Commento al Vangelo del 13 settembre 2015 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 13 settembre 2015 a cura di Paolo Curtaz per la XXIV domenica del tempo ordinario.

Al centro

Estate calda e faticosa, con le immagini dei trecentomila disperati che da gennaio sono arrivati in Europa, la metà dei quali per fuggire da guerre crudeli e disumane (ma esiste una guerra che non sia tale?).

Ora si torna alle cose di sempre: in settimana si aprono le scuole e questo appuntamento segna definitivamente la fine delle vacanze e l’inizio delle attività, anche pastorali, anche spirituali. Spero per me e per voi che non abbiate mandato la fede in vacanza! Ma che il Signore sia venuto con voi per riposarvi e riprendervi spazio interiore.

Perché senza questo spazio, senza aprire il cuore all’essenziale, senza dare tempo all’anima, rischiamo sul serio di perderci, di essere travolti dalla paura del futuro e dall’angoscia del presente.

Per questa ragione, immagino, con tempismo perfetto, ogni anno, la liturgia ci propone lo stesso Vangelo: quello della domanda più inquietante mai posta da un uomo.

[ads2] Cesarea di Filippo

Ci sono stato, come pellegrino. È uno splendido sito archeologico che non ti immagini, ai piedi delle montagne da cui nasce il Giordano, a Banias. Fino a qualche anno fa era zona di confine col Libano, pericolosa per i turisti.

In mezzo al verde e all’acqua è più semplice immaginare la scena.

Il gruppo dei discepoli segue Gesù da tempo, si sono posti mille volte, fra di loro, domande riguardo alla sua persona, al suo ministero. Ma, col passare dei mesi, l’entusiasmo ha lasciato spazio a molti dubbi. Chi è davvero quest’uomo? Un profeta? Certo, sì. Un rabbino? Anche. Ma?

E lì, a Cesarea, Gesù prende l’iniziativa.

La gente chi dice che io sia?

Si parla molto di Gesù, ieri come oggi.

Sui giornali, nei dibattiti, tra amici, Gesù è un mistero irrisolto, inquietante, difficile da decifrare.

Le risposte le conosciamo: un grand’uomo, un uomo mite, un messaggero di pace, uno dei tanti uccisi dal potere. E basta.

Ciò che la Chiesa ha fatto di lui, divinizzandolo, è un’altra storia.

Non c’è coerenza fra il Gesù autentico e quello raccontato dalla Chiesa.

E tu?

Gesù non ci sta ad essere ridotto ad argomento da salotto e, a bruciapelo, pone oggi a ciascuno di noi la domanda: Voi chi dite che io sia?.

Già. E per me? Per me solo, dentro, senza l’assillo di dare risposte sensate o alla moda, senza la facciata e l’immagine da tenere in piedi?

A me, nudo dentro, vero, autentico, io, Gesù che dice? Quante risposte!

Gesù diventa una speranza, una nostalgia, una tenerezza, la tenerezza del sogno dell’’uomo che vorrebbe credere in un Dio vicino, che condivide, che partecipa. Oppure, attenti al rischio catechismo, abbiamo la risposta confezionata: “Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio”.

Affermazione “corretta”, ma così lontana dal cuore!

La folla lo aveva riconosciuto il Messia. Così i discepoli, così gli apostoli, così la comunità di Roma a cui Marco indirizza il suo Vangelo.

Ma, in realtà?

Simone e Cristo

Simone osa, si lancia: tu sei il Messia.

Risposta forte, esagerata, ardita: in nessun modo Gesù assomiglia al messia che la gente si aspetta, così comune, dimesso, arrendevole, misericordioso. Nulla.

L’atto di fede di Simone è grandioso. Gesù il falegname è il Cristo di Dio,

Ma Gesù subito presenta ciò che, per lui, significa essere Cristo: donarsi fino alla morte.

Gesù è venuto per svelare il volto del Padre e andrà fino in fondo, a costo di lasciarci le penne.

E qui si resta sgomenti, attoniti, scandalizzati.

Pietro lo prende da parte, dice di non scoraggiare il morale delle truppe. Insegna a Dio come si fa a fare Dio.

La risposta di Gesù è durissima: deve andarsene, convertirsi, sta ragionando da Satana, non secondo la logica di Dio ma del mondo.

Per capire chi è il Cristo, bisogna essere disposti ad amare fino a morirne.

Croce

Non dite che Gesù è Cristo se prima non siete saliti con Lui sulla croce.

Non osate fare questa affermazione se prima non avete assaporato l’esagerazione e la sofferenza del dono, se prima la vostra vita non è stata arata e scavata dal solco della croce, amici, se prima non avete amato fino a star male, se il vostro cuore non è stato convertito dal dono della compassione. Questa croce che diventa misura del dono, giudizio sul mondo, unità di misura del nuovo sistema di amare il fratello.

Anche Pietro e gli altri dovranno passare per il Golgota prima di entrare definitivamente nella dinamica del Regno. Isaia intuisce e profetizza questa nuova prospettiva di un Messia sofferente e Giacomo ci ricorda che la nostra fede non si ferma alle Parola ma diventa Gesto e che solo così testimoniamo di avere incontrato il Cristo Signore.

Iniziamo così il nostro anno pastorale, il rientro all’attività autunnale: mettendo al centro Gesù, il nostro Signore.

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