dall’anima, è come un abat-jour senza luce dentro: spento, opaco. Lo stesso il sesso staccato dalla persona.
Anche l’ideale di bellezza che deriva da tutto ciò è molto povero. Si tratta di una bellezza di facciata, appiccicata dall’esterno, più che proveniente dall’interno, da un cuore puro e generoso. È sex appeal e basta. La Trasfigurazione è anch’essa un mistero di bellezza. Un teologo ortodosso, P. Evdokimov, ha scritto un libro intitolato Teologia della bellezza, partendo proprio dall’analisi dell’icona della Trasfigurazione. Sul Tabor i discepoli esclamarono: “Signore, è bello per noi stare qui!”. Ma come era la bellezza del corpo di Cristo sul Tabor? Una bellezza che veniva dal di dentro, che aveva nel corpo il suo mezzo di espressione, non la sua sorgente ultima.
La Trasfigurazione, in questo senso, ha un messaggio particolare da consegnare ai giovani. San Paolo raccomandava ai primi cristiani:
“Glorificate dunque Dio con il vostro corpo” (1 Corinzi 6, 19).
Si glorifica Dio con il proprio corpo quando se ne fa un dono d’amore e un mezzo di dialogo con l’altro, nel matrimonio. Glorifica Dio con il proprio corpo anche chi, come i religiosi, ne fa un dono senza intermediari e un “sacrificio vivente” a Dio, a servizio dei fratelli. Ma si glorifica Dio con il corpo anche con l’arte, il lavoro e tutte le attività umane che passano attraverso il corpo.
Per un giovane o una giovane cristiana, un mezzo di glorificare Dio con il corpo è anche il pudore. Un pudore libero, frutto di propria scelta e convinzione, non imposto dalle convenzioni sociali, come forse era una volta. Il pudore è segno che il nostro corpo non è solo corpo, animalità; è unito a uno spirito di cui condivide la dignità. Bisogna allora rinunciare a “farsi belli”, a valorizzare al meglio la propria immagine? Non necessariamente. Solo bisogna farlo con sentimenti puliti del cuore: per dare gioia (al fidanzato, al marito, o alla moglie, ai figli), non per sedurre.
Abbiamo lasciato da parte forse la domanda più importante. E chi soffre? Chi deve assistere al disfacimento, alla “sfigurazione” del corpo proprio o di quello di una persona cara? Per costoro è forse il messaggio più consolante della Trasfigurazione. “Egli trasfigurerà il nostro misero corpo conformandolo al suo corpo glorioso”. Saranno riscattati i corpi “umiliati nella malattia e nella morte”. Anche Gesù, di lì a poco, sarà “sfigurato” nella passione, ma risorgerà con un corpo glorioso, con il quale vive in eterno e al quale, la fede, ci dice che andremo a ricongiungerci.
Il mistero della Trasfigurazione ci dice un’ultima cosa importantissima. La trasfigurazione del nostro corpo non avrà luogo solo “nell’ultimo giorno”, nella “risurrezione della carne”; può avvenire ogni giorno. Come? Nella preghiera! Perché Gesù quel giorno salì sul monte? Per essere trasfigurato? Non ci pensava nemmeno; questa era una sorpresa che il Padre celeste gli teneva in serbo. Salì sul monte “a pregare” e “mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”.
Ogni uomo che entra in profonda preghiera si trasfigura. L’ho visto con i miei occhi: volti di persone in preghiera che diventavano letteralmente radiosi. Per me quello che dicono i Vangeli della Trasfigurazione di Cristo non stupisce affatto, non mi fa alcuna difficoltà crederlo. Non capisco, anzi, gli storici che dubitano della sua storicità, come di cosa troppo fuori del normale e miracolosa. Quello che è avvenuto tante volte nella vita dei santi, non potrebbe essere avvenuto in Cristo?
C’è un luogo dove Gesù si trasfigura ancora, un Tabor su cui tutti possiamo salire, ogni mattina se lo vogliamo: l’Eucaristia. L’ostia bianca che il sacerdote eleva dopo la consacrazione è lui trasfigurato. Lì si ode ancora la voce del Padre che dice: “Ascoltatelo!”. Lì possiamo fare di meglio che costruire “tre tende”. Possiamo fare, del nostro stesso cuore, la tenda in cui accogliere Gesù e con lui il Padre e lo Spirito Santo.
Fonte – il sito di p. Raniero
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