La XXIV Domenica del Tempo Ordinario cade al riavvio delle attività sia parrocchiali che lavorative, in quanto il riposo estivo si è ormai concluso per tutti e sia nella vita personale, che nella vita di comunità, si riprende l’ordinaria attività, programmando gli impegni dell’anno. È importante considerare il contesto in cui siamo immersi mentre riceviamo l’annuncio evangelico, perché ci permette di comprendere la chiave di lettura che il Vangelo può dare alla nostra vita nel momento che stiamo vivendo. La liturgia della Parola di questa domenica ci pone di fronte alla scelta che Gesù fa del tipo di messianismo col quale portare avanti la missione che il Padre gli ha affidato. La prima lettura tratta dal Libro del profeta Isaia, ci presenta proprio la decisione del Messia di realizzare il piano di salvezza in un modo che noi non ci aspetteremmo o non sceglieremmo mai: la via della sofferenza e dello scherno. Una scelta dunque che coinvolge in pieno il messianismo di Gesù che non sceglie di salvarci con la forza, come i discepoli si aspettavano, bensì con la sofferenza che redime.
Se, da un lato, la lettura tratta dal profeta Isaia ci mostra la scelta di Gesù, il vangelo ci pone di fronte ad un bivio in cui anche noi dobbiamo fare la nostra scelta e indicare in quale Gesù crediamo, qual è il volto del Signore che portiamo nel cuore, perché solo così potremo verificare se coincide con il volto che il vangelo ci mostra. La domanda diretta che il Nazareno rivolge ai suoi, è dunque rivolta a tutta la Chiesa, è rivolta alla comunità parrocchiale di cui facciamo parte, è rivolta alla personale esperienza spirituale di ciascun credente. Accostarci alla liturgia di questa domenica dunque comporta il sentirsi rivolgere la domanda chiara e senza fronzoli: Tu chi dici che io sia? Cioè tu che ti affanni quotidianamente, che ti trovi ad affrontare situazioni difficili, chi dici che sia il Signore? È interessante allora seguire il cammino che il Maestro fa fare ai suoi discepoli, perché è lo stesso che chiede anche a noi.
v.27a: «Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo…» La pericope evangelica che la liturgia ci propone, si colloca in un punto cruciale nel vangelo di Marco. Ci troviamo infatti nel mezzo della narrazione, che fino ad adesso ha mostrato un agire del Signore fatto di miracoli, di guarigioni, di esorcismi, accompagnati dall’ingiunzione di non dire ad alcuno i benefici ricevuti, senza tuttavia sortire l’effetto sperato. In questo scenario si colloca il viaggio di Gesù verso Cesarea, il luogo più lontano raggiunto in regione pagana. È l’inizio di quel viaggio che lo porterà verso la lontananza più impensata, quella che raggiunge l’uomo che si è allontanato da Dio per ricondurlo a sé. E proprio in questo viaggio Egli porta i suoi perché imparino a seguirlo sulla via della croce. Insieme ai discepoli siamo condotti anche noi, per imparare la difficile sequela di un Dio che muore e risorge.
v.27b – 28: «…e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: “La gente, chi dice che io sia? ” Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti”» La lenta educazione dei discepoli comincia con una domanda che sembra partire da lontano, quasi come se il Signore volesse prendere tempo. In realtà è un modo molto efficace per permettere ai suoi di prendere coscienza di quello che vivono e delle risonanze che il contesto suscita anche nei loro cuori. Infatti la risposta è particolarmente indicativa di uno stile che è diventato abituale nel nostro modo di vivere il cristianesimo, in quanto non si fa altro che ridurre l’esperienza sconvolgente con Gesù, ad un déjà vu, un qualcosa che possiamo definire come già visto, già vissuto, già sperimentato. È questo un gravissimo rischio che corriamo tutti: quello di ridurre la persona di Gesù a qualcosa che possiamo catalogare o contenere, da cui derivano le storture del “si è fatto sempre così”, con l’effetto di paralizzare la novità dirompente che anche oggi il vangelo vuole proporre.
v.29: «Ed egli domandava loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”» Come con i discepoli, il Signore non si accontenta delle nostre risposte preconfezionate che non ci coinvolgono e che ci lasciano nel nostro mediocre perbenismo, ma ci sprona a dare una risposta personale riguardo la sua identità. Il verbo usato dall’evangelista Marco è all’imperfetto, ad indicare che è una domanda che viene continuamente rivolta a chi decide di accogliere l’invito di Gesù a seguirlo. È indispensabile infatti che rispondiamo personalmente a questa domanda, in quanto ci interpella a dire prima a noi stessi chi è Gesù per noi, quale posto gli diamo nella nostra vita, quale valore ha nelle nostre scelte piccole o grandi. La domanda sull’identità richiama necessariamente il nostro grado di conoscenza, quanto abbiamo imparato a conoscerlo e ad accoglierlo nella nostra quotidianità. L’interrogativo sull’identità di Gesù risuona forte anche per noi: “Tu, chi dici che io sia? Chi sono per te?”.
Il quesito è rivolto a tutti i discepoli, ma a rispondere è solo Pietro! Il vangelo parallelo di Matteo ci dice anche il motivo per cui è solo Pietro a rispondere: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (cf Mt 16,13-20). “Nella parola «Cristo» si cristallizza tutto quanto di bello e di buono l’uomo può attendere da Dio. Tutte le azioni e le parole raccontate fin qui danno il significato vero e pieno a questo termini, che significa messia (=unto, consacrato), re» (S. Fausti). È dunque una risposta che solo lo Spirito del Padre può donarci, perché indica un’appartenenza totale e totalizzante che non può essere solo frutto dell’agire dell’uomo, ma che richiede un dono particolare del Padre. È Pietro a rispondere, figura della Chiesa che ha già in sé la rivelazione di chi è Gesù e che ne custodisce l’identità. Ogni cristiano deve farla propria questa identità nella testimonianza di una vita che profumi di questa appartenenza e che si completa nel cammino dell’intera esistenza.
v.30 – 31: «E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto…». Il comando di non dire nulla ad alcuno, che può sembrare strano, visto che la risposta è giusta, si colloca nella linea del cammino di accoglienza della vera identità di Gesù. Quel segreto che la Chiesa custodisce, ha bisogno di essere assimilato e incarnato nella vita concreta di ciascun credente ed è per questo che Gesù comincia ad educare i suoi, e noi, al mistero incredibile della croce come via per la salvezza. Ogni volta che dichiariamo con la vita un’identità di Cristo che non rispecchia il mistero della croce, il Signore ci comanda di tacerlo, di non testimoniarlo, perché ci porta a vivere un cristianesimo che non coincide con la buona notizia del Vangelo. È il dramma dei nostri tempi: noi cristiani con la vita mostriamo un volto di Dio che non coincide con quello che Gesù ha annunciato e rivelato. Quando non perdoniamo, quando non accogliamo, quando giudichiamo senza misericordia, quando ci ergiamo a giustizieri di Dio lì dove invece dovremo portare la tenerezza del nostro Dio … è lì che anche per noi risuona l’ordine severo di Gesù di tacere!
v.32: «Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo.» È il verso centrale della pericope evangelica di questa domenica che ci permette di cogliere la subdola dinamica di opposizione che si innesca nel nostro cuore nel momento stesso in cui si rivela il mistero più grande che Gesù è venuto a consegnarci. È interessante notare come Gesù si rivolge apertamente a tutti i suoi discepoli e non ha “peli sulla lingua” come si suol dire, cioè non fa sconti e non nasconde nulla. Di contro Pietro ha un atteggiamento opposto: prende in disparte, lontano dagli altri, perché quello che sta per dire in un certo senso è imbarazzante per il Maestro e quindi è da tenere nascosto. La scena richiama la descrizione che fa l’evangelista Giovanni riguardo gli uomini che camminano nella luce e gli uomini che camminano nelle tenebre: “Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (3,20-21). È questa anche un’importante legge di vita spirituale a cui tutti dovremmo prestare molta attenzione, perché tutte le volte che il nostro agire non è limpido, preferiamo di rimanere nell’ombra, di non essere visti, di tenerlo nascosto e prestarvi attenzione ci permette di riconoscere che non stiamo ragionando secondo i criteri di Dio, ma secondo i nostri criteri.
Il punto infatti è proprio questo, è tutta una questione di criteri! È inutile che ci illudiamo o che ci inganniamo: noi non abbiamo i criteri di Dio, i suoi sono decisamente diversi dai nostri e opposti: “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is. 55,8-9). Non tener conto di questa fondamentale realtà ci conduce inesorabilmente a farci maestri di Dio, a insegnargli come fare per affermare il Regno di Dio, ponendoci lontani da Lui.
v.33: «Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”». Il movimento di Gesù riporta Pietro a ricongiungersi ai discepoli dai quali si era staccato, pensando di essere migliore e davanti a tutti lo rimprovera. È un vero e proprio esorcismo che Gesù compie su Pietro e su ciascuno di noi ogni volta che ci mettiamo al posto di Dio e ci arroghiamo il diritto di sapere cosa sia bene fare o dire, ponendoci fisicamente davanti a Lui, davanti ai suoi precetti con la semplice giustificazione che noi sappiamo cosa sia veramente buono per la nostra vita e per la vita degli altri. Il Maestro riporta il discepolo al suo posto, quello che gli spetta, ossia dietro a Lui: «il discepolo non deve mettersi davanti, ma dietro al suo maestro. Non lui deve seguire noi, bensì noi lui. Pietro vorrebbe tirare il Cristo dalla propria parte, invece che passare lui dalla sua. È una operazione diabolica, che capovolge radicalmente le fede: invece di obbedire noi al Signore, dovrebbe lui obbedire a noi!» (S. Fausti)
v.34: «Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» Adesso Gesù può convocare la folla e dichiarare l’identità del discepolo, perché la sua è ormai chiara. Difatti “il discepolo non è più grande del suo maestro” (cf Mt 10,24) e nella misura in cui riconosciamo il vero volto del Cristo che si rivela pienamente sulla croce, riconosciamo anche chi siamo noi, qual è il nostro ruolo nella Chiesa e in che modo il Signore si rivela nella nostra vita e ci salva. Le tre indicazioni che Gesù dà designano il cammino che da ora in poi ogni credente dovrà percorrere se vuole davvero seguire il suo Signore. Sì, se vuole, perché la sequela di Gesù non è un obbligo, ma una scelta! E la scelta non può avvenire se prima non abbiamo fatto esperienza di un Dio che ci ama alla follia, fino a dare tutto se stesso morendo da infame su una croce. Solo allora infatti saremo capaci di “rinnegare” noi stessi, perché saremo certi di non perdere nulla, saremo capaci di disinnescare la paura di morire, perché un amore così ha già vinto ogni nostra morte e saremo in grado di seguirlo dovunque Egli vada.
Appendice
Le due nature in Cristo
A proposito di questa unità della persona da intendersi nelle due nature, si legge che il figlio dell`uomo è disceso dal cielo, quando il Figlio di Dio assunse carne dalla Vergine da cui nacque. E si dice ancora che il Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, per quanto egli abbia sofferto tutto ciò non nella sua divinità, per la quale l`Unigenito è coeterno e consustanziale al Padre, ma nella debolezza della natura umana. Per questo tutti professiamo nel Simbolo che l`unigenito Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, secondo quanto dice l`Apostolo: “Se infatti lo avessero saputo, non avrebbero mai crocifisso il Signore della maestà” (1Cor 2,8). E lo stesso Signore nostro e Salvatore, volendo ammaestrare nella fede i suoi discepoli, li interrogò chiedendo loro: «La gente chi dice che sia io, Figlio dell`uomo?». E avendo quelli riferito alcune opinioni altrui, disse: «Ma voi, chi dite che io sia?». Chi dite che sia io, proprio io, che sono figlio dell`uomo, che voi vedete in condizione di schiavo, in una carne vera? E allora san Pietro divinamente ispirato, per giovare con la sua professione a tutte le genti disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). E ben giustamente il Signore lo proclamò beato e a buon diritto dalla pietra angolare (Cristo) egli derivò la forza e il nome, perché per divina rivelazione egli lo proclamò messia e insieme Figlio di Dio. Accettare una di queste due realtà senza l`altra, nulla avrebbe giovato alla salvezza, ed era ugualmente pericoloso credere che il Signore Gesù Cristo fosse solamente Dio e non uomo, o solo uomo e non Dio… La Chiesa cattolica vive e cresce in questa fede: in Gesù, non crede all`umanità senza vera divinità, e neppure alla divinità senza vera umanità. (Leone Magno, Epist. 28, ad Flav.)
«Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi santi» Infatti, per tutti quelli che muoiono professando la fede in Cristo anche senza aver ricevuto il lavacro della nuova vita, tanto vale ciò, a cancellare i loro peccati, quanto il lavacro del sacro fonte battesimale. Infatti colui che ha detto: “Se qualcuno non sarà nuovamente nato dall`acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli” (Gv 3,5) ha fatto per loro un`eccezione affermando, in senso non meno generale: “Chi mi confesserà davanti agli uomini, anch`io lo confesserò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,32); e in un altro luogo: “Chi perderà la sua anima per me, la troverà” (Mt 16,25). Ecco perché sta scritto: “Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi santi” (Sal 115,15). Cosa infatti è più prezioso della morte per la quale tutti i delitti vengono rimessi e i meriti aumentano a cumuli? (Agostino, De civit. Dei, 13, 7)
Gesù sottolinea il motivo per cui soffrire
«Chi vuol venire dietro a me»: cioè chiunque, uomo, donna, re, schiavo, s`incammini per questa via. E sembra esprimere qui una sola cosa, ma in realtà ne dice tre: «rinunzi a se stesso», «e prenda la sua croce», «e mi segua». Le prime due esortazioni sono congiunte, mentre la terza è proposta indipendentemente.
Esaminiamo dapprima cosa vuol dire rinunziare a sé stessi. Per questo dobbiamo anzitutto capire cosa significhi rinunziare a un altro: comprenderemo allora che cosa voglia dire rinunziare a se stesso. Chi rinunzia a qualcuno, per esempio, a un fratello, a un servo o a chiunque altro, anche se lo vede frustato a sangue, incatenato, condotto a morte, sofferente per qualunque altro male, non s`avvicina, né gli porta aiuto, non piange, non s`addolora per lui, come se una volta separato da lui gli fosse completamente estraneo. Nello stesso modo il Signore vuole che noi non facciamo più caso né risparmiamo il nostro corpo. Così quand`anche fosse flagellato, trafitto, gettato nelle fiamme, o dovesse sopportare qualunque altro tormento, noi non dovremmo avere riguardo né compassione per le sue sofferenze. Ma ciò significa risparmiare veramente e aver considerazione per il proprio corpo. I padri non mostrano mai tanta considerazione per i loro figli come quando li affidano a maestri, ordinando loro di non aver riguardo per essi. Così fa anche Cristo e non dice soltanto di non risparmiare e di non aver riguardo per sé stessi, ma con vigore ancor più grande esorta a rinunziare a sé, il che vuol dire: non aver niente a che vedere e fare con sé stessi, ma abbandonarsi ai pericoli e alle lotte, senza avere reazioni come se fosse un altro a soffrire. E non dice: neghi, ma «rinneghi», rinunzi, manifestando, mediante questa piccola aggiunta, l`estremo grado del rinnegamento.
«E prenda la sua croce». Si tratta di un`ulteriore conseguenza della rinunzia a sé stessi. Affinché non si creda che tale rinunzia consista semplicemente nel subire ingiurie e oltraggi a parole, il Signore sottolinea fin dove dobbiamo spingere il nostro rinnegamento: sino alla morte, e a una morte infamante. Non dice perciò: rinneghi se stesso sino alla morte, ma «prenda la sua croce», dichiarando apertamente di quale morte ignominiosa si tratti, e che si deve fare ciò non una o due volte, ma tutta la nostra vita. Porta ovunque e sempre con te questa morte – egli dice in altri termini – e ogni giorno sii pronto a lasciarti uccidere. Molte persone infatti hanno disprezzato le ricchezze, i piaceri e la gloria, ma non hanno superato il timore dei pericoli e della morte. Io voglio invece – continua Cristo – che il mio discepolo, il mio atleta lotti sino al sangue e affronti combattimenti fino alla morte. Se è necessario pertanto subire la morte e la morte più vergognosa ed esecrabile, anche per un ingiusto sospetto, tutto devi sopportare coraggiosamente e, ancor più, rallegrarti per questo.
«E mi segua». Può accadere, infatti, che colui che soffre, non segua Cristo, in quanto non soffre per lui. Perché allora nessuno pensi che basti semplicemente soffrire, Gesù sottolinea in particolare quale deve essere il motivo delle nostre sofferenze. Qual è? Che si faccia ogni cosa e si soffra, seguendo lui; che tutto si sopporti per amor suo e che si mettano in pratica anche le altre virtù. (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 55, 1 s.)
La sequela di Cristo esige fede e semplicità
E` così che Abramo fu chiamato e uscì alla sequela di Dio: egli non si fece giudice della parola rivoltagli e non si sentì impedito dall`attaccamento alla razza e ai parenti, al paese e agli amici, né da altri vincoli umani; ma appena intese la parola e seppe che era di Dio, l`ascoltò semplicemente e, in spirito di fedeltà, la ritenne veritiera; disprezzò tutto e uscì con la semplicità della natura che non agisce con astuzia e per il male…
Dio non gli rivelò qual fosse questo paese per far trionfare la sua fede e mettere in risalto la sua semplicità; e quantunque sembri che lo conducesse al paese di Canaan, gli prometteva di mostrargli un altro paese, quello della vita che è nei cieli, secondo la testimonianza di Paolo: “Egli aspettava la città dalle solide fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio” (Eb 11,10). E ha detto ancora: “E` certo che ne desideravano una migliore del paese di Canaan, cioè quella celeste” (Eb 11,16). E per insegnarci chiaramente che quello che egli prometteva di mostrare ad Abramo non era il paese della promessa corporale, Dio lo fece dimorare ad Haran dopo averlo fatto uscire da Ur dei Caldei, e non lo introdusse nel paese di Canaan subito dopo la sua uscita; e affinché Abramo non pensasse aver inteso l`annuncio di una ricompensa e non uscisse per questa ragione secondo la parola di Dio, non gli fece conoscere fin dall`inizio il nome del paese dove lo conduceva.
Considera perciò quella uscita, o discepolo, e sia la tua come quella; non tardare a rispondere alla viva voce di Cristo che ti ha chiamato. Là, egli non chiamava che Abramo: qui, nel suo Vangelo, egli chiama e invita a uscire alla sua sequela tutti quelli che lo vogliono, invero, è a tutti gli uomini che egli ha rivolto la sua chiamata quando ha detto: “Chi vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23); e mentre là non ha scelto che Abramo, qui, invita tutti a divenire simili ad Abramo. (Filosseno di Mabbûg, Hom., 4, 75 s.)
Dio va anteposto anche al valore della vita
“Chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia la salverà” (Mc 8,35). E` come se si dicesse al contadino: Se tu serbi il tuo grano lo perdi; se invece lo semini, lo rinnovi. Chi ignora, infatti, che il grano, una volta seminato sparisce alla vista e muore sotto terra? Ma proprio perché marcisce nella polvere, vigoreggia poi rinnovato!
Per la Chiesa, vi è un tempo di persecuzione e un tempo di pace; e il Redentore dà precetti diversi a seconda dei vari tempi. In tempo di persecuzione, ordina di dare la propria vita; in tempo di pace, impone di dominare quei desideri terreni che più si rivelano prepotenti in noi. Ecco perché, anche oggi dice: “Che giova all`uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8,36; Mt 16,26). Quando cessa la persecuzione da parte dei nemici, è tempo di custodire più attentamente il cuore. Infatti, in tempo di pace, quando ci è concesso un quieto vivere, ci assalgono desideri smodati. E` questo stato di avarizia che va tenuto a freno con l`attenta considerazione della condizione di colui che viene assalito. In effetti, a che pro dovrebbe insistere nell`ammassare, chi di per sé non può rimanere quaggiù ad ammassare? Consideri perciò ognuno la propria durata e si accorgerà che gli può bastare senz`altro il poco che possiede! O ha paura, per caso, che lungo il cammino della vita gli venga a mancare il sostentamento? La brevità del cammino è però un rimprovero ai nostri desideri a lungo termine; è inutile, infatti, caricarsi di molte provviste, quando la meta cui si tende è vicina!
Spesso capita che ci è facile aver ragione dell`avarizia, mentre ci arrestiamo poi davanti ad un altro ostacolo, trascurando in pratica l`impegno verso la perfezione. Ci lasciamo vincere dal rispetto umano, che ci impedisce di esprimere con la voce la rettitudine che sentiamo nell`intimo. In tal modo, di tanto trascuriamo gli interessi di Dio, con la difesa della giustizia, di quanto cediamo alla mentalità degli uomini, contro ogni giustizia. Ma anche per questo malanno, il Signore suggerisce il rimedio appropriato, quando dice: “Chiunque si vergognerà di me e delle mie parole [davanti a questa generazione adultera e peccatrice], anche il Figlio dell`uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi” (Mc 8,38). (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 32, [4] 5)
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù che, in cammino verso Cesarea di Filippo, interroga i discepoli: «La gente, chi dice che io sia?» (Mc 8,27). Essi rispondono quello che diceva la gente: alcuni lo ritengono Giovanni Battista redivivo, altri Elia o uno dei grandi Profeti. La gente apprezzava Gesù, lo considerava un “mandato da Dio”, ma non riusciva ancora a riconoscerlo come il Messia, quel Messia preannunciato ed atteso da tutti. Gesù guarda gli apostoli e domanda ancora: «Ma voi, chi dite che io sia?» (v. 29). Ecco la domanda più importante, con cui Gesù si rivolge direttamente a quelli che lo hanno seguito, per verificare la loro fede. Pietro, a nome di tutti, esclama con schiettezza: «Tu sei il Cristo» (v. 29). Gesù rimane colpito dalla fede di Pietro, riconosce che essa è frutto di una grazia, di una grazia speciale di Dio Padre. E allora rivela apertamente ai discepoli quello che lo attende a Gerusalemme, cioè che «il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto … venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (v. 31).
Sentito questo, lo stesso Pietro, che ha appena professato la sua fede in Gesù come Messia, è scandalizzato. Prende in disparte il Maestro e lo rimprovera. E come reagisce Gesù? A sua volta rimprovera Pietro per questo, con parole molto severe: «Va’ dietro a me, Satana!” – gli dice Satana! – “Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (v. 33). Gesù si accorge che in Pietro, come negli altri discepoli – anche in ciascuno di noi! – alla grazia del Padre si oppone la tentazione del Maligno, che vuole distoglierci dalla volontà di Dio. Annunciando che dovrà soffrire ed essere messo a morte per poi risorgere, Gesù vuol far comprendere a coloro che lo seguono che Lui è un Messia umile e servitore. È il Servo obbediente alla parola e alla volontà del Padre, fino al sacrificio completo della propria vita. Per questo, rivolgendosi a tutta la folla che era lì, dichiara che chi vuole essere suo discepolo deve accettare di essere servo, come Lui si è fatto servo, e avverte: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (v. 35).
Mettersi alla sequela di Gesù significa prendere la propria croce – tutti l’abbiamo… – per accompagnarlo nel suo cammino, un cammino scomodo che non è quello del successo, della gloria passeggera, ma quello che conduce alla vera libertà, quella che ci libera dall’egoismo e dal peccato. Si tratta di operare un netto rifiuto di quella mentalità mondana che pone il proprio “io” e i propri interessi al centro dell’esistenza: questo non è ciò che Gesù vuole da noi! Invece, Gesù ci invita a perdere la propria vita per Lui, per il Vangelo, per riceverla rinnovata, realizzata e autentica. Siamo certi, grazie a Gesù, che questa strada conduce alla fine alla risurrezione, alla vita piena e definitiva con Dio. Decidere di seguire Lui, il nostro Maestro e Signore che si è fatto Servo di tutti, esige di camminare dietro a Lui e di ascoltarlo attentamente nella sua Parola – ricordatevi: leggere tutti i giorni un passo del Vangelo – e nei Sacramenti.
Ci sono giovani qui in piazza: ragazzi e ragazze. Io vi domando: avete sentito la voglia di seguire Gesù più da vicino? Pensate. Pregate. E lasciate che il Signore vi parli.
La Vergine Maria, che ha seguito Gesù fino al Calvario, ci aiuti a purificare sempre la nostra fede da false immagini di Dio, per aderire pienamente a Cristo e al suo Vangelo. (Papa Francesco, Angelus del 13 settembre 2015)
Fonte: Figlie della Chiesa
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 16 Settembre 2018 anche qui.
- Colore liturgico: Verde
- Is 50, 5-9; Sal. 114; Gc 2, 14-18; Mc 8, 27-35
Tu sei il Cristo… Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire.
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 8, 27-35
27Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 16 – 22 Settembre 2018
- Tempo Ordinario XXIV
- Colore Verde
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 4
Fonte: LaSacraBibbia.net
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