Nel brano evangelico odierno vengono proposte tre parabole che Gesù ha pronunciato in circostanze simili e che Luca ha voluto mantenere collegate tra loro. La saldatura tra le parti è stata affidata a dei verbi che rivelano il senso più profondo di questa unità evangelica. Anzitutto alla coppia perdere-trovare: l’uno e l’altro ricorrono otto volte e, oltre al significato concreto, ne hanno uno metaforico, equivalente al nostro perdersi e ritrovarsi. In secondo luogo, l’insieme dei verbi che significano gioire e fare festa. Quasi a sancirne l’importanza, tutti questi verbi ricorrono nel versetto finale (‘bisognava fare festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’), versetto in cui si trova la chiave interpretativa delle parabole.
Un accostamento superficiale tra la prima lettura e il vangelo potrebbe indurre a stabilire un confronto tra un Dio (dell’Antico Testamento) pronto ad annientare il popolo che ha peccato di idolatria e un Dio (del Nuovo Testamento) infinitamente comprensivo e misericordioso nei confronti del peccatore. Nelle pieghe del testo di Esodo si scorgono invece elementi più significativi: il popolo appartiene a JHWH, non semplicemente in virtù della fedeltà del popolo alla Torà, ma in ultima analisi in conseguenza dell’impegno assunto da Dio stesso. Mosè sembra dire: Ricordati chi sei e ri-conosci il tuo popolo! Stupenda è la conclusione, che alla lettera dice: “Si pentì JHWH del male che aveva detto di fare al popolo suo”. Il possessivo, posto al culmine è in assonanza con la conclusione di Lc 15: “era perduto ed è stato ritrovato”. In Esodo e in Lc 15 si sente fremere la calda passione di Dio, di un Dio affettivamente coinvolto nel rapporto con il suo popolo.
v.1: Gesù si rivolge in primo luogo a chi si aggira nella sfera sacra della purità e nel perimetro sociale dell’integrazione. Dà quindi la precedenza a poveri, malati, donne e peccatori, proclamando soprattutto a costoro l’ormai prossimo capovolgimento di situazione. Gesù mostra Dio come un padre che freme di passione e compassione in primo luogo per i figli più deboli e sofferenti e fa di tutto per migliorare la loro condizione, senza nulla chiedere in cambio, semplicemente perché sono suoi figli. Per il Dio di Gesù conta solo che ogni uomo possa sentirsi destinatario delle promesse divine.
v.6: Il trinomio perdere-trovare-gioire traduce questa dinamica: in Gesù Dio va alla ricerca di chi si trova perduto. Raggiunto, il ritrovato si unisce al suo popolo per esprimere nella festa la gioia della reintegrazione ottenuta. Ma qui sorgono i problemi. Per gli altri, i già integrati, un Dio così premuroso verso chi non lo merita e l’offerta di una salvezza gratuita risultano insopportabili. Soprattutto gli osservanti della Torà (scribi e farisei) e i depositari del sacro (i sacerdoti) ritenevano che l’Israele redento e liberato avrebbe coinciso soltanto con l’Israele ligio ai dettami legali. In fondo, la salvezza deriva dal riconoscimento divino rispetto a un adeguato comportamento umano. E’ più conquista che dono. Per quanti condividevano questa linea di pensiero l’agire di Gesù era motivo di inquietudine e di irritazione, comunque di opposizione.
v.17: Il figlio minore fa una esperienza di questo genere: servo, ma per di più “a pascolare i porci”. Siamo in “terra pagana”, perché “i porci” in Israele non ci sono. Il porco è un animale immondo, non viene evidentemente allevato da ebrei e dovere andare a pascolare i porci per un ragazzo deve essere il massimo del degrado, peggio di così non poteva finire. E chiaramente la parabola deve dire questo: deve fare scendere il figlio minore fino al punto minimo, dove non si può scendere ancora più in basso: pascolare i porci. “Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava”, che vuole dire: non solo “guardiano di porci”, ma, come condizione, “peggio dei porci”. Allora bisogna trovare un’altra direzione, e la parabola la ritrova con questa parola: “Allora rientrò in se stesso”. Questo “rientrò in se stesso” è nella parabola il primo verbo che esprima un sentimento. Ebbene, la caratteristica del figlio minore è il rientrare in se stesso, cioè prendere coscienza della propria condizione, della abiezione in cui è finito, di quanto profondo sia il peccato, dell’esperienza di degrado nella sua vita. “Rientrò in se stesso”, che è un atteggiamento fondamentale dal punto di vista della conversione, e in fondo dal punto di vista della maturità umana.
v.19: C’è una crescita nella consapevolezza di questo ragazzo. Perché era partito da casa immaginando che suo padre fosse un tiranno, si sentiva schiavo, e voleva togliere tutte le catene: il padre è padrone, anzi è addirittura tiranno. Adesso incomincia a desiderare un padre padrone, perché incomincia in qualche modo ad avere invidia dei servi di suo padre. Lui è arrivato a fare il servo in un modo così degradante, che la condizione dei servi in casa di suo padre gli appare desiderabile. Questo figlio si è allontanato da casa perché pensava che suo padre fosse un tiranno, ritorna a casa con la speranza che suo padre sia un padrone, lo tratti come un padrone tratta i suoi servi, come tratta gli altri servi possa trattare anche lui. Questa è la conversione del figlio prodigo, ma in realtà non è una grande conversione. Non è una grande conversione, perché non ritorna per amore di suo padre, ma ritorna per fame, ritorna con il desiderio di saziarsi, di potere vivere in un modo meno disagiato di quello attuale. Non gli dispiace di aver fatto soffrire suo padre, non ci pensa, questo è ancora fuori dalla sua ottica. Il motivo per cui gli dispiace il suo comportamento, è il risultato, l’effetto che ha ottenuto: ha ottenuto un risultato disastroso e quindi gli dispiace di essere andato via da casa. Spera di tornare, vuole tornare come un salariato.
v.20: Il padre vede il figlio minore arrivare; e c’è il secondo verbo: “commosso”, ed è il verbo che definisce la figura del padre. “Commosso” vuole dire: “gli si sono mosse dentro le viscere”; sono viscere materne che anche un padre possiede, per cui quando è di fronte a suo figlio, non riesce ad essere un freddo calcolatore misurato, ma si lascia afferrare dalla emozione, è come costretto dalle sue viscere a una serie di comportamenti che sono dell’amore, della tenerezza, della compassione, della bontà, della misericordia.
v.28: Il figlio maggiore “si arrabbiò”. E questo “si arrabbiò” è giustificato da un ragionamento che ha una logica stringente, ma il ragionamento suppone che il padre sia un padrone e che i figli siano dei salariati, perché questo è il discorso: “io ti servo da tanti anni (…) non ho mai avuto un capretto”; cioè il rapporto tra lui e il padre è stato da salariato a datore di lavoro, ha sempre ricevuto quello che gli spettava come stipendio (salario), ma niente di più. Questa figura del figlio maggiore è il rappresentante di una religiosità seria e impegnata ma di scambio, la religiosità salariale; la religiosità dove Dio è datore di lavoro e l’uomo è un operaio, per cui secondo il lavoro che l’operaio compie ha diritto ad un salario corrispondente. Tutto quello che non entra in questo sistema di scambio economico diventa incomprensibile.
Il padre va incontro a lui come era andato incontro al minore. E’ sempre il padre a prendere l’iniziativa e a muovere il primo passo per accorciare le distanze.
v.32: Il fratello maggiore parla al padre del fratello chiamandolo “tuo figlio”: e il padre parla del figlio minore al maggiore indicandolo come “tuo fratello”. E’ lo stesso gioco dei pronomi personali che abbiamo notato nel brano dell’Esodo. Ma non si tratta di un gioco: si tratta di cogliere correttamente la dinamica del rapporto con Dio che è chiaramente rapporto interpersonale.
Appendice
Se il gran numero delle misericordie di Dio si potesse contare e la grandezza della pietà di Dio si potesse misurare, di fronte al gran numero e alla grandezza dei peccati davvero dovrebbe regnare la disperazione. Ma poiché questi, per natura loro sono misurabili e numerabili, mentre la pietà di Dio non può essere misurata e le sue misericordie non possono essere contate, non è tempo di disperazione ma di riconoscimento della misericordia e di riprovazione dei peccati: poiché la remissione di questi, come è scritto, è già data nel sangue di Cristo. Che non si debba disperare ci viene insegnato in molti modi e in molti luoghi, ma soprattutto dalla parabola del Nostro Signore Gesù Cristo a proposito del figlio che ha preso i beni del padre e li ha dissipati nei peccati. E impariamo dalle parole stesse del Signore di quale e quanta festa sia stata fatta degna la sua penitenza (Basilio di Cesarea, Regole brevi qaest. 13).
Vera penitenza è non tornare a peccare
Se uno che è fuori dello scoglio della troppa ricchezza o troppa povertà ed è sul facile sentiero dei beni eterni, tuttavia, dopo la liberazione dal peccato, ricade e si seppellisce in esso, questo deve essere ritenuto rigettato da Dio. Chiunque, infatti, si rivolge a Dio con tutto il cuore, gli si aprono le porte, e il Padre accoglie con tutto l`affetto il figlio veramente pentito. Ma la vera penitenza consiste nel non ricadere e nello sradicare i peccati riconosciuti come causa di morte. Se ne levi questi, Dio abiterà di nuovo in te. E` una gioia immensa e incomparabile in cielo per il Padre e per gli angeli la conversione di un peccatore (Lc 15,2). Perciò è detto anche: “Voglio misericordia e non sacrificio. Non voglio la morte del peccatore, ma che si penta. Se i vostri peccati saranno come la porpora, li farò bianchi come la neve; e se saranno neri come il carbone li ridurrò come neve” (Os 6,6; Mt 9,13; Ez 18,23; Is 1,18; Lc 5,21). Solo il Signore può perdonare i peccati e non imputare i delitti e ci comanda di perdonare i fratelli pentiti (Mt 6,14). Che se noi, che siamo cattivi, sappiamo dare cose buone, quanto più il Padre della misericordia, quel Padre di ogni consolazione, pieno di misericordia, avrà lunga pazienza e aspetterà la nostra conversione? (Lc 11,13). Ma convertirsi dal peccato, significa finirla col peccato e non tornare indietro.
Dio concede il perdono del passato; il non ricadere dipende da noi. E questo è pentirsi: aver dolore del passato e pregare il Padre che lo cancelli, poiché lui solo con la sua misericordia può ritenere non fatto il male che abbiamo fatto e lavare con la rugiada dello Spirito i peccati passati. E` detto, infatti: “Vi giudicherò, come vi troverò (In Evang. apocr.)“, in modo che se uno ha menato una vita ottima, ma poi si è rivolto al male, non avrà alcun vantaggio del bene precedente; invece, chi è vissuto male, se si pente, col buon proposito può redimere la vita passata. Ma ci vuole una gran diligenza, come una lunga malattia vuole una dieta più rigorosa e più accortezza. Vuoi, o ladro, che il peccato ti sia perdonato? Finisci di rubare. L`adultero spenga le fiamme della libidine. Il dissoluto sia casto. Se hai rubato, restituisci un po` di più di quanto hai preso. Hai testimoniato il falso? Impara a dir la verità. Se hai spergiurato, astieniti dai giuramenti, taglia i vizi, l`ira, la cupidigia, la paura. Forse è difficile portar via a un tratto dei vizi inveterati; ma puoi conseguirlo per la potenza di Dio, con la preghiera dei fratelli, con una vera penitenza e assidua meditazione. (Clemente di Ales., Quis dives, 39 s.)
Proprio l`umiliazione di Dio ci salva
Per peccati più gravi ci voleva una più potente medicina: i peccati erano stragi scambievoli, adulteri, spergiuri, furiosa sodomia e idolatria, che rivolge alle creature il culto del Creatore. E poiché queste piaghe avevano bisogno d`un aiuto più energico, tale esso venne. E questo fu lo stesso Figlio di Dio, più antico del tempo, invisibile, incomprensibile, incorporeo, principio dal principio, luce da luce, fonte d`immortalità, espressione della prima Idea, sigillo intatto, immagine perfetta del Padre e questo prende carne e per la mia anima si unisce all`anima umana, per purificare il simile col simile. E prende tutte le debolezze umane, eccetto il peccato (Eb 4,15), concepito da una vergine nell`anima e nel corpo già purificata dallo Spirito… O meraviglia di fusione! Colui che è, vien fatto, l`increato viene creato; colui che non può essere contenuto, è contenuto tra la divinità e lo spessore della carne. Colui che fa tutti ricchi, è povero; abbraccia la povertà della mia carne, perché io acquisti la ricchezza della sua divinità. Lui che è la pienezza, si svuota; si svuota della sua gloria, perché io diventi partecipe della sua pienezza. Che ricchezza di bontà! Quale mistero mi circonda? Ho ricevuto l`immagine di Dio, non l`ho custodita; lui si fa partecipe della mia carne, per portare la salvezza all`immagine e l`immortalità alla carne. Stabilisce un nuovo consorzio e di gran lunga più meraviglioso del primo; allora diede a noi ciò ch`era più eccellente; ma ora lui stesso s`è fatto partecipe di ciò che è più deteriore. Questo consorzio è più divino del primo; questo per chi ha cuore è molto più sublime… E tu osi rinfacciare a Dio il suo beneficio? E` forse piccolo, perché per te s`è fatto umile, perché quel buon Pastore, che diede la sua anima per le sue pecore (Gv 10,11), cerca la smarrita tra i monti e i colli, sui quali sacrificavi, la trova e se la pone su quelle stesse spalle, sulle quali prese il legno della croce, e la riporta alla vita soprannaturale, e ricondottala nell`ovile, dov`erano quelle che non ne uscirono mai, la tiene nello stesso luogo e numero di quelle? O è piccolo perché accende la lucerna, cioè la sua carne, e spazza la casa, purgando cioè il mondo dal peccato e cerca la dramma, cioè la regale immagine coperta di sporcizia viziosa, e, trovatala, chiama gli angeli suoi amici e li fa partecipi della sua gioia, dal momento che li aveva messi a conoscenza della sua economia? (Gregorio di Nazianzo, Sermo 38, 13 s.)
Conversione e remissione
Ricorda quello che lo Spirito dice alle Chiese: accusa gli Efesini di aver abbandonato l’amore, riprende gli abitanti di Tiatira per i loro stupri e l`uso di carni immolate agli idoli, imputa agli abitanti di Sardi che le loro opere non sono perfette; rimprovera gli abitanti di Pergamo d`insegnare dottrine perverse; quelli di Laodicea di confidar troppo nelle loro ricchezze. Eppure esorta tutti alla penitenza, anzi, ad essa li ammonisce. Ma non ammonirebbe chi non si pente, se a chi si pente le colpe non fossero perdonate. E` lui, è lui che “preferisce la misericordia ai sacrifici” (Mt 9,13).
Si allietano i cieli, e gli angeli lassù presenti, per la penitenza dell`uomo. Orsù, peccatore: sta` di buon animo! Vedi dove ci si allieta per il tuo ritorno. Che ci vogliono dimostrare gli argomenti delle parabole del Signore? La donna che, persa la moneta, la cerca, la ritrova e invita le amiche a rallegrarsi, non è esempio del peccatore ravveduto? Si è smarrita una sola pecorella del pastore, ma egli non ha premura maggiore per il gregge intero: ricerca quella sola, gli preme più di tutte le altre, e finalmente la trova, la porta sulle sue spalle, perché si era molto stancata vagolando. E non posso tralasciar di ricordare quel padre tenerissimo che richiama il figliol prodigo e con tanto cuore lo riaccoglie, ravveduto nella miseria: uccide il vitello ingrassato e manifesta la sua gioia con un banchetto. E perché no? Aveva trovato il figlio perduto; lo sentiva più caro, perché lo aveva riguadagnato. Chi dobbiamo intendere che sia quel padre? Dio, naturalmente: nessuno è tanto padre, nessuno è tanto affettuoso. Egli dunque riaccoglierà te, figlio suo, anche se ti sarai allontanato dopo esser già stato accolto, anche se tornerai nudo, solo per il fatto del tuo ritorno: e si allieterà più di questo ritorno che della regolatezza dell`altro figlio; ma solo se ti pentirai di cuore, se metterai a confronto la tua fame con la buona situazione degli operai di tuo padre, se abbandonerai il gregge di porci immondi, se ritornerai da lui, per quanto offeso, dicendo: “Ho peccato, padre, e non son più degno di esser chiamato tuo figlio” (Lc 15,14s). La confessione allevia il delitto, quanto la dissimulazione lo aumenta. La confessione infatti manifesta disposizione alla riparazione, la dissimulazione invece all`ostinazione. (Tertulliano, De paenitentia, 8)
Dio ci ha cercati per puro amore
“Dio è amore. E chi resta nell`amore resta in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv 4,15-16). Abitano l`uno nell`altro, chi contiene e chi è contenuto. Tu abiti in Dio ma per essere contenuto da lui; Dio abita in te, ma per contenerti e non farti cadere. Non devi ritenere che tu possa diventare casa di Dio, così come la tua casa contiene il tuo corpo. Se la casa in cui abiti crolla, tu cadi; se invece tu crolli, Dio non cade. Egli resta intatto, se tu lo abbandoni. Intatto egli resta, quando ritorni a lui. Se tu diventi sano, non gli offri nulla, sei tu che ti purifichi ti ricrei e ti correggi. Egli è una medicina per il malato, una regola per il cattivo, una luce per il cieco, per l`abbandonato una casa. Tutto dunque ti viene offerto. Cerca di capire che non sei tu a dare a Dio, allorché vieni a lui; neppure la proprietà di te stesso. Dio dunque non avrà dei servi se tu non vorrai e se nessuno vorrà? Dio non ha bisogno di servi, ma i servi hanno bisogno di Dio perciò un salmo dice: “Dissi al Signore: tu sei il mio Dio“. E` lui il vero Signore. Che cosa disse allora il salmista? “Tu non hai bisogno dei miei beni” (Sal 15,2). Tu, uomo, hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo. Il servo ha bisogno dei tuoi beni, perché tu gli offra da mangiare, anche tu hai bisogno dei suoi buoni uffici perché ti aiuti. Tu non puoi attingere acqua, non puoi cucinare, non puoi guidare il cavallo, né curare la tua cavalcatura. Ecco dunque che tu hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo, hai bisogno dei suoi ossequi. Non sei dunque un vero signore, perché abbisogni di chi ti è inferiore. Lui è il vero Signore che non cerca nulla da noi; e guai a noi se non cerchiamo lui. Niente egli chiede a noi, ma egli ci ha cercato, mentre noi non cercavamo lui. Si era dispersa una sola pecora; egli la trovò e pieno di gaudio la riportò sulle sue spalle (cf. Lc 15,4-5). Era forse necessaria al pastore quella pecora o non era invece più necessario il pastore alla pecora? (Agostino, In I Ep. Ioan. Tract., 8, 14)
Cari fratelli e sorelle!
Nel Vangelo dell’odierna domenica – il capitolo 15° di san Luca – Gesù narra le tre “parabole della misericordia”. Quando Egli “parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare” (Enc. Deus caritas est, 12). Infatti, il pastore che ritrova la pecora perduta è il Signore stesso che prende su di sé, con la Croce, l’umanità peccatrice per redimerla. Il figlio prodigo, poi, nella terza parabola, è un giovane che, ottenuta dal padre l’eredità, “partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto” (Lc 15,13). Ridotto in miseria, fu costretto a lavorare come uno schiavo, accettando persino di sfamarsi con cibo destinato agli animali. “Allora – dice il Vangelo – ritornò in sé” (Lc 15,17). “Le parole che si prepara per il ritorno ci permettono di conoscere la portata del pellegrinaggio interiore che egli ora compie … ritorna «a casa», a se stesso e al padre” (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Milano 2007, pp. 242-243). “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” (Lc 15,18-19). Sant’Agostino scrive: “È il Verbo stesso che ti grida di tornare; il luogo della quiete imperturbabile è dove l’amore non conosce abbandoni” (Conf., IV, 11). “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò (Lc 15,20) e, pieno di gioia, fece preparare una festa.
Cari amici, come non aprire il nostro cuore alla certezza che, pur essendo peccatori, siamo amati da Dio? Egli non si stanca mai di venirci incontro, percorre sempre per primo la strada che ci separa da Lui. Il libro dell’Esodo ci mostra come Mosè, con fiduciosa e audace supplica, riuscì, per così dire, a spostare Dio dal trono del giudizio al trono della misericordia (cfr 32,7-11.13-14). Il pentimento è la misura della fede e grazie ad esso si ritorna alla Verità. Scrive l’apostolo Paolo: “Mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede” (1 Tm 1,13). Ritornando alla parabola del figlio che ritorna “a casa”, notiamo che quando compare il figlio maggiore indignato per l’accoglienza festosa riservata al fratello, è sempre il padre che gli va incontro ed esce a supplicarlo: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo” (Lc 15,31). Solo la fede può trasformare l’egoismo in gioia e riannodare giusti rapporti con il prossimo e con Dio. “Bisognava far festa e rallegrarsi – dice il padre – perché questo tuo fratello … era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32). (Papa Benedetto XVI, Angelus del 12 settembre 2010)
Fonte: Figlie della Chiesa
Letture della
XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Prima Lettura
Il Signore si penti del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.
Dal libro dell’Esòdo
Es 32,7-11.13-14
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”».
Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione».
Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”».
Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 50 (51)
R. Ricordati di me, Signore, nel tuo amore.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. R.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito. R.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi. R.
Seconda Lettura
Cristo è venuto per salvare i peccatori.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
1 Tm 1,12-17
Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Parola di Dio
Vangelo
Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 15, 1-32
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Parola del Signore
Oppure forma breve: Lc 15,1-10