Tu sei Pietro
«Con la confessione di Pietro, sulla strada che conduce a Cesarea di Filippo – scrive un commentatore, Radermakers – raggiungiamo un vertice del vangelo di Marco»: è «il centro del vangelo». Se altri commentatori non sarebbero oggi così precisi nel rintracciare un centro nel Secondo vangelo, è però vero che la pagina del vangelo odierno è significativa, e segna una svolta.
Gesù chiede ai discepoli quale percezione si aveva di lui. La domanda a questo punto del racconto dice che una prima fase della narrazione è stata completata, e l’evangelista vuole fare il punto e voltare pagina. Le ragioni di questa domanda, su chi la gente dice chi sia Gesù, non sono spiegate ulteriormente da Marco, ma rientrano bene nella preoccupazione di tutto il vangelo, centrato sull’identità di Gesù. Già dall’inizio del racconto, al primo capitolo, lo spirito impuro che possedeva l’uomo nella sinagoga aveva affermato di sapere chi fosse Gesù (cf. 1,34). Se i suoi compaesani credevano di sapere che Gesù era semplicemente il carpentiere, il figlio di Maria… (cf. 6,3), che cosa sanno gli altri lui? Ancora, se è facile comprendere la ragione per cui Gesù è assimilato al Battista (è stato battezzato da lui, e dunque è stato suo discepolo, e ha riportato anche alcune parole della sua predicazione originaria, come l’invito a convertirsi), perché Gesù dalle folle viene percepito come Elia? Forse avevano assimilato alle azioni di quel profeta la guarigione compiuta da Gesù in territorio di Tiro e Sidone (Mc 7,24-30), o quella della figlia di Giairo richiamata in vita (Mc 5,21-24; 35-43), paragonandola all’episodio della rianimazione compiuta da Elia proprio per una vedova di Sidone (cf. 1Re 17,724)?
La risposta dei discepoli alla domanda del Signore mette in rilievo tre elementi: Gesù dalla gente viene assimilato al profeta che battezzava al Giordano, ad Elia o ad altri profeti. Sulle figure dei profeti citati dai discepoli, oltre a quanto detto sopra, scopriamo poi che non vi è perfetto accordo nella tradizione sinottica: Matteo infatti aggiunge al nome del profeta del fuoco e dell’acqua quello di Geremia (cf. Mt 16,14). Si tratta – osserva Alberto Mello – di una scelta a ragion veduta, poiché di tutti i profeti antichi Geremia era quello che aveva dovuto patire le massime contraddizioni da parte della classe sacerdotale e dagli anziani del popolo, e quello che più di tutti aveva visto svolgersi drammaticamente la sua vicenda umana, soprattutto a Gerusalemme. In ogni caso, emerge il fatto che le folle non hanno capito: per comprendere chi è Gesù serve molto più di un “sentito dire”, ed è necessario seguirlo fino in fondo, fino a Gerusalemme.
- Pubblicità -
Il racconto così prosegue speditamente con la replica di Gesù, che interpella direttamente i discepoli (“E voi?”). Risponde, in modo conciso, Pietro, “Tu sei il Messia”, quasi fosse scontato riconoscerne l’identità. Sarà così Matteo ad elaborare ulteriormente il dialogo tra Gesù e Pietro, aggiungendo quelle parole che descrivono il ministero petrino (“Tu sei Pietro, e su questa roccia edificherò la mia chiesa…”), e spiegando che la risposta di Simone non viene dalla sua intelligenza o da una sua scoperta, ma dal Padre che l’ha ispirato. Nel vangelo secondo Marco, invece, si passa improvvisamente a un altro quadro, tratteggiato dall’evangelista con brevi ma dense parole: si tratta dell’annuncio della passione, di cui parleremo soltanto discutendo su due problemi , lasciando altro spazio al tema nel commento al Vangelo della settimana che segue a questa.
Gesù diceva della sua passione con parresía (v. 32): cioè non solo “apertamente”, ma “con franchezza”, con lo stesso atteggiamento, cioè, che accompagnerà poi la Chiesa primitiva; da qui si evince che l’annuncio della passione, morte e risurrezione non è cosa che riguardi solo il Figlio dell’uomo: è invece il primo annuncio della Chiesa. Come scrive un altro esegeta nel suo commento a Marco, Gnilka: «I discepoli, che un giorno dovranno diffondere il vangelo, devono scorgere in Gesù la sorgente della parola che bisogna portare agli altri».
Pietro non è invitato ad allontanarsi da Gesù (come la resa del v. con un “lungi da me” lascia intendere), ma ad andare dietro (in greco: opíso) di lui, perché Pietro con il suo rifiuto ha abbandonato il suo posto di discepolo che deve camminare dietro Gesù; così, infatti, si traduce nella nuova edizione CEI del NT: «Va’ dietro a me, satana!». Anche se Pietro è chiamato con lo stesso nome di colui che vuole dividere il Figlio dal progetto del Padre (satana, l’avversario, il nemico), è pur vero che il primo degli apostoli non viene allontanato perché se ne vada, anzi: «l’ordine dietro di me vuole richiamare il discepolo alla sequela e, quindi, a porsi sulla strada che Gesù già batte» (Gnilka). D’altronde, sarà esattamente quanto verrà richiesto non solo a Pietro, ma, come si legge nel versetto seguente, anche a tutti coloro che vogliono andare dietro (opíso) Gesù.
A questo punto è inevitabile l’aggancio con la profezia presente nel terzo carme del “Servo” di Isaia, figura che la tradizione neotestamentaria ha identificato con il Messia disponibile alla volontà di Dio e provato dagli uomini. Quell’antica profezia per i cristiani è vista alla luce di una persona storica, Gesù di Nazaret, che con la sua morte e risurrezione mostra di essere il Servo sofferente ma vincitore sulla croce.
L’ultima parte del nostro brano evangelico è l’applicazione per i discepoli di quanto detto finora: per seguire Gesù si deve professare prima la fede nella sua Persona; si deve poi accogliere la sua sorte: solo così si potrà vivere da salvati.
Così preghiamo con la colletta, chiedendo che «lo Spirito Santo ci aiuti a credere, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla».