Commento al Vangelo del 17 febbraio 2019 – Figlie della Chiesa

La redazione lucana delle beatitudini ha alcuni tratti caratteristici che la distinguono da quella, più nota, di Matteo. Anzitutto Luca conosce solo quattro beatitudini e le accompagna con altrettanti guai. Il significato di questa struttura è evidente: vengono capovolte le situazioni del mondo; quello che nel mondo è cercato, onorato, considerato prezioso viene privato di ogni valore; mentre quello che nel mondo è povero o disprezzato o rifiutato viene riscattato e messo in una posizione di eminenza. Forse non ci sarebbe da stupirsi troppo per questa proclamazione: già l’A.T. conosceva qualcosa di simile; si pensi al cantico di Anna ripreso poi dal Magnificat. La Bibbia sa bene che Dio è colui che fa vivere e fa morire, che rende povero e arricchisce. Il capovolgimento delle sorti mondane è piuttosto la manifestazione potente del regno di Dio che viene. La serie oppressiva dei guai vuole rendere gli ascoltatori del Vangelo consapevoli della vanità di ciò in cui mettono la propria fiducia. Alle beatitudini e ai guai di Luca fa eco il testo di Geremia. Egli condanna ogni forma di idolatria nella quale l’uomo diventa il dio dell’uomo e le realizzazioni umane diventano il rifugio in cui l’uomo cerca sicurezza. Dio solo è invece una roccia salda alla quale l’uomo possa aggrapparsi e dalla quale ricevere forza e vita.

v.20: I due versetti saltati sono decisivi per la comprensione della novità che Cristo manifesta. “(c’era gran folla) che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti”. Da questi poveri Gesù distoglie lo sguardo. Identificare i poveri come facciamo noi vuol dire avere bisogno di loro per fare opere buone. Gesù distoglie lo sguardo da loro e alzatolo verso i discepoli, dice loro: “beati voi poveri”. La presenza delle moltitudini, di quelli chinati per la propria povertà, riguarda essenzialmente la chiesa. Questo alzare lo sguardo indica il vero modo di intendere le folle: la povertà di quelli che voi chiamate poveri va risolta. Quello che Dio vuole è che “voi” diventiate poveri, che “noi” diventiamo poveri. Gesù non fa la scelta dei poveri come noi la intendiamo: è la prospettiva per cui non sarà più la chiesa che si occupa dei poveri, ma che condivide con i poveri, che si identificherà con la povera gente a cui appartiene il regno di Dio.

La versione più ampia che dà Matteo (poveri in spirito) si riferisce a chi sopporta consapevolmente la povertà riconoscendola conforme al volere di Dio e aspira a essere riempito dello Spirito Santo come vero e decisivo aiuto di Dio promesso da Gesù. In Luca le beatitudini sono più circoscritte al fatto della povertà. Per Luca si tratta soprattutto di coloro che sono poveri di beni terreni. Gesù ha spesso manifestato la sua predilezione per loro e Luca rivolge loro un interesse particolare. Con la forma diretta in seconda persona (beati voi poveri) Luca fa intendere che la beatitudine riguarda la povertà del discepolo.

Il termine greco “ptochòi” indica gli indigenti, quei poveri che mancano del necessario, i mendicanti, coloro che si rimettono al soccorso altrui. Mentre i poveri, anche se poco, hanno qualcosa, questi “poveri” non hanno niente e non possono che vivere di dipendenza e di sottomissione. La parola greca deriva da un verbo che significa “nascondersi”, “rannicchiarsi su se stessi per timore”. Sono poveri reali che hanno fame e piangono. La loro beatitudine consiste nel fatto che Dio interviene in loro favore.

Quello che Luca vuole annunciare, che il Signore vuole annunciare, proclamare è l’irruzione del regno di Dio nella storia degli uomini. Secondo il vangelo la povertà diventa un vantaggio. E non un vantaggio perché la povertà di cui parla il vangelo sarebbe una virtù; almeno il vangelo di Luca non parla della virtù della povertà, cioè di una povertà scelta, liberamente per amore di Dio o per servizio agli altri. No, parla della povertà, semplicemente come una condizione di privazione. Perché allora sono beati i poveri? Semplicemente perché Dio è il difensore dei poveri e dove trova una condizione di miseria, di bisogno, Dio non rimane indifferente. Dove c’è un uomo che ha bisogno di vita e di gioia e di perdono, Dio non rimane indifferente, ma risponde. Quindi beati voi che sperimentate la debolezza, il bisogno, perché Dio che viene a regnare vi risponderà.

v.21: L’ascolto delle beatitudini implica una convocazione dei discepoli. Coloro che sono chiamati poveri sono chiamati poveri perché discepoli. Da qui a dire che i poveri sono chiamati al discepolato il passo è brevissimo. L’investitura con cui Gesù si rivolge ai suoi discepoli è “beati voi poveri”. Poi la povertà la si esplicita nella fame, nel pianto, nel rifiuto, nell’essere messi al bando. Ma sostanzialmente il discepolo è colui che riconosce che al di fuori del Cristo non è nulla, e che senza Cristo tutto ciò che ha e che è non conta niente. Questo dice anche un modo di accostare i miseri, i poveri che dovrebbe cambiare. Sicuramente il privare i poveri dell’annuncio del vangelo, il privare le situazioni di maggiore disagio, miseria, povertà delle nostre comunità cristiane dell’evangelo non è perfettamente calzante con il brano che abbiamo ascoltato. Sembra strano, ma possiamo chiederci se non abbiamo mai pensato ad annunciare il vangelo veramente a tutte le persone delle nostre comunità. Forse non abbiamo il coraggio, in quanto chiesa, di dichiarare la beatitudine dei poveri. Dichiarare la beatitudine dei poveri è dirci beati per una condizione di povertà che viviamo.

v.24: C’è una contrapposizione esplicita. Le beatitudini sono seguite da quattro antitesi che proclamano sistematicamente la sventura dei beati di questo mondo. Matteo non le riporta e molti hanno pensato che Luca le abbia composte egli stesso per rafforzare la lezione delle beatitudini. Questa ipotesi non è certa poiché nell’A.T. si trovano coppie di beatitudini e di maledizioni.

Le quattro dichiarazioni seguenti non sono da comprendersi come maledizioni, né condanne irrevocabili, ma piuttosto come lamento di compianto, appelli vigorosi alla conversione. Si può tradurre anche: “ahimè per voi” o ancora “infelici voi”.

Appendice

Luca con le sue quattro beatitudini tratta delle virtù cardinali. Beati i poveri infatti, perché si sottraggono alle lusinghe del mondo con la temperanza. Beati gli affamati, perché ammoniti dalla propria fame sul dovere di compatire chi ha fame, sono anch’essi compatiti e soccorsi per opera della giustizia. Infatti l’elemosina, con cui non doniamo a Cristo i nostri beni, ma gli restituiamo i suoi, è a ragione definita giustizia dal salmista che dice: Egli dona largamente ai poveri, la sua giustizia rimane per sempre (Sl 112.9). In effetti la giustizia è ciò per cui riconosciamo a ciascuno il suo, anche se non dobbiamo niente a nessuno, tranne il vicendevole amore. Beati quanti sanno compiangere ciò che è effimero e anelare ai beni eterni, discernendo fra il bene e il male mediante la prudenza. Beati quelli che riescono a sopportare qualsiasi avversità con la fortezza data loro dalla fede (Beda, Comm. a Luca 2.23).

Il cristiano non deve temere e stare in ansia in mezzo alle difficoltà, lasciandosi distrarre dalla fiducia in Dio: deve anzi confidare, sentendo il Signore presente; sentendo che egli governa tutto ciò che lo riguarda e gli dà forza contro tutti, e che lo Spirito Santo gli insegna anche ciò che deve rispondere agli avversari (Basilio di Cesarea, Regole Morali 63).

La ricchezza, a mio avviso, è simile a un serpente; se uno non sa prenderlo a distanza, senza farsi del male, senza pericolo, sospendendo la bestia per l’estremità della coda, questa si avvicinerà alla mano e la morderà… Non chi ha e chi conserva, ma chi dà agli altri è ricco; condividere con gli altri, non possedere fa felice l’uomo… Ricchezza vera è la giustizia (Clemente Alessandrino, Pedagogo, 7,35-36).

È dovere della Chiesa – di tutta la Chiesa e anzitutto di coloro a cui spetta in primo luogo l’ufficio profetico come maestri autentici della fede, i vescovi e i presbiteri, loro immediati collaboratori- denunciare l’abuso del denaro o del potere, così come si denunciano, o si dovrebbero denunciare, tutti i peccati: la bestemmia, l’adulterio, il furto… Non dico, anzi non lo credo, che la denuncia basterà a eliminare quest’abuso, questo peccato che lede la giustizia e la carità fraterna. Ma Dio non ci chiede di eliminare dal mondo il peccato. Ci chiede di denunciarlo, come l’ha denunciato Cristo, come l’ha denunciato Giovanni Battista, e prima i profeti dell’Antico Testamento, e poi, nella storia della Chiesa, i santi e i profeti che non sono mai mancati. D’altra parte, sono le stesse voci del magistero che ci invitano a questo. Io temo che le voci profetiche del magistero in questo campo non abbiano nella predicazione e nella pastorale quotidiana la risonanza che dovrebbero avere. Cito solo alcuni documenti più recenti: la Mater et Magistra e la Pacem in terris di Giovanni XXIII, la Populorum progressio e l’Octogesima Adveniens di Paolo VI. Ma bisognerà tenere presente anche l’insegnamento dei vescovi, come pure alcuni documenti importanti dell’episcopato dei vari paesi. Accanto alla denuncia dell’abuso del denaro e del potere, dobbiamo pure denunciare quel consumismo nel quale si esplica un’altra forma immorale di potere, mascherato ma non meno deleterio, che invece di cercare il vantaggio dell’uomo, proponendogli quello che veramente giova per le sue necessità e per il suo sviluppo, cerca unicamente di sfruttarlo a beneficio della produzione e del capitale, attentando alla sua libertà e minando le sue strutture propriamente umane. Come per tutte quelle forme del male che alligna nell’uomo e nella società, non basterà fermarsi alle manifestazioni esterne vistose. «L’egoismo e il dominio sono, fra gli uomini, tentazioni permanenti. È pertanto necessario un discernimento sempre più avvertito per togliere alla radice le situazioni che sono frutto d’ingiustizia e per instaurare progressivamente una giustizia sempre meno imperfetta» (Octogesima adveniens, n. 15). La denuncia del peccato e delle situazioni di palese ingiustizia dovrà essere confermata dalla testimonianza personale di giustizia e di solidarietà (M. Pellegrino, Camminare insieme, pp. 16-18.20).

Non c’è bisogno di riflettere a lungo per rendersi conto che l’assenza di povertà, l’attaccamento al denaro, la sete di potenza e di affermazione di sé sono una delle cause più immediate e più costanti delle ingiustizie, delle mancanze di amore e di rispetto nei riguardi degli uomini. Non si possono amare i fratelli senza imparare a mettersi al loro posto e quando si stima se stessi migliori e più degni di loro (R. Voillaume, Dov’è la vostra fede, p. 219).

Cari fratelli e sorelle,

l’anno liturgico è un grande cammino di fede, che la Chiesa compie sempre preceduta dalla Vergine Madre Maria. Nelle domeniche del Tempo Ordinario, tale itinerario è scandito quest’anno dalla lettura del Vangelo di Luca, che oggi ci accompagna “in un luogo pianeggiante” (Lc 6,17), dove Gesù sosta con i Dodici e dove si raduna una folla di altri discepoli e di gente venuta da ogni parte per ascoltarLo. In tale cornice si colloca l’annuncio delle “beatitudini” (Lc 6,20-26; cfr Mt 5,1-12). Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, dice: “Beati voi, poveri… beati voi, che ora avete fame… beati voi, che ora piangete… beati voi, quando gli uomini… disprezzeranno il vostro nome” per causa mia. Perché li proclama beati? Perché la giustizia di Dio farà sì che costoro siano saziati, rallegrati, risarciti di ogni falsa accusa, in una parola, perché li accoglie fin d’ora nel suo regno. Le beatitudini si basano sul fatto che esiste una giustizia divina, che rialza chi è stato a torto umiliato e abbassa chi si è esaltato (cfr Lc 14,11). Infatti, l’evangelista Luca, dopo i quattro “beati voi”, aggiunge quattro ammonimenti: “guai a voi, ricchi… guai a voi, che ora siete sazi,… guai a voi, che ora ridete” e “guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi”, perché, come afferma Gesù, le cose si ribalteranno, gli ultimi diventeranno primi, e i primi ultimi (cfr Lc 13,30).

Questa giustizia e questa beatitudine si realizzano nel “Regno dei cieli”, o “Regno di Dio”, che avrà il suo compimento alla fine dei tempi ma che è già presente nella storia. Dove i poveri sono consolati e ammessi al banchetto della vita, lì si manifesta già ora la giustizia di Dio. E’ questo il compito che i discepoli del Signore sono chiamati a svolgere anche nella società attuale. (Papa Benedetto XVI, 14 febbraio 2010).

Fonte: Figlie della Chiesa

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

SESTA SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 17 Febbraio 2019 anche qui.

Lc 6, 17. 20-26 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti». C: Parola del Signore. A: Lode a Te o Cristo.

Fonte: La Sacra Bibbia

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