Commento al Vangelo del 13 settembre 2015 – mons. Angelo Sceppacerca

Il commento di mons. Angelo Sceppacerca al Vangello della XXIV domenica del Tempo ordinario, domenica 13 settembre 2015.

E’ la svolta. I discepoli, finalmente, riconoscono Gesù come il Salvatore. Ben presto capiranno che è il Messia sofferente. L’evangelista Marco unisce strettamente la confessione di Pietro e il presentimento della passione; fin dall’inizio c’è la domanda su chi è Gesù. Qui, a Cesarea di Filippo, è data con trasparenza la risposta: Gesù è il Figlio dell’uomo incamminato verso la croce. E da qui in avanti la croce sarà il solo tema.

[ads2] Cosa dicono gli uomini di Gesù? Più importante è cosa dicono i suoi, quelli che hanno ricevuto la confidenza del Regno di Dio. La professione di Pietro – Tu sei il Cristo – è la prima voce umana che riconosce e proclama Gesù come il liberatore atteso. Non è ancora la fede nella sua divinità. Forse è questo il motivo della proibizione di Gesù di non parlarne a nessuno prima che venga compresa la croce, la sofferenza, il rifiuto. Lo stesso avvertimento lo darà dopo la Trasfigurazione e durante l’ultima salita a Gerusalemme.

Gesù sa di andare incontro ad una morte violenta, ma sa che la sua morte porta salvezza e rientra nel disegno d’amore del Padre, non è l’esito dei rifiuti e delle opposizioni degli uomini. Come più si avvicina la passione, così si rafforza anche l’annuncio della Risurrezione. Questa è la riuscita finale, non la morte. Il destino è la salvezza, ma questa passa attraverso la croce. A questa luminosità fa da contrasto l’opacità dell’incomprensione dei discepoli ad ogni predizione della passione; così è di Pietro, poi di quelli che discutono su chi sia il più grande, fino a quella di Giovanni e Giacomo che competono per il primo posto. Gesù è solo. Né le folle, né i discepoli lo capiscono.

Tocca a Gesù spiegare in che senso è il Cristo, l’Unto di Dio, il Messia. La sostanza è capire che egli deve soffrire e morire. Il Figlio dell’uomo più che il glorioso giudice escatologico richiama la figura del Servo sofferente. Più che il rimprovero – non solo a Pietro, ma anche agli altri – contano le istruzioni per i discepoli: rinnegare se stessi sta ad indicare una vita vissuta in termini di donazione, non di possesso.

Mons. Angelo Sceppacerca

XXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Mc 8, 27-35
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 13 – 19 Settembre 2015
  • Tempo Ordinario XXIV, Colore verde
  • Lezionario: Ciclo B | Anno I, Salterio: sett. 4

Fonte: LaSacraBibbia.net

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