La toccante celebrazione della Domenica delle Palme ci introduce nei riti della Settimana Santa, il cuore e centro di tutto l’anno liturgico. In questa domenica, accanto alla gioia del popolo che acclama, nella solenne processione con le palme e gli ulivi, si colgono anche le tinte fosche della Passione e Morte del Signore. Ci viene presentata la verità del mistero pasquale: il paradosso della morte in Croce, da cui scaturisce la vita nuova.
Di fronte a questo mistero, per noi sorge la domanda: io dove mi colloco? Cuore della liturgia di questa domenica è la Passione secondo Luca, colui che meglio degli altri, sa presentarci la mitezza di Gesù, la sua misericordia senza limiti – e ricordiamo le parabole presenti nel suo Vangelo! – specialmente nel momento drammatico del dono che Gesù fa di sè per l’umanità. Il paradosso della Passione tocca i personaggi in essa presenti. Il primo di essi è Pilato: uomo ambiguo nella narrazione della Passione.
Egli è convinto dell’innocenza di Gesù e lo ribadisce per ben tre volte. Tuttavia lo condanna a morte, abbandonandolo alla volontà del popolo. L’atteggiamento di Pilato non si spiega in sé stesso, ma rimanda ad altri due paradossi: da una parte quello di Erode Antipa, che desiderava da sempre incontrare Gesù, considerandolo quasi un “fenomeno da baraccone”. Nel momento dell’incontro, però, il Maestro non lo degna di una parola. Questi, allora, non emette alcuna sentenza, né per assolvere né per condannare Gesù.
Ma, proprio in questo modo, inconsapevolmente, si trova a rendere una testimonianza favorevole a Gesù. Senza saperlo e senza volerlo, Erode Antipa fa la parte di un testimone che difende l’imputato Gesù, rimandandolo con disprezzo a Pilato. Dall’altra parte resta centrale anche il ruolo del popolo: c’è una profonda antitesi tra la precedente accoglienza trionfale di Gesù, da un lato, e la richiesta della crocifissione, dall’altro. Il popolo esige con forza che Pilato metta in libertà un malfattore e punisca un benefattore.
Un innocente prende il posto di un iniquo. Nel momento in cui le tenebre scendono sul Calvario, Luca torna a menzionare il popolo nella scena della croce, che stava a guardare (cfr. Lc 23,35) e più avanti, le folle vengono descritte mentre si allontanavano percuotendosi il petto, ripensando a quanto accaduto (cfr. Lc 23, 48). Luca, insomma, constata questo evento salvifico, che ha dello straordinario: qualche ora prima, il popolo urlava a Pilato di crocifiggere Gesù.
Popolo, sommi sacerdoti ed autorità facevano un tutt’uno; quasi un muro di rifiuto innalzato contro Gesù, trattato come un malfattore. Sotto la croce, invece, lo spettacolo della morte ingiusta di Gesù innocente opera conversioni. Il messaggio che emerge è chiaro: chi contempla la croce, anche se inizialmente può essere avversario di Cristo, poi ne resta inesorabilmente salvato! Infine, altra figura degna di nota è quella del buon ladrone: egli intuisce il paradosso di un innocente che sta in croce accanto a lui e rimprovera l’altro che si rivolgeva a Gesù con disprezzo. Attraverso un malfattore, Luca proclama che Gesù non è un malfattore. Ma è precisamente l’interrogativo, pieno di stupore, che nasce in questo malfattore dalla constatazione del paradosso della situazione di Gesù, a salvarlo: «[…]‘Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!’ […] ‘In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso’» (vv. 42-43).
Dove ci collochiamo noi, di fronte al paradosso della Passione? Emerge un dato essenziale: non ci sono ruoli fissi nel dramma della Passione. Chi non si lascia stupire: Pilato, Erode e il ladrone “cattivo”, non accoglie la potenza della Croce; chi invece come il popolo o come il “buon ladrone”, si lascia stupire dal paradosso – e riesce a condividere l’atteggiamento di Cristo, che resta in croce accanto a noi fino alla fine dei tempi; chi, insomma, vive nella fiducia incondizionata del “Dio dei paradossi”, trova una via d’uscita: il paradiso, cioè la comunione piena con Lui, frutto maturo della sua Risurrezione.
Fonte – il blog di don Luciano