Commento al Vangelo del 16 Maggio 2021 – Padre Giulio Michelini

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Seduto alla destra del Padre

La liturgia abbandona per una domenica il Quarto Vangelo (in questo anno liturgico verrà riaperto col lezionario di Pentecoste), e ritorna oggi a Marco, che segna le tappe del presente anno. Mentre l’evento dell’ascensione di Gesù sarà narrato compiutamente nella prima lettura, anche nella cosiddetta “finale lunga” di Marco, nel penultimo versetto del vangelo di oggi, è conservata la tradizione dell’ascensione di Gesù: questi, dice il testo, dopo aver parlato agli undici, «fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (Mc 16,19).

Queste brevi parole solo tratte, dicevamo, dalla “finale”, che possiamo chiamare anche “conclusione canonica” o “anonima”. In origine, il Vangelo più antico non finiva così, e lo deduciamo dal fatto che i migliori testimoni testuali si fermano al v. 8 del sedicesimo capitolo, quando l’autore sacro commenta sbigottito come al mattino di Pasqua le donne – pur avendo udito dall’angelo l’annuncio della risurrezione di Gesù – «non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite». La finale marciana è senza dubbio una compilazione dei racconti della risurrezione tramandati dagli altri tre vangeli, una specie di “catechismo pasquale” (Gnilka), e non aggiunge nulla di quanto noi già sappiamo, ma insiste, come anche Luca, sull’idea che Gesù lasci i suoi per tornare al Padre.

Due verbi descrivono l’ascensione di Gesù, la sua elevazione, analambanō (prender su) e anabainō (salire). Il primo, sempre al passivo, è in At 1,2.11 e Mc 16,19, e nella traduzione della LXX illustra la stessa sorte toccata ad Elia, che «salì nel turbine verso il cielo» (2Re 2,11), ma anche quella del misterioso personaggio, molto importante per gli apocrifi, Enoch, il quale appunto «fu assunto dalla terra» (Sir 49,14). Lo stesso verbo si trova anche a conclusione della formula di fede di Paolo, nella Prima lettera a Timoteo, per Gesù «elevato nella gloria» (1Tm 3,14). Il secondo verbo invece si trova nel testo deuteropaolino della seconda lettura di oggi, in Ef 4,8-9.

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Il titolo che viene dato a Gesù, abbinato a quello di Signore, “Signore Gesù”, vede qui la sua unica occorrenza nei Vangeli, anche se Paolo lo conosce bene, come anche Luca, che lo usa nel suo secondo scritto, gli Atti. Colui che lascia i suoi e sale a Dio non è solo il Gesù che i discepoli hanno conosciuto, ma è il Kyrios-Signore, il Risorto che oramai è entrato in una realtà completamente nuova, e per questo può sedere alla destra di Dio, così come era stato detto dell’“altro” “Signore” nel Salmo 110, uno dei più importanti salmi messianici («Siedi alla mia destra!»).

Descritto brevemente il dato biblico della scena, cerchiamo ora di andare al suo senso, appoggiandoci alla teologia che troviamo nel Catechismo della Chiesa cattolica ai parr. 662-667. Qui si dice che Gesù sale al cielo per poterne aprire la porta agli uomini: «Lasciata alle sue forze naturali, l’umanità non ha accesso alla Casa del Padre (Gv 14,2), alla vita e alla felicità di Dio. Soltanto Cristo ha potuto aprire all’uomo questo accesso “per darci la serena fiducia che dove è lui, Capo e Primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria”» (Messale Romano, Prefazio dell’Ascensione, I). Si vuole dire che nonostante il desiderio di conoscere Dio, e lo sforzo per poterlo incontrare, solo Dio può rivelarsi a chi lo cerca. Ciò è possibile in particolare dopo la passione e risurrezione del Messia. Stefano, il primo martire, annuncia infatti che quella porta, che il Signore Gesù ha spalancato, rimane aperta e non si chiude più: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (At 7,56). È da lì, da quello stesso cielo, come profetizzato nell’Apocalisse, che discenderà poi la Gerusalemme nuova, quella città dove l’agnello è il Signore che tutti riconosceranno, e nella quale non si udranno più pianti e lamenti e non vi sarà più il male (cf. Ap 21).

Ad entrare in questo nuovo cielo – in questa nuova “terra” – è Gesù nella sua umanità, scrive il Catechismo, anzi, è proprio “la sua umanità” ad addentrarsi nella gloria divina. Non sale al Padre un Gesù liberato dal peso del suo corpo o della sua storia (visione gnostica, questa, riportata ad es. nell’apocrifo Vangelo di Giuda), anzi, è proprio l’opposto, e allo stesso modo saremo salvati anche noi. San Leone Magno, a proposito, spiega che con l’ascensione di Gesù «la nostra povera natura umana è stata portata da Cristo sopra tutti i cieli, sopra tutti i suoi abitanti, sopra tutte le schiere angeliche, al trono stesso di Dio Padre» (Sermone 74).

Cosa significa, infine, che Gesù è «alla destra del Padre»? Tale espressione, oltre ad indicare la dignità e la gloria che gli sono dovute, come Figlio nella sua divinità, lascia intendere che lì, accanto al Padre, il Signore Gesù può presentargli le nostre preghiere, e per noi può intercedere: «In cielo Cristo esercita il suo sacerdozio in permanenza, essendo egli sempre vivo per intercedere a favore di quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio (Eb 7,25). Come sommo sacerdote dei beni futuri (Eb 9,11) egli è il centro e l’attore principale della Liturgia che onora il Padre nei cieli” (CCC 662). «Gesù Cristo, essendo entrato una volta per tutte nel santuario del cielo, intercede incessantemente per noi come il mediatore che ci assicura la perenne effusione dello Spirito Santo» (667).

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