Ventottesima domenica durante l’anno
Sap 7,7-11 / Eb 4,12-13 / Mc 10,17-30 Soldi
Corre, il giovane ricco, come se avesse una malattia.
Corre per sapere come vivere nella logica di Dio.
È anche corretto e onesto nel suo porsi: sa che la salvezza non si “merita” ma si riceve in eredità se la si desidera con cuore puro. Teologicamente impeccabile.
Gesù lo accoglie con simpatia, gli chiede, con semplicità, di osservare i comandamenti.
Ignora i primi, quelli rivolti a Dio, si concentra su quelli rivolti all’uomo: solo nel servizio all’uomo facciamo piacere al Dio che lo ha creato.
Il ricco risponde di averli sempre osservati, fin dalla più tenera età.
Forse ha ragione, forse millanta, va bene lo stesso.
Gesù lo ama, fissandolo.
Uno sguardo di bene, uno sguardo che vede il positivo, anche se il ricco esagera.
Gesù ha sempre e per sempre uno sguardo positivo su di me, anche quando faccio finta di non vedere le ombre del mio cuore.
Ama e chiede.
Chiede perché ama. Osa: lascia tutte le tue ricchezze.
Fine del bel momento mistico.
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Ricchezza
Marco pone a metà del suo vangelo le cose più impegnative: la pagina sul matrimonio, quella sulla ricchezza. Bisogna conoscere Cristo prima di potere vivere le sue esigenze urticanti, sentirsi amati prima di poter osare.
Gesù non chiede al ricco di gettare il denaro, ma di condividerlo.
Di entrare nella logica di chi si sente fratello, di chi sa che la ricchezza è dono di Dio, ma la povertà è colpa del ricco.
Non se la sente, il giovane ricco. Resterà ricco, ma triste.
Non usa la sapienza invocata nella prima lettura. Non accoglie la spada della Parola che trancia descritta dalla lettera agli ebrei.
Il suo problema non è la ricchezza, ma l’egoismo. Lo capiscono bene i discepoli che ricchi non sono ma che si sentono a disagio per questa Parola. La ricchezza non è questione di portafoglio ma di cuore.
Gesù insiste: una logica così gretta, “ricca”, impedisce di entrare nella logica di Dio. Anche la famiglia (!) può diventare un possesso, anche gli affetti. Perciò bisogna lasciare tutto, Dio restituisce nella maniera corretta.
L’originale
Gesù non condanna tout court la ricchezza, né esalta la povertà.
Lo dico perché spesso noi cattolici scivoliamo nel moralismo criticando i soldi (degli altri) e invitando a generosità (sempre gli altri). Gesù ama il giovane ricco, lo guarda con tenerezza, vede in lui una grande forza e la possibilità di crescere nella fede. Gli chiede di liberarsi di tutto per avere di più, di fare il miglior investimento della sua vita.
Gesù frequenta persone ricche e persone povere, è libero.
Ma ammonisce noi, suoi discepoli: la ricchezza è pericolosa perché promette ciò che non può in alcun modo mantenere.
Dunque, dice Gesù, la ricchezza può ingannare, può far fallire miseramente una vita, la pienezza è altrove, non nella fugace emozione di avere realizzato il sogno di possedere il giocattolo prezioso cui anelo. Ma la povertà non è auspicabile, la miseria non avvicina a Dio ma precipita nella disperazione.
Perciò il Signore ci chiede di avere un cuore libero e solidale: la povertà è scelta dai discepoli perché ci è insopportabile vedere un fratello nella miseria, tutto lì.
Diversi
Ancora una volta il Signore ci chiede di essere diversi, il “fra voi non sia così” che è caratterizzato, in questo caso, dalla scelta della condivisione e della essenzialità, del soccorrere le povertà e accontentarsi mantenendosi nell’essenzialità, senza finire nella spirale della cupidigia.
Soprattutto in questi tempi di delirio.
I fatti di cronaca delle ultime settimane, le spese folli e offensive di chi usa il denaro pubblico per proprio tornaconto, di chi, piccino, usa la politica in maniera orribile, ci richiamano al principio dell’onestà e della solidarietà
Dio si schiera dalla parte degli ultimi, dei licenziati, dei poveri.
Noi, anche nel piccolo, siamo chiamati ad essere trasparenti e corretti, nel piccolo come nel grande.
Onestà, elemosina, condivisione, dono, sono ancora i protagonisti di una sana vita da discepolo, senza affannarsi dell’accumulo ma coscienziosamente affidandosi a quel Dio che veste splendidamente l’erba del campo.
E questa logica deve permeare anche i rapporti nelle comunità, i soldi delle comunità che servono all’annuncio del vangelo senza fumosità, senza ambiguità. Se facciamo parte di una comunità manteniamola anche economicamente, chiediamo e offriamo trasparenza, orientiamo le nostre scelte a servizio dell’annuncio.
Che tra noi, nelle nostre chiese, nelle nostre scelte, prevalga sempre la generosità e la fiducia nella Provvidenza al calcolo che appanna la libertà che dobbiamo tenere nei confronti del possesso.
Facciamoci dono, facciamo della nostra vita un dono e avremo – stupore – cento volte tanto, come sperimenta Pietro.