Il racconto della trasfigurazione occupa un posto centrale nei vangeli sinottici. Come al battesimo, anche qui vi è una voce dal cielo che rivela Gesù come Figlio; però questo suo essere Figlio si rende visibile. Gesù mostra ai suoi tre discepoli preferiti la sua gloria.
Come il Battesimo apriva la missione di Gesù, la trasfigurazione apre il suo cammino verso Gerusalemme, verso la sua morte e risurrezione. Questo si vede chiaramente in Luca, che dedica metà del suo vangelo al viaggio dalla Giudea a Gerusalemme, viaggio che avrà inizio proprio pochi versetti dopo il brano della trasfigurazione (Lc 9,51). La trasfigurazione in Luca si pone come anticipazione della gloria del risorto. Vi troviamo infatti alcuni termini che Luca usa anche nel capitolo 24 (le vesti sfolgoranti, la presenza di due uomini), mentre gli altri sinottici sembrano porre l’attenzione sul Cristo che tornerà glorioso alla fine dei tempi.
La trasfigurazione poi, all’interno del capitolo 9 di Luca, si pone un po’ come il sigillo a una serie di domande riguardanti l’identità di Gesù che attraversano tutto il capitolo. Ancora la trasfigurazione si pone tra i primi due annunci della passione, che troviamo sempre nel capitolo 9.
Lectio
In quel tempo, 28bGesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare.
Nel brano precedente Luca aveva dato il primo annuncio della passione di Gesù e aveva ricordato le condizioni che un discepolo di Gesù deve osservare: rinnegare se stesso, prendere la sua croce e seguirlo. Circa otto giorni dopo Gesù prende con sé tre discepoli. Interessante notare che Luca, a differenza di Matteo e Marco nomina Giovanni prima di Giacomo. Evidentemente la comunità di Luca conosceva più Giovanni rispetto a Giacomo, il primo degli apostoli a morire martire (Atti 12,2). Il monte non viene identificato da nessuno degli evangelisti. E’ il monte della vicinanza con Dio, il luogo della rivelazione, ma anche della preghiera solitaria e notturna di Gesù (cf. Lc 6,12). Una tradizione parla del monte Tabor (590 m.), ma ai tempi di Gesù la cima di questo monte era occupata da una città fortificata.
L’intenzione di Gesù non è di manifestarsi ai discepoli, ma quella di pregare. La trasfigurazione scaturisce (come anche la teofania al Battesimo) dal rapporto intimo con il Padre.
29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.
La preghiera precede e introduce la trasfigurazione di Gesù. Luca evita il verbo utilizzato da Marco
metamorphousthai, che richiama troppo le metamorfosi delle divinità pagane o dei culti misterici.
Esprime il fatto con un giro di parole: l’aspetto del suo volto diventò altro. Solo Luca parla di volto e utilizza il termine sfolgorante. Bianco, sfolgorante, sono colori apocalittici, che simbolizzano la condizione celeste, riflesso dell’alterità divina, della gloria, della vittoria. Nella comprensione dell’evangelista questo splendore è l’irradiazione della gloria propria di Gesù. Ritroveremo questi abiti sfolgoranti indossati dai due uomini che accoglieranno le donne al sepolcro, il mattino di Pasqua (Lc 24, 4).
30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Ancora si ricorre al linguaggio apocalittico. Appaiono due uomini: è l’apparenza visibile assunta da esseri celesti. Anche questi due uomini li ritroveremo in Lc 24,4 il mattino della risurrezione. I due uomini sono legati a un mistero di vita e di risurrezione. Non a caso la morte di Mosè e di Elia sono avvolte da mistero (del primo non fu mai ritrovata la tomba e il secondo fu rapito in cielo da un carro di fuoco). Perché questi due personaggi della storia di Israele? Mosè rappresenta la legge, Elia i profeti, i due cardini su cui si basava tutta la fede del popolo di Dio. Ancora Mosè e i profeti preannunciano tutta la vicenda di Gesù, così come il Risorto spiegherà ai due discepoli di Emmaus (Lc 24,27).
Luca non ci dice solo che i due apparvero, ma riferisce anche il contenuto della loro conversazione: Mosè ed Elia parlavano dell’esodo che Gesù stava per compiere a Gerusalemme. Il termine “esodo”, cioè “uscita, partenza”, evoca l’Esodo biblico ed era anche sinonimo di morte, quindi si può intenderlo come il mistero pasquale che Gesù sta per attraversare. C’è un’obbedienza a un disegno divino e l’imminenza del suo compimento. Il verbo “compiere”, legato alla città santa Gerusalemme, appare il centro della storia della salvezza. C’è un disegno che sta per compiersi, ma che affonda le sue radici nell’AT e si identifica con l’esodo del popolo di Dio. La gloria di Gesù è strettamente collegata alla sua passione.
32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Inutile dare una spiegazione naturale a questo sonno (fatica del viaggio, notte inoltrata…). Si tratta di un “sonno teologico”, l’incapacità umana di comprendere, fatica a credere, impedimenti che solo il Risorto potrà togliere (infatti sarà Gesù la sera di Pasqua a spiegare le scritture ai discepoli di Emmaus). Si svegliano e vedono la gloria di Gesù e i suoi due compagni, ma non avendo sentito i loro discorsi non possono collegare questo fatto con la passione. Ecco perché l’intervento di Pietro è del tutto fuori luogo.
33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva.
Pietro è messo in rilievo rispetto agli altri due. Mosè ed Elia stanno per congedarsi e Pietro vuole ritardare la separazione, eternizzare questa esperienza di gloria, questo rapporto privilegiato tra mondo celeste e terrestre, pregustazione della pienezza che si realizzerà alla fine dei tempi.
Pietro dunque vuole prendere dimora sul monte. Però il riferimento alle capanne/tende può essere più profondo. Egli parla di tre capanne/tende perché nella traduzione greca dell’Antico Testamento il termine tenda è diventato per antonomasia la Tenda dell’Arca dell’alleanza, che seguiva il popolo di Israele durante il suo peregrinare nel deserto. Quindi era il segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. L’Arca si sarebbe poi istallata nel Tempio di Gerusalemme. La tenda rimanda inoltre alla festa delle Capanne, durante la quale ogni anno i figli di Israele dimoravano per una settimana in tende appunto, per ricordare l’esperienza dell’Esodo (Lv 23,42). Luca sottolinea l’incomprensione di Pietro.
34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura.
Ma ecco che è la nube a dare una risposta a Pietro. La nube ha un’importante funzione teologica nell’AT: è segno della presenza di Dio e della sua gloria. Il motivo della nube è frequente nel libro dell’Esodo, e in particolare in due testi: Es 24,15-18, Mosè entra nella nube che copriva il monte ove dimorava la gloria del Signore. Es. 40,34, la nube copriva la Tenda del convegno e Mosè non poté entrare perché la gloria del Signore riempiva la Dimora. La nube che ricopre della sua ombra indica dunque una presenza speciale di Dio, del mondo divino nel quale i presenti sono introdotti. Si tratta di un’anticipazione del momento in cui tutti i popoli alla fine dei tempi saranno radunati in Dio (2Mac 2,8). Ovviamente i discepoli hanno paura, è il timore reverenziale dell’uomo davanti a un fenomeno soprannaturale.
35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
La voce divina ci riporta alla teofania del Battesimo (Lc 3,22): ma ora, in forma dichiarativa, essa si rivolge non più a Gesù, ma ai discepoli.
Lo chiama Figlio ed Eletto. Con la combinazione di due citazioni: Sal 2,7 e Is 42,1 sono affermati due titoli di Gesù che Luca vede uniti e che sintetizzano due aspetti della figura di Gesù: la sua gloria e la necessità di passare attraverso la sofferenza. Il Figlio è più di un titolo messianico, esprime la relazione unica che egli ha in rapporto a Dio. L’Eletto ci riporta al Servo di Jahvè, chiamato a soffrire per la salvezza del popolo (Is 42,1). L’affermazione si conclude con l’appello ad ascoltarlo, preso da Dt 18,15 e riguardante il profeta che avrebbe sostituito Mosè.
La voce quindi risponde a Pietro. Non è il caso di rimanere sul monte, ma bisogna riconoscere la gloria di Gesù e al tempo stesso la sua chiamata alla passione. Bisogna seguirlo, ascoltando le sue parole.
36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
La nube scompare, rimane Gesù da solo. Questo deve bastare alla Chiesa, la sua presenza e la sua parola. I discepoli non parlarono a nessuno di quello che avevano visto. In Marco è Gesù stesso che dice loro di tacere. Qui rimangono muti poiché hanno assistito a un evento troppo grande, che non riescono a comprendere. Essi non ne parlarono in quei giorni, cioè per il tempo in cui Gesù rimase con loro. Dopo la Risurrezione, il Risorto stesso aprirà la loro intelligenza e comprensione.
Meditatio
- Mi è mai capitato di sentirmi “trasfigurato/a” da un’esperienza di preghiera (personale o comunitaria) particolarmente intensa?
- Vi sono stati dei momenti in cui ho provato gioia nell’ascoltare la parola di Gesù?
- Mi è mai capitato di non capire determinate pagine del Vangelo o fatti della vita di Gesù?
Preghiamo
(orazione colletta della II domenica di Quaresima)
O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutri la nostra fede con la tua parola e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamo godere la visione della tua gloria. Per il nostro Signore…
A cura delle Monache dell’Ordine dei Predicatori (domenicane) del Monastero Matris Domini