Le letture di questa domenica ci invitano ad una attenta riflessione sul significato della nostra vita. Nella prima lettura vediamo Salomone che, ancor giovane, ha saputo fare la scelta più giusta preferendo la sapienza ad ogni ricchezza e potere. Nella lettera agli Ebrei l’autore ci mostra la via per ottenere la vera sapienza: la via della Parola che non è, però, facile o scontata ma, proprio come una spada a doppio taglio, impone alle coscienze un forte impegno critico nell’operare le proprie scelte.
Infine il Vangelo propone il tema fondamentale della lotta fra la scelta sapiente della sequela di Gesù e quella mondana del denaro, del potere e della sensazione di sicurezza che ne deriva.
Perché mi chiami buono?
Messo così sembra quasi un rimprovero, ma non lo è sicuramente: Gesù è ben disposto verso quest’uomo (non un giovane, come troviamo in Matteo), dopo poco si dirà addirittura che lo amò. Gesù, in realtà, vuole qui sottolineare l’importanza assoluta dell’incontro con Lui: perché se Lui è buono e solo Dio è buono, incontrare Gesù equivale ad incontrare Dio, è un evento di per sé salvifico; praticamente è già una riposta esauriente agli interrogativi di quell’ uomo: cercare e trovare Gesù e seguirlo la vera ed unica via per la vita eterna.
Tu conosci i comandamenti
Sicuramente li conosce bene, anzi, come lui stesso ricorda, li ha puntualmente osservati a puntino fin dalla sua giovinezza. Ma c’è qui una stranezza abbastanza evidente: nello specificare i vari comandamenti, Gesù sembra dimenticare completamente quelli relativi i rapporti con Dio, mentre ricorda uno per uno quelli relativi i rapporti con il prossimo; ciò non è di certo casuale e non è neppure in contraddizione con quanto Egli insegnava (amore di Dio ed amore del prossimo sono speculari, uno rivela l’alto, ed entrambe sono irrinunciabili), ma doveva suonare abbastanza sorprendente agli orecchi di un pio israelita, abituato a mettere di gran lunga in prima linea quelli relativi a Dio, primo fra tutti il comandamento del Sabato, su cui tante volte Gesù dovette scontrarsi con gli ebrei più osservanti.
Gesù l’amò
Il verbo usato nel testo è “agapào”, verbo che esprime il modo di amare proprio di Dio; non si tratta di una qualsiasi simpatia o benevolenza da parte di Gesù, ma di una sua profonda reazione emotiva, tanto che possiamo proprio chiederci cosa aveva quest’uomo da suscitare un sentimento così intenso. Non certo il fatto di essere un buon osservante; al contrario, forse, proprio il fatto che, nonostante l’abitudine alla perfetta osservanza della Thorà, quel bravo Ebreo si sentisse ancora inquieto, avvertisse una spinta interiore verso qualcosa di più: forse la stessa conoscenza della legge lo aveva portato ad intuire che la legge, da sola, non è sufficiente a salvare l’uomo.
Una cosa ti manca
Gesù ha intuito a pieno lo stato psicologico del suo interlocutore; ne avverte tutta l’ansia di ricerca, l’inquietudine, l’insoddisfazione spirituale: anche per questo, forse, ne rimane compiaciuto. Una vita pienamente osservante sul piano civile ed anche religioso non basta a dare risposta alla nostra ricerca di senso, al nostro anelito alla felicità, in altre parole, al raggiungimento della vita eterna; solo affidarci completamente a Lui può darci la risposta che cerchiamo; vengono in mente le parole di S. Agostino: “Il mio cuore è inquieto, finché non riposi in Te o Signore”.
Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio
In molte pagine del vangelo troviamo che Gesù prende posizione contro la ricchezza: questo è sicuramente uno dei più duri, come possiamo evincere anche dal famoso paradosso del cammello, che non passa la cruna dell’ago. Su questo paradosso si sono dati da fare i soliti studiosi bene intenzionati, cercando di attenuare e di rendere più logica l’espressione di Gesù, sostituendo al sostantivo greco “camelòs” cammello, quello molto simile “camalòs” cavo, gomena; ma, come rileva assai a ragione don Bruno Maggioni, l’efficacia di un paradosso è tanto maggiore quanto più assurdo appare il paragone: qui verosimilmente, Gesù vuole proprio sottolineare con particolare intensità, quanto grande sia la forza sviante della ricchezza.
Non è però che Gesù se la prenda con i ricchi: sappiamo che Egli non rifuggiva dai ricchi, accettava di frequentarli; questo ricco, addirittura, lo ha amato: non sono dunque coloro che possiedono ricchezze ad essere condannati, ma è proprio l’effetto deleterio e sviante della ricchezza che viene deprecato. Quindi non solo per i ricchi, anche se per essi certamente in maggior misura, ma per chiunque, l’attaccamento al denaro, al possesso può diventare un muro insormontabile per la salvezza.
E chi mai potrà salvarsi?
Gli apostoli comprendono subito che le parole di Gesù non risparmiano nessuno, si sentono coinvolti pienamente nel dramma dell’uomo di fronte al possesso.
E’ vero che essi hanno già lasciato il lavoro e la famiglia per seguire Gesù, come Pietro sembra reclamare, un po’ bruscamente; Gesù stesso lo ammette, ed anzi, promette una ricompensa immediata ma impegnativa (“assieme a persecuzioni), oltre alla vita eterna che è proprio l’obbiettivo cui mirava quel tale che aveva interrogato Gesù. Ma, evidentemente anche essendo già alla sequela di Cristo, gli apostoli continuano ad avvertire tutta la potenza ammaliante della ricchezza e si riconoscono deboli e bisognosi di aiuto.
Allora l’unica ancora di salvezza per l’uomo è quella di vivere affidando completamente la propria vita, con tutti i beni materiali e spirituali che ci capitano, alla Benevolenza ed alla Sapienza di quel Dio, Cui tutto è possibile.
Questa lettura spesso è stata intesa come una doppia proposta di vita: una più rigorosa, riservata alle scelte di vocazione speciale ed una riservata a tutti, più concessiva, che ammette la ricchezza, a patto che si osservi la Legge.
In realtà l’invito alla sequela di Gesù è rivolto a tutti indistintamente, a prescindere dalla vocazione laica o religiosa che abbiano intrapreso e per tutti si ripropone l’eterna scelta drammatica fra Dio e mammona, per affrontare la quale tutti noi possiamo solo rivolgerci alla misericordia di Dio.
Appendice
Significato spirituale delle parole del Signore: «Vendi ciò che hai»
“Vendi ciò che hai” (Mt 19,21). Che significa? Non quello che alcuni ammettono così a prima vista, che cioè il Signore ci comandi di far getto dei beni posseduti e di rinunciare alle ricchezze; ci comanda piuttosto di bandire dall`anima i pensieri usuali sulla ricchezza, la passione morbosa verso di essa, le preoccupazioni, le spine dell`esistenza che soffocano il seme della vita. Non è infatti nulla di grande e di desiderabile l`essere privi di ricchezze ma non per lo scopo di raggiungere la vita eterna: altrimenti i miserabili che non hanno nulla, che son privi di ogni mezzo, che mendicano ogni giorno il sostentamento, gli accattoni che giacciono per le vie e che pur non conoscono Dio e la giustizia di Dio, solo perché sono tanto poveri e non sanno procacciarsi da vivere e son privi anche del minimo necessario, dovrebbero essere i più beati e amati da Dio e i soli atti a possedere la vita. Non è una novità rinunciare alle ricchezze ed elargirle ai poveri e ai mendici: molti l`han fatto, prima che il Salvatore scendesse quaggiù: alcuni per aver tempo di dedicarsi agli studi e alla sapienza morta, altri per una fama vuota ed una gloria vana: gli Anassagora, i Democrito, i Cratete.
Cos`è dunque la novità, da lui annunciata come qualcosa proprio di Dio, che solo vivifica e che non salvò gli antichi? Cos`è la rarità, cos`è la «nuova creazione», che il Figlio di Dio proclama e insegna? Non qualcosa di manifesto o che altri han già fatto egli ci prescrive, ma qualcosa d`altro, più grande, più divino e più perfetto, che da quella vien simboleggiato: liberare l`anima e la sua intima disposizione dalle passioni, e rescindere ed estirpare dalla radice ciò che è estraneo alla ragione. E` questa la scienza propria dell`uomo di fede, è questo l`insegnamento degno del Salvatore. Quegli antichi disprezzarono le cose esteriori, rinunciarono ai loro beni e li distribuirono, ma son convinto che alimentarono così le passioni dell`anima. Crebbero nella superbia, nella millanteria, nella vanagloria, e nel disprezzo degli altri uomini, come se avessero compiuto qualcosa di sovrumano. E come potrebbe il Salvatore comandare a coloro che vivranno in eterno ciò che è di danno e di rovina per la vita che egli promette? Inoltre è possibile anche questo: che uno deponga il peso dei propri possessi e tuttavia porti radicata e vivida in sé la brama e l`anelito alle ricchezze, ed è possibile anche che uno ne abbia perso l`uso, ma per la privazione e il desiderio di ciò che ha sperperato sia tormentato da una duplice sofferenza: la mancanza del necessario e il pentimento di ciò che ha fatto. E` impossibile, è impensabile, infatti, che chi manca del necessario per la vita, non abbia l`animo tutto agitato e continuamente stimolato dalla continua ricerca di una situazione migliore: in che modo e dove se la possa procurare.
Ma quanto meglio è il contrario: che uno possegga il necessario, e così non debba soffrire lui e abbia da elargire agli altri ciò che conviene. Che possibilità ci sarebbe di beneficare il prossimo, se tutti non possedessero nulla? E come si potrebbe negare che questa dottrina non sia in netto contrasto con molti altri ottimi insegnamenti del Signore? “Fatevi degli amici con il mammona di iniquità, affinché quando giungerete alla fine, vi accolgano nelle tende eterne” (Lc 16,9). “Preparatevi tesori in cielo, dove né la ruggine, né la tignola distruggono, né i ladri scavano” (Mt 6,20). E come si potrebbe dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi e accogliere i pellegrini – e a quelli che non fan ciò vien minacciato il fuoco e le tenebre esteriori -, se prima non si possedesse tutto questo? Anzi, egli stesso comanda di accoglierlo come ospite a Zaccheo e a Matteo, che pur erano ricchi e pubblicani; e non comanda loro di rinunciare alle ricchezze, ma, dopo aver suggerito il retto uso e vietato quello ingiusto, soggiunge: “Oggi si è compiuta la salvezza per questa casa, perché anch`egli è figlio di Abramo” (Lc 19,9). Loda dunque l`uso delle ricchezze, imponendo però di comunicarle agli altri: dar da bere a chi ha sete, dar del pane a chi ha fame, accogliere lo straniero e vestire l`ignudo. Ora, nessuno può compiere questi uffici senza le ricchezze; eppure il Signore ci comanda di rinunciarvi. Che altro fa dunque se non imporre di dare e non dare, di nutrire e non nutrire, di accogliere e non accogliere, di comunicare agli altri e non comunicare? Ma ciò è assolutamente contraddittorio.
Non si hanno perciò da rigettare le ricchezze che devono servire a vantaggio del prossimo; sono possessi perché la loro caratteristica è di essere possedute e son dette beni perché servono al bene, e sono state preparate da Dio per i bisogni degli uomini. Esse dunque sono presenti, sono a portata, come materia, come strumento per servire ad un buon uso a chi bene le conosce. Se ne usi con intelligenza, lo strumento è intelligente; ma se manchi di intelligenza, partecipa alla tua mancanza di intelligenza, pur non avendone colpa. Un tale strumento, dunque sono le ricchezze. Ne puoi usare con giustizia: ti sono ministre di giustizia. Qualcuno ne usa ingiustamente? Scopriamo che sono ministre di ingiustizia. La loro natura è di servire, non di comandare. Non dobbiamo dunque rimproverare loro di non avere in sé né il bene né il male e di essere fuori causa; bensì dobbiamo rimproverare chi può usarne o bene o male come gli pare, cioè la mente e il giudizio umano, che è libero in sé e padrone di usare delle cose a lui concesse. Nessuno cerchi dunque di distruggere la ricchezza, ma le passioni dell`anima, che non permettono l`uso migliore dei beni, non lasciano che l`uomo sia veramente virtuoso e capace di usare rettamente della ricchezza. L`ordine dunque di rinunciare ai nostri beni e di vendere ciò che si possiede lo si deve intendere in questo modo: è stato impartito contro le passioni dell`animo. (Clemente di Ales., Quis dives, 11-14)
Le esigenze della perfezione cristiana
Di conseguenza, dobbiamo sapere che a noi non è richiesto quel che prescrive la Legge, bensì quello che tuona alle nostre orecchie il precetto evangelico: “Se vuoi essere perfetto, va` vendi quanto possiedi, dallo ai poveri ed avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi“(Mt 19,21); e offrendo le decime dei nostri beni rimaniamo in qualche modo sotto il giogo della Legge e non siamo ancora pervenuti alla sublime perfezione del Vangelo che non si limita ad accordare a chi l`osserva i benefici della vita presente, ma elargisce anche i premi futuri. A chi osserva la Legge non è dato in cambio il regno dei cieli, ma le consolazioni di questa vita, come è scritto: “Chiunque metterà in pratica i comandamenti, vivrà” (Lv 18,5). Invece, il Signore dice ai suoi discepoli: “Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3); e inoltre: “Chiunque avrà lasciato o casa, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi per causa mia, riceverà il centuplo e avrà la vita eterna” (Lc 19,29). E non a torto. Vi è infatti meno gloria nell`astenersi da cose vietate che non nel rinunciare a cose permesse, o nel non usarne affatto in ossequio a colui che ha permesso una tale larghezza alla nostra infermità.
Perciò, se coloro che obbediscono ai precetti antichi del Signore, offrendo fedelmente le decime dei loro frutti, non possono ancora ascendere alle vette evangeliche, non è difficile rilevare la distanza che li separa da chi non arriva neppure a tanto. Come avranno parte alla grazia evangelica coloro che disdegnano di praticare precetti molto più accessibili dei precetti della Legge antica? Tale facilità dei precetti antichi è il tono imperativo del Legislatore che l`attesta. Non ha forse minacciato persino la maledizione per coloro che non li adempiono? “Maledetto“, è scritto infatti, “chi non mantiene in vigore le parole di questa legge, per metterla in pratica!” (Dt 27,26). Qui, però, è tale la sublimità e l`eccellenza dei comandamenti che vien detto soltanto: “Chi può comprendere, comprenda” (Mt 19,12).
Non poteva, invero, un tal precetto essere codificato per la generalità, né, per così dire, si poteva esigere da tutti come si trattasse di una norma, ciò che per la sua sublimità non può essere ritenuto indistintamente alla portata di tutti. E` preferibile allora rivolgere l`invito alla grazia sotto forma di consiglio; così, i più validi hanno il modo di conquistare la corona della virtù perfetta; i più piccoli, che non possono colmare “la misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13) – anche se possono sembrare ecclissati dallo splendore dei primi -, come da stelle di prima grandezza, sfuggano nondimeno alle tenebre delle maledizioni legali, né si vedano abbandonati ai mali presenti o condannati all`eterno supplizio.
Cristo dunque non costringe nessuno, con la necessità della norma, ad elevarsi alle vette sublimi della virtù; provoca invece la nostra libera scelta, ci eccita con la bontà del consiglio, ci infiamma con il desiderio della perfezione. Dove c`è il precetto, infatti, c`è del pari la necessità, e di conseguenza la sanzione. E poi, coloro che osservano solo quel minimo al quale lì costringe la severità di una legge categorica, evitano di incorrere nella pena prevista dalla sanzione, ma non guadagnano alcuna ricompensa.
E` così che il Vangelo sa innalzare i forti verso ciò che vi è di più grande e sublime, senza permettere tuttavia che i deboli precipitino nell`abisso della miseria. Ai perfetti, esso procura la piena beatitudine, mentre accorda il perdono a coloro che si lasciano vincere dalla propria fragilità…
Però, non è solo chi si rifiuta di adempiere il precetto della Legge che va visto come ancora soggetto alla Legge, ma anche colui che, soddisfatto di osservare ciò che essa prescrive, non porta frutti degni della vocazione e della grazia cristiane. Infatti, Cristo non ci dice: “Tu offrirai le decime e le primizie dei tuoi beni al Signore tuo Dio” (Es 22,29), bensì: “Va`, vendi quanto possiedi, dallo ai poveri ed avrai un tesoro in cielo, poi, vieni e seguimi“, dove la magnificenza della perfezione appare tale che, al discepolo che lo interroga (Gesú) non concede neppure il breve spazio di tempo per la sepoltura del padre, subordinandosi il dovere della umana carità alla virtù dell`amore divino. (Giovanni Cassiano, Collationes, 21, 5, 1-3; 6, 1; 7, 2)
L’insegnamento della Legge
La legge aveva insegnato agli uomini la necessità di seguire Cristo. Lo mostrò chiaramente Cristo stesso al giovane che gli chiese cosa avrebbe dovuto fare per ereditare la vita eterna. Gli rispose infatti: “Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti“. Quegli chiese: “Quali?“, e il Signore soggiunse: “Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza; onora il padre e la madre, e ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 19,17ss). Proponeva così a tutti coloro che volevano seguirlo i comandamenti della legge come gradini di entrata alla vita: quello che diceva a uno, lo diceva a tutti. Il giovane rispose: “Ho fatto tutto ciò” – e forse non lo aveva fatto, che altrimenti non gli sarebbe stato detto: osserva i comandamenti -; allora il Signore, rinfacciandogli la sua cupidigia, gli disse: “Se vuoi essere perfetto, va`, vendi tutto ciò che hai, dividilo tra i poveri, poi vieni e seguimi” (ib.). Con queste parole prometteva l`eredità degli apostoli a chi avesse fatto così, non annunciava certo a coloro che lo avessero seguito un altro padre, diverso da quello che era stato annunciato fin dall`inizio della legge, e neppure un altro figlio; ma insegnava a osservare i comandamenti imposti da Dio all`inizio, a liberarsi dall`antica cupidigia con le buone opere e a seguire Cristo. Che poi la distribuzione dei propri beni ai poveri liberi davvero dalla cupidigia, lo ha mostrato Zaccheo dicendo: “Ecco, do la metà dei miei beni ai poveri; se poi ho frodato qualcuno, gli rendo il quadruplo” (Lc 19,8). (Ireneo di Lione, Adv. haer., IV, 12, 5)
Cari fratelli e sorelle!
Il Vangelo di questa domenica (Mc 10,17-30) ha come tema principale quello della ricchezza. Gesù insegna che per un ricco è molto difficile entrare nel Regno di Dio, ma non impossibile; infatti, Dio può conquistare il cuore di una persona che possiede molti beni e spingerla alla solidarietà e alla condivisione con chi è bisognoso, con i poveri, ad entrare cioè nella logica del dono. In questo modo essa si pone sulla via di Gesù Cristo, il quale – come scrive l’apostolo Paolo – «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9).
Come spesso avviene nei Vangeli, tutto prende spunto da un incontro: quello di Gesù con un tale che «possedeva molti beni» (Mc10,22). Costui era una persona che fin dalla sua giovinezza osservava fedelmente tutti i comandamenti della Legge di Dio, ma non aveva ancora trovato la vera felicità; e per questo domanda a Gesù come fare per «avere in eredità la vita eterna» (v. 17). Da una parte egli è attratto, come tutti, dalla pienezza della vita; dall’altra, essendo abituato a contare sulle proprie ricchezze, pensa che anche la vita eterna si possa in qualche modo «acquistare», magari osservando un comandamento speciale. Gesù coglie il desiderio profondo che c’è in quella persona, e – annota l’evangelista – fissa su di lui uno sguardo pieno d’amore: lo sguardo di Dio (cfr v. 21). Ma Gesù capisce anche qual è il punto debole di quell’uomo: è proprio il suo attaccamento ai suoi molti beni; e perciò gli propone di dare tutto ai poveri, così che il suo tesoro – e quindi il suo cuore – non sia più sulla terra, ma in cielo, e aggiunge: «Vieni! Seguimi!» (v. 22). Quel tale, però, invece di accogliere con gioia l’invito di Gesù, se ne va via rattristato (cfr v. 23), perché non riesce a distaccarsi dalle sue ricchezze, che non potranno mai dargli la felicità e la vita eterna.
E’ a questo punto che Gesù dà ai discepoli – e anche a noi oggi – il suo insegnamento: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!» (v. 23). A queste parole, i discepoli rimasero sconcertati; e ancora di più dopo che Gesù ebbe aggiunto: «E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Ma, vedendoli attoniti, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio» (cfr vv. 24-27). Così commenta San Clemente di Alessandria: «La parabola insegni ai ricchi che non devono trascurare la loro salvezza come se fossero già condannati, né devono buttare a mare la ricchezza né condannarla come insidiosa e ostile alla vita, ma devono imparare in quale modo usare la ricchezza e procurarsi la vita» (Quale ricco si salverà? 27, 1-2). La storia della Chiesa è piena di esempi di persone ricche, che hanno usato i propri beni in modo evangelico, raggiungendo anche la santità. Pensiamo solo a san Francesco, a santa Elisabetta d’Ungheria o a san Carlo Borromeo. La Vergine Maria, Sede della Sapienza, ci aiuti ad accogliere con gioia l’invito di Gesù, per entrare nella pienezza della vita. (Papa Benedetto XVI, Angelus del 14 ottobre 2012)
Fonte: Figlie della Chiesa
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 14 Ottobre 2018 anche qui.
- Colore liturgico: Verde
- Sap 7, 7-11; Sal. 89; Eb 4, 12-13; Mc 10, 17-30
Vendi quello che hai e seguimi.
Mc 10, 17-30
Dal Vangelo secondo Marco
17Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». 20Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». 22Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
23Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». 24I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 25È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». 26Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». 27Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
28Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». 29Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, 30che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 14 – 20 Ottobre 2018
- Tempo Ordinario XXVIII
- Colore Verde
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 4
Fonte: LaSacraBibbia.net
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