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Commento al Vangelo del 13 Aprile 2025 – Sussidio Quaresima CEI

Domenica 13 Aprile 2025 -DOMENICA DELLE PALME - PASSIONE DEL SIGNORE - ANNO C
Commento al brano del Vangelo di: Lc 22,14-23,56

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Per il profeta Isaia la speranza non è vana perché non tutto Israele ha disobbedito. D’improvviso la voce del servo torna a farsi sentire, la medesima che ha già annunciato che «il Signore Dio ha mandato me» (Is 48,16). La stessa che ha promesso che il servo sarebbe diventato l’incarnazione di Israele (cfr. Is 49,3), e che è stato plasmato sin dal seno materno per riportare Giacobbe al suo inizio (cfr. Is 49,5). Ǫuella stessa voce adesso descrive la missione che Dio gli ha affidato: portare allo sfiduciato «una parola» (Is 50,4).

Ǫualcosa di fondamentale è cambiato, qualcosa di nuovo è entrato nella storia di Israele: la certezza che Dio non ha smesso di voler far sentire la sua presenza in mezzo al popolo attraverso l’ascolto della sua parola riportata dal servo. Ǫuanto da lui ascoltato e riferito è espressione della tensione di sé protesa a Dio, trasmessa ai suoi uditori nel renderli partecipi del suo sentire interiore l’essere in Dio -, più eloquente di ogni parola pronunciata.

Il servo non potrebbe ascoltare nulla se Dio non tenesse aperte le sue orecchie; così come non potrebbe proferire alcuna parola se non gli venisse detto cosa dire. Dalla continuità della parola, ascoltata e riferita nello stesso momento, il servo riceve solamente flagelli, insulti e sputi. La sua è un’esperienza del tutto singolare, che non ha insegnato nulla di nuovo, se non la determinazione di non arrestarsi di fronte alla sofferenza perché la sua attenzione è catturata dall’ascolto di ciò che performativamente gli permetterà di ritornare a Dio.

Una novità si è interposta tra il dolore del servo provocato del rifiuto d’Israele, e il fallimento dello stesso Israele nell’intento di destabilizzare il servo di Dio (cfr. Is 50,67). Alla trasmissione della parola, contesa tra gli insulti che gli provocano sofferenza e il suo successo, il servo, certo che «non sarà confuso» (Is 50,7), segue la sua professione di fede nella giustificazione del riscatto di Dio come manifestazione della sua realtà identitaria più forte e più convincente di quello atteso da Israele in una vana promessa futura. Dio è presente nel “qui e ora” del servo, una presenza che supera ogni minaccia di morte perché è capace di rendere la faccia «dura come pietra, sapendo di non restare deluso» (Is 50,7).

Ǫuanto era stato profetizzato da Isaia è stato proclamato da Paolo all’amata comunità di Filippi. Egli, nel suo “inno cristologico”, sostiene di aver guardato a «Cristo Gesù» (Fil 2,6) che, nell’avere assunto «la condizione di servo» (Fil 2,7), si è consegnato in obbedienza a Dio visibilmente nella duplice condizione, divina e umana, fino all’abbassamento della morte. Un movimento ½cnoĚico gratuito, identificativo della libertà di non ritenere «un privilegio l’essere come Dio» (Fil 2,6). Per Paolo l’invidia venuta a crearsi all’interno dell’amata comunità di Filippi, non può essere contemplata dal reciproco rapporto che sussiste tra Cristo Gesù e Dio, una relazione che non ha smesso di essere vissuta in tutta la sua forza personale nella spoliazione dell’incarnazione, non in antitesi con la condizione divina, fino alla consegna massima della croce. Dio, rivelato da Gesù come Padre, lo ha esaltato nel nome che gli ha donato, che è al di sopra di ogni altro nome: «Gesù Cristo è Signore!» (Fil 2,11).

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Se l’azione obbediente di Cristo Gesù al Padre è caratterizzata dalla libera scelta di rivelarsi nell’estremo abbassamento per continuare a vivere la sua condizione divina secondo questa inedita modalità, la risposta di Dio Padre non è condizionata da alcuna richiesta del Figlio, ma è promossa dalla gratuità della sua onnipotenza che opera l’esaltazione del Crocifisso. Il duplice movimento, dell’abbassamento e dell’esaltazione, definisce l’agire di sempre di Dio che ha dato corpo al modello impersonale del servo atteso di Isaia: Dio in, e con, Gesù ha portato a compimento la promessa di liberare ogni uomo dalla logica imperante e separativa dell’invidia accreditando, nell’umanità crocifissa del Figlio, la figura corporativa del servo promesso dal Profeta Isaia come colui che avrà «in premio le moltitudini in eredità» (Is 53,12).

Moltitudini che Dio ha consegnato al Figlio Gesù, perché in Cristo si sono compiute le scritture profetiche relative al servo d’Isaia: «è stato annoverato fra gli empi» (Is 53,12; Lc 22,37). Dopo le parole sul pane e sul vino eucaristico e l’annuncio del tradimento nel contesto dell’ultima cena, per i discepoli di Gesù si preparavano tempi duri, di grandi ostilità da fronteggiare anche, secondo un linguaggio simbolico apocalittico, con l’acquisto di una spada (cfr. Lc 22,36). Non si tratta di una provocazione alla violenza bellica attraverso l’uso di armi che impoveriscono la dignità dell’uomo nello stare di fronte a ogni altro uomo.

Gesù “esce” dalla stazionarietà che alimenta logiche perverse di odio che affascinano anche i suoi (Lc 22,38). Egli infatti, uscito dal cenacolo, si è recato presso il monte degli Ulivi e ha consegnato ai suoi discepoli l’arma per vincere l’imminente battaglia: «Pregate, per non entrare in tentazione» (Lc 22,40). Luogo per eccellenza di preghiera (Lc 6,12; 9,28), il monte è, allo stesso tempo, luogo parenetico della preghiera stessa: solamente dal monte si può comprendere l’esortazione dell’orazione del “Padre” di non entrare in tentazione (cfr. Lc 11,4). Il monte è il luogo propizio perché dalla sua altezza è possibile fronteggiare le tentazioni (cfr. Lc 4,5); è il solo posto dove ci si può prostrare perché certi di stare alla presenza della volontà di Dio Padre (cfr. Lc 4,7; 22,4142). Ma è anche il luogo in cui le intenzioni di Giuda, e in lui, quelle degli altri undici (discepoli) si manifestano: «Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?» (Lc 22,48). Ancora, il pianto di Pietro, animato dall’annuncio del canto del gallo (cfr. Lc 22,34), ha riportato alla sua memoria, per ben tre volte, l’ostinazione di non volersi fidare di Gesù, quello stesso dinanzi al quale si era prostrato dopo la pesca miracolosa, e che gli aveva promesso di renderlo pescatore di uomini (cfr. Lc 5,8-11). La paura di Pietro non è diversa dalla paura di Erode e di Pilato. In loro rileggiamo le nostre paure, quelle di tutti i giorni, che ci portano a cercare alleanze che riteniamo sicure dentro cui vivere le false attese di una vita felice senza Dio, separati da tutto ciò che esula dalle nostre scelte.

Il grido del popolo «A morte costui! Dacci libero Barabba!» -, è il grido di ogni uomo che solamente dal monte può comprendere quale forma di libertà ricerca. Il cristiano non può non pensarsi a fianco di Gesù lungo il cammino che lo ha condotto al supplizio della morte: Simone di Cirene e le pie donne non sono stati inseriti da Luca nel suo racconto per offrirci testimoni che garantiscono i fatti, ma come esempi di atteggiamenti cristiani che hanno seguito l’irripetibile evento di croce aperto a tutti. Simone di Cirene, appartenente presumibilmente alla sinagoga dei «liberti» (cfr. At 6,9), proviene dalla campagna come il vecchio Adamo costretto a sudare per sopravvivere (cfr. Gen 3,17-19); nelle pie donne si concretizza la profezia del lamento funebre di chi piange il primogenito (cfr. Zc 12,10-12). Paradossalmente, piangere Gesù sconfitto dalla sentenza di croce, scelta comoda che asseconda la volontà di fare a meno della fede oltre che della croce, sentenzia la sterilità delle donne che non hanno allattato come beatitudine (cfr. Lc 23,29). La posta in gioco è alta, e corriamo il rischio di cercare le altezze dei monti solamente per gridargli contro: «Cadete su di noi!… Copriteci!» (cfr. Os 10,8; Lc 23,30). La proposta di Gesù è ben altra: egli ci invita a seguirlo fino «al luogo chiamato Cranio» (Lc 23,33), lì dove la sua piena solidarietà alla condizione umana è massima, offerta ai due crocifissi al suo fianco. Annoverato tra i peccatori, egli offre il perdono di Dio nel respingere, ancora una volta, una triplice tentazione, declinata dal grido dei capi, dei soldati e di uno dei malfattori inchiodato al suo fianco, che lo incitavano a salvare se stesso. Dal deserto (cfr. Lc 4,1) della croce, inteso come ultimo passaggio esodale dell’uomo per tornare a vivere in, e con, Dio nel perduto paradiso genesiaco, il silenzio di Gesù è riempito dalla risposta del cosiddetto “buon ladrone”.

Scendere dalla croce per salvare se stessi, equivale ad abitare la logica di non volere rinunciare a se stessi, da cui inesorabilmente consegue la perdita della vita (cfr. Lc 9,22-24). Il grido dei tre “tentatori” è lo stesso della precedente folla che non smetteva di gridare: «Barabba!». Un grido legittimo, accolto da Dio Padre nel silenzio del Figlio, perché inconsapevole di reclamare la verità nascosta nel nome stesso del sovvertitore e omicida: tornare a essere “Figlio del Padre”. All’ ironia del popolo che reclamava la libertà di un assassino, come ultimo tentativo perché nulla cambiasse nella loro vita spesa obbedendo a una forma di libertà che li manteneva schiavi nel non pensarsi creati a immagine di un amore gratuito, ha risposto la richiesta del “buon ladrone” di essere ricordato da Gesù una volta entrato nel suo Regno. Le parole di richiesta del “buon ladrone”, che ci pongono davanti al bivio di entrare nelle tentazioni (cfr. Lc 11,4) o nella libertà del Regno di Dio, sono state le ultime pronunciate da un uomo. Parole che nascondono le ragioni della volontà di Dio di vedere liberi i suoi figli, e che hanno accompagnato la consegna dello Spirito di Gesù.

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Ogni barriera è stata abbattuta: quella del velo del Tempio (cfr. Lc 23,45), e quella della morte tramutata in una inedita novità dal momento che il corpo di Gesù è stato accolto da una tomba che non avrebbe potuto trasmettere alcuna maledizione contratta dal contatto di un precedente cadavere. La lettura della passione del Signore nella domenica delle Palme ci invita a guardare al Crocifisso con gli stessi occhi del centurione ai piedi della croce (cfr. Lc 23,47), divenuto personaggio tipo che ha portato a compimento il glorificare Dio dei pastori di ritorno dalla mangiatoia.

Commento al Vangelo tratto dal sussidio CEI al periodo di Quaresima/Pasqua 2025, scarica il file PDF completo.