Il commento al Vangelo della domenica a cura di don Mauro Pozzi parroco della Parrocchia S. Giovanni Battista, Novara.
FIGLI DI ABRAMO
Leggendo la Genesi, il primo libro della Bibbia, vediamo che la storia della salvezza è iniziata non appena l’uomo ha commesso il peccato originale. Dio rivolgendosi al serpente (Gen 3,15) gli promette che la stirpe della donna gli schiaccerà la testa. È il cosiddetto protovangelo, cioè la prima buona notizia, il primo velato annuncio della salvezza. Tuttavia l’uomo non migliora affatto, anzi il peccato lentamente lo intacca come un virus e dal primo omicidio operato da Caino la perversione umana conduce al diluvio e successivamente, nell’episodio della torre di Babele, alla divisione in popoli e lingue diversi. Da quel momento Dio, che si rapportava con tutti gli uomini, cambia strategia e decide di costruirsi un popolo suo, tramite cui far maturare il suo disegno di salvezza. La chiamata di Abramo segna l’inizio del popolo ebraico, il popolo dell’alleanza. Anche se gli Ebrei hanno il privilegio di essere i primi, San Paolo infatti li chiama i fratelli maggiori, l’obiettivo della salvezza è il mondo intero. Come abbiamo letto nel profeta Isaia, gli stranieri e quanti osservano la legge, cioè fanno la volontà di Dio, sono destinati a essere accolti in paradiso, il monte santo. Gesù, il Messia, nasce ebreo tra gli ebrei e rivolge innanzi tutto a loro il suo vangelo. In tutta la sua vita non predica mai fuori dai confini di Israele e i suoi discepoli li invia innanzitutto ad annunciare il Regno agli israeliti. Sarà il rifiuto di questi e la persecuzione verso i primi giudeo-cristiani a spingere gli Apostoli a predicare ai pagani. Prima di allora gli stranieri erano considerati cani e il peccato più grande che si poteva fare era sposare un non ebreo. Gli ebrei esistono ancora oggi proprio perché non si assimilano, cioè non si sposano se non tra loro. Gesù porta un messaggio rivoluzionario, afferma il primato dell’uomo sulla legge e cerca di far capire ai suoi che i tempi sono cambiati, che è ora di essere figli di Abramo perché si imita la sua fede e non solo perché si è suoi discendenti. Non vuole però fare un salto troppo grande e cerca di far capire loro queste cose dolcemente. La donna cananea gli offre un’ottima occasione. La ignora in modo plateale, tanto che sono gli stessi discepoli a pregarlo di esaudirla, la tratta con durezza paragonandola a un cagnolino, ma in questo modo prova la sua fede. La risposta di questa madre lo entusiasma e desta la sua ammirazione. Il messaggio per i suoi discepoli, e quindi per noi, è chiaro: è la fede che ci rende figli e non cagnolini. La salvezza non è solo per gli ebrei o solo per i cristiani, ma è per tutti coloro che hanno fede in Dio. È solo la fede che ci rende figli di Abramo.