La Trinità non è una questione di numeri.
Un Dio solo, ma tre persone. Sarebbe bello capirci qualcosa! Ma niente da fare. Ci hanno provato i cervelli più grandi e si sono dovuti arrendere. Figuriamoci noi. È inutile quindi tentare l’impossibile, anche perché gli autori sacri non ci offrono spiegazioni, ma – vedi i brani che la liturgia ci propone per questa celebrazione – rivelazioni: c’è un Creatore (prima lettura), c’è un Salvatore (seconda lettura), c’è un Consolatore (il vangelo): tre persone, ma un solo Dio.
Non riusciamo a comprendere. Però lo crediamo, senza paura di essere creduloni, o di essere considerati tali. Se, infatti, riuscissimo a comprendere Dio, saremmo come lui. Invece come lui, con ogni evidenza, non siamo. Per fortuna! Perché se Dio fosse come noi, sarebbe il disastro più completo e rovinoso.
Lo crediamo, perché ci è stato rivelato, facendo l’unica cosa autentica che è nelle nostre possibilità: lo adoriamo. A questo ci invita la liturgia di questa domenica, facendoci pregare con il salmo 8 che si apre carico di estatica meraviglia: «O Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!», invocazione abbreviata per facilitare la ripetizione, ma molto più bella nel testo originale: «O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!», perché il “Signore nostro”, aggiunge un tocco di familiarità e confidenza che ci indica come accostarci e misurarci con tanta grandezza.
Attribuito a David, forse in una delle notti trascorse tra i monti per sfuggire all’ira di Saul, è la preghiera di ogni credente davanti alla grandezza di Dio, necessariamente uno solo, ma non un solitario, perché i solitari tengono per sé ciò che hanno. Un Dio che condivide con le sue creature tanta bellezza e grandezza non può che essere comunità d’amore: Padre, Figlio, Spirito Santo. Da soli l’avremmo potuto soltanto intuire, la Parola ce l’ha rivelato.
L’autore del salmo non si spaventa di fronte a tanta grandezza. Al contrario, scopre la propria: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato – mi domando – che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi». Poi conclude, ripetendo con trepidazione (il sentimento che il linguaggio biblico chiama: timore) l’esclamazione iniziale: «O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!».
Di fronte a questo Dio “mirabile su tutta la terra”, che con “le sue dita”, senza alcuna fatica, ha compiuto e compie opere così grandi, non servono domande alle quali non siamo in grado di rispondere, ma sentimenti che siamo capaci di vivere: trepidazione, contemplazione e gratitudine. Questi non sono sentimenti che ci portano fuori dalla vita di ogni giorno. Al contrario ne sono l’ispirazione, il riferimento, l’energia, in modo che la vita diventi capace di riflettere e di far trasparire la grandezza e la bontà di Dio, per far scattare in noi la volontà e la forza di essere degni del dono ricevuto, combattendo tutto ciò può offuscarlo, e potenziando tutto ciò che può farlo brillare e diffondere.
Forse è stata proprio la scarsa consapevolezza del «o Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!» e del «che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi?» a farci accontentare troppo spesso di una morale di piccolo cabotaggio, priva del desiderio struggente e dell’impegno costante di testimoniare il nostro essere fatti “poco meno di un dio”, coronati “di gloria e di onore” e, perciò incapaci di venire a patti con la banalità e la meschinità.
Fonte: Paoline