Fratelli, sorelle,
oggi celebriamo l’amore di Dio che si manifesta (Battesimo del Signore, 13 gennaio 2019). C’è anzitutto lo Spirito Santo che librandosi nel cielo come una colomba, avvolge Gesù presso le acque del Giordano, mentre il Padre pronuncia parole di riconoscimento, di affetto e di compiacimento: “Tu sei mio Figlio, l’amato”. Come fosse questo il senso del sacramento del Battesimo che tutti abbiamo ricevuto: sentirsi riconosciuti figli nel Figlio di Dio per sempre. Amati e prediletti da Dio, come Gesù.
Figli nel Figlio
Stando al Vangelo di Luca anzitutto c’è un popolo che aspetta: “poiché il popolo era in attesa”. Per un verso la gente si domandava se Giovanni il Battista fosse davvero lui il Messia che stava per venire; per un altro la sua stessa predicazione segnalava Qualcuno che sarebbe venuto dopo di lui. Creando un’attesa più profonda, una speranza più grande. Avvertendo la presenza di un mistero divino che già si andava dispiegando. Solo Maria, la Madre di Gesù, l’aveva potuto intendere dall’Angelo dell’Annunciazione, quando entrando da lei, le aveva parlato dicendo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra (…). E colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35). Maria in quel momento aveva potuto gustare la gioia che solo una madre sa percepire nell’atto del concepimento. Riassaporando parole certe, molto più intense di un convincimento: porto in grembo un figlio; in me abita il Figlio di Dio! Perché non pensare che proprio così agisce Dio, appena un bimbo viene concepito. Uomo o donna che sia, per Dio proprio quell’esserino è già suo figlio. Come fosse iscritto in quel grumo di carne il marchio indelebile che ne sancisce l’appartenenza divina primordiale. Quando una vita inizia, così com’è stato per Maria, non ci sono più mediazioni nei confronti del mistero di Dio. Davanti ti sta un mistero che semplicemente chiede un assenso. E altro non resta che rimanere dentro il Suo sguardo, affidati alla Sua Parola, come dice il salmo: “Egli mi ha detto: “Tu sei mio figlio, oggi io ti ho generato’” (2,7).
Cominciando a capire
Ma a questa prima affermazione della nostra figliolanza divina, che pure precede il nostro assenso, succedono giorni nei quali Dio torna ancora a ribadire con chiarezza: “Tu sei mio Figlio, l’amato”. Sono propriamente i giorni della consapevolezza. Giorni anche di prova e di domanda: sia da parte del figlio Gesù, come anche per conto dei Suoi genitori. L’episodio – che solo l’evangelista Luca ricorda – di Gesù dodicenne ritrovato in capo a tre giorni dai genitori Suoi nel tempio, ce lo attesta con grande evidenza. Ricordiamo il passaggio centrale, quando i Suoi genitori “al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: ‘Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo’. Ed egli rispose: ‘Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?’” (Lc 2,48-50). Essi non comprendono le Sue parole, mentre Gesù sta dicendo loro una convinzione profonda e ormai acquisita: sono il Figlio di Dio e devo riferirMi anzitutto a lui! Compiere la sua volontà! Un po’ come avviene a quei genitori quando s’accorgono che quel loro figlio non è più un bambino! Anzi, si trova ormai sulla soglia del compimento, della realizzazione della sua vocazione. Dunque: che ne sarà di lui? Dove sta andando? Si domandano ancora, mentre hanno davanti un giovane uomo, forte anzitutto delle sue certezze, dei suoi sogni e delle sue speranze. Da una parte una paternità e una maternità che si affina; dall’altra una figliolanza che sta giò per partire. E intanto ancora una volta c’è la voce di Dio che ti dice dentro: “Tu sei mio figlio l’amato”.
“E venne una voce dal cielo”
Ma arrivano altri giorni. Oltre quelli della gioia di Maria che si porta in grembo un figlio così unico e particolare. Oltre i giorni nei quali anche Gesù come figlio dell’uomo impara ad essere Figlio di Dio. Vengono ancora giorni nei quali la maturità di un uomo, la stessa maturità di Gesù, si misura non per gli anni che passano, ma in forza di quella voce di Dio che, prorompendo dal suo cuore, diventa udibile, pubblica. Tanto che tutti la possono sentire: “e venne una voce dal cielo: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento’”. Voce che mentre proclama che Gesù di Nazaret è proprio Suo Figlio è come se anche dicesse: Ti riconosco come mio Figlio perché hai avuto il coraggio di essere semplicemente uomo, figlio dell’uomo. Soprattutto mettendoTi in fila con tutti i peccatori che ancora aspettano d’essere battezzati da Giovanni. Sei pienamente figlio di Dio perché Ti sei fattoi carico di questa umanità. CaricandoTi delle attese e delle speranze degli uomini. Del loro desiderio di salvezza. Senza temere il loro peccato e tutte le loro miserie. Appassionato di poter regalare misericordia e di perdono. Ed essere riconosciuto da Dio come Suo Figlio per Gesù non ha comportato alcuna distinzione, ma una condivisione, una immersione nell’umano senza sconti. Così, sopra questo battesimo spettacolare anche i cieli di Dio si sono spalancati. Cos ancora ci resta una domanda: quando di fatto diciamo a qualcuno: tu sei mio figlio? Quando ha fatto la sua carriera o quando lo vediamo capace di incamminarsi ancora per i sentieri della solidarietà e della condivisione?
don Walter Magni
“Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali, ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Ci sono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolvere, forchette e cucchiai d’argento, invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me, non mi prenderanno. Dimenticando che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia”
(Etty Hillesum, Diario, 12 luglio 1942)
“Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro (…) Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”. Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”.
Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima. Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia”
(Dietrich Bonhoeffer, Riconoscere Dio al centro della vita)
Il dono custodisce un volto, al dono hai legato un volto, il volto dell’altro. E quindi, a ben vedere, il vero dono non è la cosa, ma l’altro, il vero dono della nostra vita sono le persone.
L’aver dimenticato questo per una sorta di ubriacatura del manufatto, della cosa in sé, ci ha portato a inseguire la grandezza delle cose da donare: dobbiamo stupire con le cose. Più grandi sono, più grande ci sembra essere il dono. Copriamo i bambini di doni per coprire le nostre assenze.
Il dono al contrario, nel suo significato più vero, ci ricorda l’altro. Paradossalmente, meno vistoso è il dono, più ci lascia vedere, intravedere il volto: più vistoso è il dono, più forte è il rischio che sia in ombra il volto, in ombra l’emozione di essere stati pensati. Da qualcuno.
Essere pensati è il vero dono, è ciò che ci fa rinascere. Tu mi hai pensato, io ci sono, ci sono per te. Nel dono ci sentiamo pensati, concepiti, in qualche modo usciamo alla luce. (don Angelo Casati)
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
BATTESIMO DEL SIGNORE – ANNO C
Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 13 Gennaio 2019 anche qui.
Lc 3, 15-16. 21-22 Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». C: Parola del Signore. A: Lode a Te o Cristo.Fonte: LaSacraBibbia.net
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