La celebrazione odierna inizia con un rito che ci fa rivivere la gioia dei discepoli di Gesù, quando egli, concludendo il lungo viaggio verso Gerusalemme, arrivò nei pressi della città sul Monte degli Ulivi! In quel luogo i pellegrini esultavano cantando i Salmi detti ‘graduali’. In questa occasione la gioia è molto più grande, perché il Re stesso arriva alla città: “Benedetto colui che viene, il Re, nel nome del Signore”! Gesù permette ai suoi di chiamarlo così, e li lascia gioire, pur sapendo che non comprendono appieno la sua regalità. Essa tuttavia è vera, è la più vera. In lui si realizza pienamente il significato del termine “re”, come rappresentante dell’autorità di Dio per il popolo. Per aiutarli però a non farsi false illusioni, manda a prendere un puledro d’asina: così tutti possono ricordare la profezia di Zaccaria, che annuncia il Re mite ed umile, re che viene ad offrirsi, non ad imporsi, ad amare e non a comandare.
I farisei, che non accettano le espressioni gioiose dei discepoli, col loro rifiuto profetizzano tutto il resto. Il loro rifiuto anticipa quello che Gesù vivrà nella città. Noi comprenderemo anche altre profezie che presentano il Servo di Dio come uno che dagli uomini riceve non gloria, ma persecuzione e rifiuto. Già alla prima lettura della Messa infatti sembra finita tutta la gioia della nostra processione.
Isaia ci parla di uno che obbedisce a Dio in mezzo a torture impressionanti: è il Servo di Dio, colui che deve portare tra di noi la gloria di Dio! Questa lettura potrebbe darci un senso di smarrimento, come pure il canto del salmo. Come mai l’uomo, scelto per rappresentarci Dio, soffre così, e soffre a causa degli uomini che egli vuole amare? Come mai viene riversato sull’uomo di Dio tanto odio e tanta brutalità?
San Paolo ci aiuta a leggere diversamente i fatti: è lo stesso Gesù, Figlio di Dio, che vuole mettersi vicino a noi. Per farlo egli non trova altro modo che porsi al di sotto di noi, entrando in quella sofferenza e in quella morte che tengono noi schiavi della paura. Ciò gli costa umiliazione, l’umiliazione della croce, terribile supplizio, manifestazione di diabolica cattiveria di chi lo decreta. Dio Padre non impedisce al Figlio di avere un amore solidale verso l’umanità che soffre. Egli lo premia, esaltandolo. L’esaltazione da parte del Padre viene poi assecondata da tutti i suoi figli: chi conosce Dio e lo ama, piega il ginocchio davanti a Gesù, lo riconosce Signore della propria vita e testimone dell’amore del Padre stesso.
Con questa chiave di lettura ascoltiamo il racconto della Passione del Signore, che i discepoli fedeli hanno vissuto e meditato a lungo per comprenderne l’amore sconfinato. Il racconto inizia con la confidenza di Gesù ai discepoli riguardo alla cena pasquale, tanto attesa.
Egli sa che essa è l’ultimo momento in cui può parlare con loro, e diventa il momento più importante della loro vita. Tutta la Chiesa vivrà fondata su questo momento, che darà luce per comprendere e accettare anche le terribili ore seguenti, che vedranno Gesù bagnato di sangue nell’orto degli ulivi, consegnato da un suo discepolo alle autorità religiose, calunniato e accusato da queste, condannato da quelle civili, morente tra atroci dolori, aggravati dal disprezzo generale.
Il Signore prende in mano il pane azzimo, quello della festa del popolo per la libertà dalla schiavitù. Egli sa che gli uomini debbono temere un’altra schiavitù, ben più infelice e più nascosta. Chi li può liberare da essa? Lo farà egli stesso, offrendosi a passare in quella morte che li tiene prigionieri della paura e quindi li rende egoisti: con il suo amore vincerà il potere della morte!
Il pane che ora sta per spezzare continuerà ad essere spezzato dalle mani dei discepoli nei secoli futuri, e porterà nella vita degli uomini lo stesso amore che ora a lui fa attendere la croce. Il calice, che nel rito pasquale rende gioiosi per l’alleanza di Dio con il popolo d’Israele, ora diventa il calice di una nuova Alleanza che sta per avvenire: il sangue di Gesù sarà versato come sacrificio per i nostri peccati. Bevendolo e divenendo così un tutt’uno con il Figlio, veniamo assicurati dell’amore del Padre, che ci ama come veri figli.
Mangiando il pane e bevendo il vino ci offriamo ad essere noi stessi corpo e sangue del Figlio di Dio, a portare cioè anche noi l’amore del Padre al mondo. Mangiando e bevendo il corpo e il sangue di Cristo Gesù veniamo divinizzati, e anche nutriti in modo che la vita nuova, iniziata nel battesimo, continui a crescere e si manifesti agli altri uomini che attendono la novità di un amore santo, misericordioso, libero ed eterno!
A cura della Casa di Preghiera S.Maria Assunta – Tavodo -Via della Pieve, 3 – 38078 SAN LORENZO DORSINO – TN