La lettura degli Atti ci pone al seguito dei primi missionari, Barnaba e Paolo, inviati dalla comunità di Antiochia. Là dove essi giungono si rivolgono anzitutto ai Giudei. Sono obbedienti al Signore, che aveva raccomandato di iniziare dal popolo d’Israele, portatore delle promesse. Questo popolo è il fulcro, il centro, attorno a cui possono riunirsi anche altri per condividere la fede nel Messia, in Gesù, e quindi la gioia della vita nuova. L’annuncio della morte e risurrezione del Signore non viene accolto facilmente da tutti i membri di questo popolo: si crea divisione tra di loro.
Questa divisione diventa subito palese ad Antiochia di Pisidia e poi a Iconio (oggi grande città della Turchia), dove i due apostoli missionari arrivano. Quando questi subiscono il rifiuto e vengono scacciati, obbediscono ad un altro insegnamento del Signore: “Scuotete la polvere dai vostri piedi…”. Ed eccoli rivolti ai pagani, pronti a seminare la Parola in quell’immenso campo, che ancor oggi non è stato raggiunto del tutto, e attende con vivo desiderio di poter conoscere l’amore del Dio vivente.
È proprio una “immensa moltitudine di ogni nazione, razza, popolo e lingua” che sta davanti allo sguardo dell’apostolo Giovanni, in estasi nel giorno del Signore. Questa moltitudine è a disposizione di Dio, pronta alla lode “dell’Agnello”, dopo esser passata “attraverso la grande tribolazione”! Le loro lacrime sono state asciugate da Dio stesso, quindi grande e stabile è la loro gioia. Questa moltitudine è come un grande gregge di cui ha cura, come pastore, “l’Agnello che sta in mezzo al trono”. I termini pastore e agnello ci preparano all’ascolto del brano evangelico. Gesù stesso usa queste immagini, tanto presenti nella sua terra, per raccontarci il suo amore e per sollecitare il nostro.
Dopo essersi attribuito il titolo di “pastore buono”, o pastore «vero», Gesù parla di quel che fanno le sue pecore. “Il” pastore buono è Dio stesso, come dice il salmo 23. Gesù è l’amore di Dio, che ci ama guidandoci alle acque della vita. “Le mie pecore ascoltano la mia voce”: da questo particolare egli riconosce chi gli appartiene. Non sono sue pecore soltanto gli ebrei, e nemmeno gli ebrei perché ebrei, ma tutti e soltanto coloro che lo ascoltano, che gli ubbidiscono, che fanno la sua Parola. “Io do loro la vita eterna”: ricompensa dell’obbedienza è la pienezza della vita, la vera realizzazione di se stessi, la gioia e la pace interiore. Chi ha la vita eterna è soddisfatto, è sazio, non cerca più nulla, non sente bisogno di altro. Chi ha la vita eterna gode di rapporti armoniosi con tutti, perché desidera la loro salvezza, vuole che tutti, anche eventuali nemici, incontrino il loro stesso Pastore.
Come si fa a spiegare questa cosa? Non si può, si può solo provare. Perché chi segue Gesù come proprio pastore cambia vita? Perché cambia volto? Perché è contento e sopporta con serenità derisioni e disprezzo, persino anche brutti scherzi o ingiustizie e persecuzioni, senza lamento e senza rispondere con odio o vendetta? È un mistero: Gesù è davvero la vita, egli possiede la vita e la comunica a chi lo ascolta e lo ama.
Coloro che seguono Gesù gustano d’essere arrivati alla pienezza della vita, non hanno più paura perché “non andranno mai perdute”. Coloro che seguono Gesù sanno d’essere nella mano del Padre, e perciò vivono del suo amore. L’amore del Padre è un amore che non si offende mai e desidera invece la gioia e il ricupero di tutti i suoi figli, di tutte le “pecore” del Figlio suo.
Paolo e Barnaba predicano prima agli ebrei e poi ai pagani con grande zelo e non imprecano contro quelli che li rifiutano e li maltrattano. Essi sanno che Gesù è passato per il rifiuto da parte di tutti: parenti, nazareni, samaritani, capi del popolo e sommi sacerdoti, soldati e capi pagani. Essi sono apostoli di uno che è stato crocifisso, si fanno annunciatori della sua morte, e perciò non solo non si rifiutano di avvicinarsi alla sua stessa sorte, ma ne sono fieri. Come questi due grandi missionari, così le folle dei cristiani “avvolti in vesti candide” hanno testimoniato al mondo la ricchezza della vita ricevuta dall’amare il Signore, Figlio di Dio.
Oggi, dal loro esempio, riceviamo anche noi attrazione e desiderio ad avvicinarci a lui, per sentire più distintamente la sua voce, per distinguere le sue parole e custodirle nel cuore, per accettare di essere suoi e decidere di seguirlo. Dal loro esempio riceviamo gioia a portare senza lamento la nostra croce, e desiderio di far conoscere a molti la fonte della nostra vita e avvicinarli perché la godano essi pure abbondantemente. Vicino a Gesù diveniamo un solo gregge, ci sentiamo un’unica famiglia, godiamo la comunione dei veri fratelli, capaci di amarsi e di servirsi reciprocamente.
Vedendo e amando il Pastore oggi desideriamo e preghiamo perché nella Chiesa il segno del Pastore rimanga sempre vivo, ci sia cioè sempre chi lo rappresenta per donarci il cibo, per difenderci dai pericoli, per tenerci uniti, per condurci alla meta senza disorientamento nel cammino.
A cura della Casa di Preghiera S.Maria Assunta – Tavodo -Via della Pieve, 3 – 38078 SAN LORENZO DORSINO – TN